In Grecia le recenti vicende legate alla gestione della prima e della seconda fase della pandemia hanno spostato l’attenzione dei principali mezzi di informazione rispetto alla questione dei migranti e dei rifugiati senza che essa, tuttavia, sia cambiata nei suoi caratteri e nella sua drammaticità. Le complesse problematiche legate ad accoglienza, gestione e distribuzione delle decine di migliaia di rifugiati provenienti da vaste aree del Medio Oriente e dell’Asia, chiamano in causa sia le decisioni dei governi locali che le scelte strategiche dell’Unione europea almeno a partire dal 2015, ovvero da quando è possibile identificare la più recente fase di quella che a torto viene definita “crisi migratoria”. L’errore, nell’inquadrare come crisi quello che è un fenomeno storico, sta nel confondere quello che è un processo naturale, fisiologico e antico quanto l’umanità con una situazione estemporanea. Da questo fraintendimento concettuale scaturiscono poi tutta una serie di scelte i cui risultati catastrofici e potenzialmente ancor più deleteri nel prossimo futuro sono sotto gli occhi di tutti, nonostante le “amnesie” che spesso colpiscono i mass media.
Occorre dunque concentrarsi sugli aspetti interni ed esterni alla questione e sulle prospettive per il prossimo futuro. Un futuro reso ulteriormente incerto e gravido di insidie e pericoli a causa della recente pandemia.
A proposito dell’evoluzione che il fenomeno ha avuto in Grecia nel corso degli ultimi cinque anni, è opportuno analizzare le diverse strategie messe in campo dai due governi che si sono alternati in questo periodo al potere nel paese: il governo Syriza, guidato da Alexis Tsipras (2015-19), e il governo di destra di Nuova democrazia guidato da Kyriakos Mitsotakis al potere dallo scorso luglio.
Partiamo da quest’ultimo per ragionare su quella che sembra essere una delle cifre caratteristiche della sua gestione dei flussi di migranti, rifugiati e richiedenti asilo e cioè la scarsità di attenzione e di risorse dedicate alla questione nel suo complesso. È di pochi giorni fa, quale esempio, la notizia della riapertura al pubblico del Servizio di asilo, chiuso durante le prime fasi del lockdown per il Covid-19. Si tratta di un provvedimento, quello della riapertura, deciso da tempo, che giunge dopo due mesi di chiusura e che ha comportato l’accumularsi di migliaia di pendenze amministrative di vario tipo (dalla riprogrammazione delle interviste rinviate, al rinnovo dei documenti, alla deposizione dei rifugiati la cui domanda ha già superato un primo esame). La ripresa dei servizi al pubblico è avvenuta senza alcuna predisposizione delle misure igieniche di sicurezza previste dai protocolli di legge (divisori in plexiglass, mascherine, guanti e detergente antisettico) e senza alcuna indicazione circa la gestione degli spazi aperti al pubblico. Le carenze da parte delle autorità competenti hanno riguardato anche l’informazione, sia per i dipendenti del servizio pubblico sia per i migranti e i rifugiati. Questa estrema incertezza ha avuto l’effetto di far riversare all’esterno dell’ufficio della Questura centrale di Atene, nella zona di Katehaki, circa duecento rifugiati e migranti, situazione che si è osservata anche in altri uffici periferici. A rendere la situazione ancora più confusa sono giunte le decisioni del Ministero dell’Interno, le quali sono in buona parte in contrato con le indicazioni fornite in precedenza mediante una circolare da Patroclos Georgiadis, segretario generale presso il Ministero per le Riforme amministrative e la e-governance. A rendere più incerta la situazione, come segnalato da alcuni commentatori interni, la repentina marcia indietro compiuta dal Ministero dopo che lo stesso aveva categoricamente respinto la proposta di concedere un rinvio di sei mesi alle domande di richiesta di asilo e ai permessi di soggiorno dei richiedenti. Queste ultime sono, infatti, oltre novemila soltanto per la regione dell’Attica. Venerdì 15 maggio il Ministero dell’Interno si è dunque arreso all’evidenza dei fatti e ha deciso di concedere il rinvio.
Questa circostanza è l’ultima di una serie di misure e decisioni politiche dello stesso tenore che sembrano mettere in evidenza un disagio e un disinteresse verso una gestione più attenta e metodica di un fenomeno che coinvolge decine migliaia di cittadini stranieri e, allo stesso tempo, non può non riguardare anche i cittadini greci.
Una situazione che nasce con la campagna elettorale della scorsa estate che ha portato la destra al governo. Mitsotakis aveva promesso, in caso di vittoria, l’abolizione del Ministero per le Politiche migratorie voluto con forza dal precedente governo. Promessa diventata immediatamente realtà una volta giunto al governo. La difficoltà e complessità della gestione di flussi sempre più consistenti e la mancanza di uno strumento istituzionale dedicato ad essa hanno però costretto la destra a fare marcia indietro rispetto alla promessa elettorale e a rimettere in funzione il dicastero ora chiamato Ministero per la Migrazione e l’asilo. Prima di passare ad esaminare le ripercussioni e responsabilità a livello europeo, segnaliamo alcuni ulteriori elementi utili a inquadrare la logica entro la quale Nuova democrazia ha inserito la gestione dei flussi di migranti e rifugiati. La responsabilità è passata in carico alle forze di polizia, con uno scarto forte rispetto al precedente inquadramento dato da Syriza, poiché attualmente la questione viene letta come una questione di ordine pubblico. La revoca della concessione della matricola “Amka” (Arithmos mitrou kinonikis asfalisis – Numero di matricola di assicurazione sociale) per l’iscrizione ai servizi pubblici ha inoltre privato rifugiati e richiedenti asilo della possibilità di avere accesso alle cure del Servizio sanitario nazionale e di poter essere assunti regolarmente dai datori di lavoro. Il peso di questa decisione risulta particolarmente grave per gli effetti che ha sui minori, visto che essi non possono più frequentare la scuola.
La questione migratoria a livello complessivo chiama naturalmente in causa anche l’Unione europea e in particolare il regolamento di Dublino sui rifugiati che scarica il peso della gestione delle domande di asilo sostanzialmente su Italia e Grecia – e in misura minore sulla Spagna –, ovvero sui paesi della costa mediterranea dell’Ue. La necessità di rivedere, e in qualche modo superare, il cosiddetto Dublino III appare in tutta la sua urgenza anche analizzando la situazione che si è venuta a creare in Grecia in questi ultimi mesi. Il concetto di base attorno al quale ridefinire la gestione europea dei flussi di migranti e rifugiati dovrebbe essere, secondo molti commentatori e esperti delle Ong attive nel settore, quello della massima condivisione degli oneri e delle responsabilità a livello comunitario. L’emergenza del coronavirus ha imposto anche in questo contesto uno stop, nonostante la promessa della presidente dell’Unione europea Ursula von der Leyen, ad inizio mandato, di introdurre sostanziali modifiche entro la primavera 2020. Dopo il vertice di Malta del settembre 2019, i paesi mediterranei erano riusciti a strappare qualche “concessione” per un ricollocamento e l’accoglienza di decine di migranti ma, attualmente, la paura di diffusione dei contagi da Covid-19 ha determinato la sospensione dei ricollocamenti.
Di fronte a una situazione tanto delicata e drammatica la Commissione europea, di comune accordo con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (European asylum support office – Easo) e Frontex, ha adottato linee guida per l’attuazione delle norme in materia di asilo, rimpatri e reinsediamento dei migranti nonostante l’emergenza Covid-19. Il regolamento di Dublino non viene per questo intaccato, ma qualche margine di flessibilità rispetto alle sue norme viene concesso proprio per far fronte a una situazione la cui complessità è aumentata a causa della pandemia. Proprio l’Easo e il governo greco hanno di recente raggiunto un accordo che consentirà all’Agenzia di ricollocare con maggior facilità i circa mille e seicento minori non accompagnati verso i paesi europei che aderiscono al Piano per immediate misure di supporto alla Grecia. Si tratta di una iniziativa lanciata dalla Commissione europea subito dopo il viaggio della von der Leyen in Grecia agli inizi dello scorso marzo. Sono numeri importanti, ma ancora ampiamente inattuati se si pensa che al momento sono stati ricollocati appena 67 minori, 12 in Lussemburgo e 55 in Germania, e che l’Unione europea ha stimato in circa 42 mila il numero di persone sulle isole greche in attesa di conoscere quale sia la loro sorte.
Rigas Raftopoulos