Egitto: sfide e vulnerabilità del settore energetico

Dal 2015 l’Egitto è diventato ufficialmente autosufficiente dal punto di vista energetico ed esportatore netto di gas naturale; nonostante ciò, da quest’anno, è possibile già notare qualche segnale di una imminente crisi in questo settore e come l’ambizione di rendere il paese un hub energetico regionale sia di difficile realizzazione.

Il presidente Abdel Fatah al-Sisi alla COP21 di Parigi del 2015. Fonte: Wikimedia Commons

Principalmente grazie allo sfruttamento del giacimento Zohr, scoperto nel 2015, l’Egitto riesce a basare sul gas naturale la maggior parte del proprio fabbisogno di energia elettrica, arrivando a ricoprire una percentuale di 85.40% nel 2020, e a diventare un esportatore netto dell’idrocarburo tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019.

Pochi mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il 15 giugno 2022, si palesa un’importante opportunità commerciale per l’Egitto e per il suo vicino territoriale, Israele: la firma di un contratto di esportazione di gas naturale con l’Unione europea (Ue) che, non volendo più dipendere dal gas russo, è alla ricerca di altri fornitori. È in questo contesto che per il governo egiziano si manifesta la possibilità di rendere il paese un hub energetico regionale per il gas naturale. Tuttavia, la sfida fa emergere le numerose criticità del mercato energetico domestico, in quanto testimonia la divergenza tra obiettivi commerciali e necessità reali del paese e della popolazione.

Infatti, dopo solo pochi mesi dalla firma di questo accordo, l’Egitto non riesce a rispettare gli impegni d’esportazione presi con l’Ue, a causa principalmente di un calo della produzione di Zohr e di un aumento dei consumi interni. Inoltre, l’economia interna inizia a subire gli effetti dell’invasione russa in Ucraina – in quanto, essendo uno dei più importanti esportatori di cereali, l’Egitto ha sofferto il rialzo del grano e del carburante – a tal punto che si inizia a sviluppare nel paese una crisi economico finanziaria caratterizzata da un’inflazione a due cifre, da un debito estero crescente e da un deprezzamento della valuta locale.

Fonte: International Energy Agency

È in questo contesto che, ad agosto del 2022, viene avviato il primo piano di razionamento dell’elettricità della presidenza di Abdel Fatah al-Sisi, che prevede di attuare blackout generalizzati nel paese per rindirizzare i pochi volumi di gas estratti dalla produzione interna all’esportazione, al fine di potere avere maggiori entrate di valuta estera, utili a sostenere l’economia nazionale. Un secondo piano di razionamento dell’elettricità viene poi attuato durante l’estate 2023 per far fronte a un ulteriore aumento dei consumi, causato da un’ondata di caldo anomala, e a un calo della produttività di Zohr. Anche in questo caso viene prevista la programmazione di blackout generalizzati, l’acquisto di combustibili – utili ad alimentare le centrali a gas, che producono circa il 40% dell’energia elettrica nazionale – e una riduzione delle esportazioni. 

Da allora, per diverse ragioni, il piano di razionamento è rimasto in vigore, nonostante esso stia provocando pesanti conseguenze sia sulla vita quotidiana dei cittadini che sull’andamento di un’economia già affaticata da un’importante crisi finanziaria. La distribuzione delle interruzioni di corrente ha attirato, infatti, critiche da parte della popolazione egiziana, dato che i blackout non sono stati organizzati in modo generalizzato come previsto, ma sono stati localizzati maggiormente verso le zone rurali del paese, mentre le località turistiche nelle zone costiere e i quartieri più abbienti sono stati esonerati.

Con il fine di rendere meno drastiche le misure adottate, in questo periodo di attivazione del secondo piano di razionamento, il governo ha alleggerito il programma in diverse fasi. Nello specifico, i blackout sono stati sospesi in determinati periodi: durante le elezioni presidenziali di dicembre; nel mese di gennaio, il governo ha deciso di limitare le interruzioni di corrente per far fronte agli esami intermedi degli studenti per i test scolastici; inoltre, sono state sospese durante il Ramadan per poi riprendere il 15 aprile con la celebrazione dell’Eid Al Fitr (che segna la fine del mese sacro).

Nave di trasporto per il gas naturale liquefatto. Fonte: Wikimedia Commons

Nonostante questi allentamenti e sospensioni, le misure di risparmio attuate dal governo dovrebbero continuare per tutta la prossima estate, anche a causa della guerra a Gaza che ha reso i livelli di sicurezza energetica nel paese ancora più instabili a tal punto che il governo egiziano ha esteso la durata dei blackout da una a due ore. Infatti, fin dal 2020, l’Egitto è uno dei maggiori acquirenti di gas israeliano. Tuttavia, prima della crisi della produzione, il gas israeliano confluiva nella rete infrastrutturale egiziana solo a scopi di esportazione, dato che in Egitto ci sono gli unici due impianti di liquefazione della regione utili a commerciare il gas sotto forma di gas naturale liquefatto (Gnl). Quest’ultima è l’unica opzione valida per portare il gas naturale dal Mediterraneo orientale verso l’Europa in quanto, malgrado si stia negoziando la costruzione di EastMed, ad oggi non esiste un gasdotto di collegamento tra le due sponde.

Però, a seguito del calo della produttività interna e della decisione di Tel Aviv di interrompere le esportazioni verso l’Egitto fino a metà novembre, Il Cairo ha iniziato a trattenere una parte dei volumi israeliani per dedicarli al proprio fabbisogno, dimezzando le esportazioni e acquistando Gnl. Seppur necessaria, la decisione di ridurre l’esportazione per iniziare invece a importare gas naturale implica grandi rischi per le finanze pubbliche egiziane. La già grave situazione economica, causata dal conflitto nell’Europa orientale e dal conseguente rialzo dei prezzi delle materie prime, è stata ulteriormente aggravata da due conseguenze della guerra a Gaza: il crollo del commercio attraverso il Canale di Suez, a causa degli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, e il calo dei flussi turistici, a causa della prossimità geografica. Infatti, questi contraccolpi hanno diminuito l’afflusso di valuta estera a tal punto che per non rischiare un default, il Fondo monetario internazionale (Fmi), gli Emirati Arabi Uniti e l’Ue hanno finanziato una serie di investimenti utili a stabilizzare l’economia egiziana: non è un caso che l’Egitto ha acquistato costosi volumi di Gnl con una parte di questi fondi.

Fonte: Bloomberg

Comunque, il governo egiziano ha iniziato a ragionare su come poter risolvere i problemi del mercato energetico trovando soluzioni sul breve, medio e lungo periodo. Sul breve termine, ha previsto di intensificare le interruzioni di corrente, d’incrementare le importazioni di Gnl – ne sono già stati acquistati due carichi con consegna immediata – e di sospendere le esportazioni. Questo perché le altre opzioni di importazioni non sono ancora solide: infatti, il flusso di gas da Israele è destinato a diminuire di un ulteriore 22% a causa dell’aumento del consumo interno dello Stato ebraico. Inoltre, per il medio termine, al fine di cercare di stimolare la produzione interna, il governo egiziano ha stabilito l’avvio di un programma da 1,8 miliardi di dollari utile a perforare ulteriori pozzi di esplorazione di gas naturale nel Mar Mediterraneo e nel delta del Nilo. Nello specifico, il programma si pone come obiettivo di raggiungere un totale di 35 pozzi in due anni: 21 durante l’anno fiscale 2023-2024 e 14 durante il 2024-2025. In fine, per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico e diminuire la quota di elettricità prodotta dal gas naturale, poche settimane fa, il ministro dell’Energia, Tarek El Molla, ha annunciato che il governo si è posto come obiettivo quello di ricoprire il 60% del mix energetico nazionale con le rinnovabili entro la fine del decennio. In questa direzione va anche il nuovo accordo firmato il 17 marzo scorso tra l’Ue e l’Egitto che, mediante l’erogazione di 12 miliardi di dollari, vorrebbe sviluppare il settore delle rinnovabili attraverso la realizzazione di progetti soprattutto all’interno della Zona economica del Canale di Suez.

Tuttavia, queste soluzioni difficilmente riusciranno a risolvere le criticità del mercato energetico egiziano. Infatti, le strategie di breve termine non sono sufficienti ad incrementare il livello di sicurezza energetica del paese anche a causa della prossimità della stagione estiva, quando il consumo di elettricità nel paese tornerà a crescere vertiginosamente. Il piano per il medio periodo, seppur farebbe probabilmente respirare il mercato energetico egiziano, potrebbe essere comunque insufficiente visto il prevedibile aumento considerevole della popolazione che, conseguentemente, comporterà un incremento della domanda di energia. La necessità di trovare risposte adeguate a questi bisogni deve diventare una priorità del governo egiziano. Nonostante la conferma del presidente al-Sisi alle scorse elezioni, il crescente malcontento della popolazione, ormai stanca di vivere le conseguenze di una mala gestione del settore energetico, è una sfida di notevole importanza. Infatti, anche se, grazie agli investimenti dell’attuale esecutivo nelle infrastrutture energetiche, la popolazione non sperimentava interruzioni di corrente da circa dieci anni, l’ambizione di rendere il paese un hub energetico regionale ha portato il governo egiziano a prendere decisioni in base a scelte politiche anziché economiche, non riuscendo a soddisfare i bisogni reali degli egiziani.

Laura Ponte