Dopo l’emergenza di inizio anno e la necessità di interruzioni drastiche delle attività a causa della pandemia, il settore turistico sta lentamente riprendendo le sue attività in alcuni paesi europei, rispettando tutta una serie di accorgimenti e restrizioni legati all’emergenza Covid-19.
I paesi che si affacciano sulla sponda settentrionale del Mediterraneo, in particolare l’Italia, la Grecia e la Spagna – per i quali i proventi del turismo costituiscono una fonte di reddito molto importante – sono stati i primi ad affrontare la questione delle riaperture ai visitatori in prossimità della stagione estiva. Il dilemma dei governi di Madrid, Roma ed Atene risiede innanzitutto nella ricerca di un equilibrio tra le esigenze dell’economia e quelle della salvaguardia della salute dei cittadini. È noto, infatti, che i principali flussi turistici verso Spagna, Grecia ed Italia provengono da quei paesi del nord Europa che sono stati colpiti duramente dal virus e che hanno evidenziato tassi di contagio elevati, dovuti anche al diverso approccio dei rispettivi governi rispetto al contenimento del virus. È interessante notare che la Grecia è stata, invece, uno dei paesi meno colpiti dalla pandemia in tutta l’Unione europea. Proprio Atene, seguita a breve distanza di tempo anche da Madrid, ha proceduto ad una graduale riapertura delle spiagge al turismo, innanzitutto interno. La vera scommessa, però, riguarda la gestione dei flussi di turisti provenienti dal ricco nord e in cerca di sole, cultura e storia nel Mediterraneo.
L’Unione europea ha riconosciuto l’esigenza pressante di riaprire le vie di comunicazione interne per consentire ai cittadini dei suoi Stati membri di recarsi in vacanza, come ha recentemente dichiarato Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato interno. Breton ha anche aggiunto che la sicurezza deve essere un aspetto centrale in questo processo di riapertura, poiché il virus non è certo scomparso. Accanto a queste dichiarazioni formali, emerge tuttavia un problema delicato da risolvere: la stipula di accordi bilaterali tra paesi appartenenti all’Ue – accordi di sicurezza sanitaria, in previsione proprio dei flussi turistici estivi. In particolare, la questione spinosa gira attorno agli accordi tra la Germania e alcuni altri paesi che spesso si collocano nella scia della politica estera di Berlino, che in questo frangente potrebbero danneggiare Italia e Spagna. È l’ennesima dimostrazione del fatto che, in situazioni straordinarie e dettate dall’emergenza, l’Unione europea fatica a elaborare una politica comune, e che in queste situazioni tendono ad affermarsi gli interessi dei singoli paesi.
L’analisi di alcuni dati economici fornisce elementi utili a comprendere uno dei due aspetti del dilemma che i leader europei si trovano ad affrontare.
La posta in palio sul piano economico è molto alta, essendo il bacino del Mediterraneo (comprese le sponde africana ed asiatica) responsabile di oltre il 50% del fatturato legato al turismo a livello mondiale. Limitandoci al caso dei paesi membri dell’Unione europea, è opportuno richiamare alcuni dati che rendono più chiaro quanto appena affermato. Si tratta di valori e statistiche contenuti in un dettagliato studio effettuato nell’ambito di un progetto della Unwto (United Nations World Tourism Organization) in collaborazione con il Direttorato generale per il Mercato interno, l’industria e l’impresa dell’Unione europea, sulla base di dati relativi al 2016.
Cinque paesi dell’Unione europea si collocano ai primi dieci posti come destinazioni favorite globalmente dai turisti e di queste, tre si affacciano sul Mediterraneo: Italia, Spagna e Francia, con rispettivamente 52, 75 e 83 milioni di visitatori. Il caso della Spagna è particolarmente rilevante poiché, oltre ad essere al secondo posto nell’Ue, risulta essere la terza destinazione mondiale dopo Francia e Stati Uniti. Con il 16% di fatturato totale nell’Ue, corrispondente a circa 55 miliardi di euro, lo Stato iberico si pone nettamente al primo posto anche tra i paesi mediterranei. L’Italia si attesta al terzo posto nell’Europa mediterranea (dopo Spagna e Francia) e negli ultimi anni ha visto affermarsi un trend positivo di nuovi arrivi, in particolare provenienti dall’Asia. Il fatturato italiano legato al turismo consiste in circa 36 miliardi di euro. Anche la Grecia risulta essere una destinazione molto ambita nell’Unione europea. Ciò che probabilmente costituisce un elemento di differenziazione per la Grecia rispetto ai casi spagnolo ed italiano, è l’impatto sul Pil del fatturato legato al turismo nel paese e i legami esistenti tra flussi turistici e questione migratoria. Nel 2016 Atene ha potuto contare su 13 miliardi di fatturato, con un calo del 7% rispetto all’anno precedente, a causa dell’improvvisa ripresa di massicci flussi di migranti dalla Turchia.
Analizzato il quadro generale occorre soffermarsi sull’analisi dei dati che evidenziano il duro colpo inferto al turismo dalla crisi legata alla pandemia in Europa. Un recente rapporto del Parlamento europeo, “COVID-19 and the tourism sector”, offre una panoramica chiara e affidabile in questo senso. L’industria turistica impiega nell’Ue circa 13 milioni di addetti, e si stima che abbia perso circa un miliardo di euro al mese durante il periodo di quarantena a causa dell’interruzione dell’attività di ristoranti, bar, attrazioni turistiche, parchi a tema e musei ma anche fiere, congressi ed eventi culturali (cancellati o rimandati). Inoltre, il campionato europeo di calcio 2020 – un evento sportivo di primo piano e con un forte indotto per il settore turistico – è stato rinviato al 2021, con un significativo impatto sulle previsioni del fatturato legato a questo tipo turismo occasionale. Come accennato, i paesi mediterranei stanno già pagando un prezzo elevato e, per quanto riguarda il caso italiano, secondo Assoturismo, l’Italia quest’anno perderà circa il 60% dei flussi turistici. In questo contesto, i documenti dell’Ue sembrano voler sottolineare il fatto che i trattati comunitari assegnino competenze limitate a Bruxelles in ambito turistico e solo in materia di supporto e coordinamento rispetto agli Stati membri.
È sicuramente prematuro effettuare stime sui danni al turismo nei paesi mediterranei, tuttavia l’Unwto prospetta un calo globale del 20-30% per il 2020 rispetto all’anno precedente, corrispondente a un massimo di 270 miliardi di euro di minor fatturato. Per fare un paragone, l’epidemia della Sars del 2003 portò ad un calo dello 0,4% rispetto all’anno precedente. Il mese scorso, lo stesso Commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni ha affermato che Spagna, Italia e Grecia subiranno una recessione storica, la più grave dal dopoguerra: Italia e Spagna di circa il 9,5% e Grecia del 6,5%.
Recentemente i primi ministri di Italia e Spagna – Giuseppe Conte e Pedro Sanchez – hanno inviato una lettera comune alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con l’obiettivo di ottenere sostegno dalle autorità di Bruxelles e favorire un ritorno alla normalità. “Crediamo che per avere una ripartenza armonica ed efficace – hanno scritto Conte e Sanchez – il rallentamento delle restrizioni ai nostri confini interni debba essere portato avanti in maniera coordinata e non discriminatoria, basata su chiari, comuni e trasparenti criteri epidemiologici”. È evidente come i due leader abbiamo voluto fare riferimento agli accordi bilaterali stretti tra alcuni Stati membri e all’assenza di una politica comune europea. Se Italia e Spagna sembrano muoversi in sintonia, tra Atene e Roma ci sono stati di recente alcuni momenti di incomprensione rispetto ad alcune restrizioni al turismo verso la Grecia, turismo proveniente dalle Regioni del nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte e Emilia-Romagna). Il recente incontro ad Atene tra il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio e il suo omologo greco Nikos Dendias ha contribuito, se non altro, a chiarire che, con gradualità, entro la fine di giugno la Grecia eliminerà ogni limitazione nei confronti dell’Italia.
Per cercare di tirare le fila del discorso sulla base dei dati e delle considerazioni appena esposte sembra che, ancora una volta, in una situazione delicata le istituzioni di Bruxelles non siano state in grado di svolgere un’azione di guida e coordinamento fra Stati membri, ma abbiano piuttosto dimostrato una certa riluttanza nel regolare gli affari interni, con risultati negativi. È questa almeno l’impressione che si evince nel leggere le osservazioni contenute nella lettera dei leader di Italia e Spagna. Tra l’altro, le incomprensioni fra Roma e Atene degli scorsi giorni suggeriscono che il fatto di aver lasciato campo aperto ad accordi bilaterali potrebbe provocare divergenze che potrebbero avere ripercussioni spinose in sede Ue. In altre parole, Italia e Spagna da una parte, e Grecia dall’altra, potrebbero schierarsi su fronti opposti rispetto a prossime scelte in ambito europeo, memori della gestione non collegiale rispetto al tema della riapertura al turismo – un tema che vede i tre Stati mediterranei in perenne competizione.
È proprio durante i momenti di crisi che i nodi della politica vengono al pettine, e la pandemia sembra aver messo nuovamente in luce alcuni limiti dell’Unione europea come organismo sovranazionale, un’Unione a cui a volte sembrano mancare proprio le caratteristiche di unità, coordinamento e collegialità nelle decisioni, e che tende a riproporre una dicotomia tra i paesi ricchi del nord e i paesi poveri del sud. Questa volta la frattura tra nord e sud presenta inoltre una variante: la gestione europea è riuscita a creare divisioni anche fra paesi mediterranei, che invece su molti fronti – dalle finanze, alle migrazioni e al turismo – hanno interesse a presentarsi compatti nel richiedere politiche più incisive e responsabilizzanti per tutti gli Stati membri.
Rigas Raftopoulos