Gli abitanti della Repubblica turca di Cipro del Nord – la parte di Cipro occupata dalla Turchia nel 1974 e riconosciuta ufficialmente come Stato indipendente solo dal governo di Ankara – sono stati recentemente chiamati a scegliere un nuovo presidente. Le votazioni dovevano tenersi lo scorso aprile, ma a causa della pandemia di Covid-19 sono state rinviate di sei mesi. Alla fine, le elezioni hanno visto la vittoria di Ersin Tatar, sostenitore della “linea dura” sulla risoluzione della questione cipriota – ossia l’idea che Cipro Nord non debba essere riunificata con la Repubblica di Cipro, lo Stato riconosciuto dal resto della comunità internazionale che fa anche parte dell’Unione europea.
Le elezioni si sono svolte in due turni, e durante il primo gli elettori sono stati chiamati a votare anche per un referendum costituzionale sull’aumento dei membri della Corte suprema. Questo allargamento era stato “suggerito” in parte dalla stessa Corte: la motivazione alla base di questo emendamento costituzionale era il raddoppio della quantità di lavoro che grava sulle spalle della Corte rispetto al decennio precedente. Con uno scarto dello 0,26% dei voti (49,87% contro il 50,13%) la riforma è stata rifiutata. Il referendum era stato appoggiato da cinque dei sei partiti in parlamento, e per questo ci si aspettava un largo consenso da parte della popolazione. L’opposizione dei piccoli partiti e dei movimenti extra-parlamentari e non-governativi ha tuttavia mostrato una grande efficacia sui social network, tanto da indurre il partito di governo (il Partito di unità nazionale, o Ubp, Ulusal Birlik Partisi) a esprimere pubblicamente il proprio disappunto verso gli altri partiti che, a suo dire, avrebbero sostenuto il referendum all’interno del parlamento per poi, all’esterno, favorire la campagna per il no. Il risultato del referendum ha posto qualche punto interrogativo anche sul risultato finale delle presidenziali.
Per quanto riguarda le presidenziali, degli undici candidati nessuno è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta dei voti al primo turno, e al ballottaggio si sono affrontati il presidente uscente Mustafa Akıncı e Ersin Tatar, ex primo ministro, con un “risultato di partenza” del 29,84% per il primo e de 32,35% per il secondo.
I due candidati e la questione cipriota durante la campagna elettorale. Sostenuto inizialmente da due partiti che contavano insieme circa l’11% dei voti, Mustafa Akıncı ha governato da indipendente durante il quinquennio 2015-2020 in un sistema semi-presidenziale con legge elettorale proporzionale. Questo ha portato a un susseguirsi di coalizioni di governo guidate, alternativamente, dai due partiti maggiori, il già citato Ubp e il Cumhuriyetçi Türk Partisi (Ctp, Partito repubblicano turco). Nonostante i governi poco stabili, in politica estera Akıncı si è molto impegnato per realizzare il punto principale del suo programma elettorale del 2015: un riavvicinamento graduale con la Repubblica di Cipro con l’obiettivo di una riunificazione. Tra il 2016 e l’inizio del 2018 ci sono stati alcuni tentativi di negoziato tra le due parti, soprattutto sotto l’ombrello delle Nazioni unite. I tentativi di Akıncı hanno spesso avuto battute d’arresto, fino ad arrivare a un “binario morto” a causa delle esplorazioni energetiche turche proprio in quella porzione di mare che dovrebbe essere de iure sotto sovranità greco-cipriota, ma che si trova de facto sotto controllo turco-cipriota.
Anche nel corso di questa ultima campagna elettorale, Akıncı ha sostenuto l’idea di una “soluzione federale”. Nel suo programma, uno Stato federale di Cipro avrebbe garantito una certa autonomia al nord dell’isola – principalmente al fine di tutelare la minoranza turca – e avrebbe permesso alla politica turco cipriota di non essere più soggetta alla pressione politica di Ankara.
Purtroppo per Akıncı, quello che era il punto centrale del suo programma elettorale (tanto nel 2015 quanto nel 2020) si è rivelato incompatibile con il secondo punto del suo progetto politico: la ricostruzione delle relazioni con la Turchia sulla base di un’amicizia paritetica e non di una sottomissione. Il rapporto tra Akıncı e il suo “omologo” turco, Recep Tayyip Erdoğan, non è mai stato idilliaco e quest’ultimo ha sempre cercato – con discreto successo – di sabotare le iniziative di Akıncı in ambito internazionale, in certe circostanze remandogli contro e in altre semplicemente ignorandolo – come nel caso delle esplorazioni petrolifere. D’altronde, la difficoltà nel ricostruire questa relazione diplomatica asimmetrica era già stata portata all’attenzione dei turco-ciprioti dallo stesso Erdoğan nel 2015. Durante una conferenza stampa, interrogato dai giornalisti sulle dichiarazioni elettorali di Akıncı, il presidente turco chiese infatti – retoricamente – come Cipro Nord avrebbe potuto sostenersi senza l’ubertoso aiuto turco. Fra l’altro, l’osservazione era condivisa anche da alcuni analisti greco-ciprioti.
Durante la campagna elettorale del 2020, Akıncı ha cambiato passo per quanto riguarda la relazione con la Turchia e ha cercato la “demolizione” delle relazioni con Ankara, cercando di presentarsi come garante della libertà e dell’autonomia politica turco-cipriota e come “barriera” di fronte ai tentativi turchi di sabotarle. Infatti, Akıncı ha denunciato più volte le interferenze turche nella politica interna del paese, riportando la presenza di alcuni parlamentari turchi dell’Adalet ve Kalkınma Partisi (Akp, Partito della giustizia e dello sviluppo, il partito di Erdoğan) e del Milliyetçi Hareket Partisi (Mhp, Partito d’azione nazionalista) sul territorio nord-cipriota. Secondo la stampa, questi avrebbero fatto campagna elettorale in favore di Tatar sotto la copertura dell’ambasciata turca. Contemporaneamente, Akıncı ha denunciato le minacce ricevute, tramite il suo staff politico, da alcuni agenti dell’intelligence turca. Gli stessi servizi segreti turchi avrebbero, inoltre, “hackerato” l’email del capo del suo staff politico per compromettere la sua campagna elettorale. Le segnalazioni sono state poi smentite da Ankara e definite “ridicole” dalla stampa filo-turca e dal suo avversario Ersin Tatar.
Quest’ultimo, come detto, è l’ex primo ministro che dal 2019 ha collaborato con il presidente uscente – e suo rivale nella recente tornata elettorale – Mustafa Akıncı. Tatar è stato il candidato dell’Ubp ed è schierato apertamente per la soluzione dei due Stati e per un consolidamento delle relazioni con Ankara. Beninteso, per Tatar la soluzione dei “due Stati” deve seguire la via del dialogo politico non solo con la controparte greco-cipriota ma anche con l’Unione europea. Questo perché l’obiettivo politico non è solo il riconoscimento internazionale ma anche l’ammissione di Cipro nord nell’Unione europea.
Se nei confronti dell’Ue la posizione politica di Tatar è probabilmente stata motivata più da interessi elettorali che da reali e fattibili programmi, sul fronte delle relazioni con la Turchia, la posizione di Tatar si basa principalmente su un “cinico pragmatismo”. Il nuovo presidente è dell’idea che nel breve periodo la soluzione migliore per la stabilità economica e politica di Cipro Nord sia affidarsi alle risorse politiche ed economiche turche, senza rinunciare al dialogo con l’Ue e cercando di acquisire una proprio spazio politico all’interno delle relazioni internazionali.
Gli stretti legami tra Tatar e l’Akp hanno destato molti mal di pancia nella stampa cipriota, soprattutto quando il giornale Özgür Gazete ha pubblicato le foto degli incontri informali di Tatar con consiglieri del vice-presidente turco Fuat Oktay. Tali incontri si sarebbero svolti quotidianamente per discutere delle strategie della campagna elettorale. Il neo-eletto presidente Tatar ha in seguito denunciato la diffusione della notizia come “violazione della privacy”, promettendo azioni legali contro i responsabili.
Questa sua “auto-difesa” ha alimentato ulteriormente le polemiche verso di lui sulla questione della tutela della libertà di stampa, alimentate soprattutto dai partiti di opposizione. Inoltre, la presa di posizione di Tatar ha definitivamente confermato i legami tra il suo partito e l’altra sponda del mar di Cilicia. A scanso di equivoci, Tatar si è recato in visita ad Ankara poco prima della conclusione della campagna elettorale.
Sebbene il risultato del referendum, l’endorsement in foavore di Akıncı da parte del secondo più grande partito turco cipriota, il Ctp, e qualche infelice episodio della campagna elettorale di Tatar abbiano messo qualche dubbio sulla vittoria dell’Ubp, il risultato si è rivelato come da pronostici favorevole a quest’ultimo e al suo candidato. Con una differenza di circa 5000 voti, Ersin Tatar si è infatti assicurato il 51,69% dei voti contro il 48,31% dello sfidante.
I negoziati sullo status di Cipro. È ancora presto per dire in che misura il risultato delle ultime elezioni possa avere delle conseguenze sul futuro dei negoziati sullo status dell’isola. Prima ancora del risultato del voto, il segretario delle Nazioni unite, António Guterres, aveva espresso l’intenzione di riprendere i negoziati secondo le modalità precedenti e basandosi sui risultati raggiunti fino a oggi.
Più che una previsione realistica, quella del segretario dell’Onu sembra essere una speranza in quanto, come già accennato, Tatar è per la soluzione dei due Stati. Questo non vuol dire che i negoziati saranno sicuramente congelati. Anzi, probabilmente riprenderanno, ma seguiranno altre direttrici politiche. Infatti, prima di arrivare a un accordo sullo status di Cipro – che per Tatar vuol dire passare per il riconoscimento internazionale della Repubblica turca di Cipro del Nord – sarà necessario raggiungere altri accordi su questioni più specifiche.
Uno su tutti riguarda lo status di Varosha, sobborgo di Famagosta e meta turistica di fama internazionale prima dell’invasione turca. La città, ora “fantasma”, è un punto importante del programma politico di Tatar: ricadendo praticamente sulla linea di controllo tra Cipro Nord e la Repubblica di Cipro, Varosha è chiusa al pubblico ma Tatar vorrebbe riaprirla – sotto sovranità turco-cipriota – per riabitarla e restituirle la reputazione internazionale ormai perduta. Pochi giorni prima della campagna elettorale Tatar ha annunciato la riapertura di alcune vie della città, la volontà di ripopolarla e di riaprire al pubblico delle spiagge. Questo piano è stato appoggiato dal presidente turco Erdoğan, ma ha causato la caduta del governo a pochi giorni dalle elezioni presidenziali, a seguito del ritiro di uno dei partiti dalla coalizione.
Un’altra questione fondamentale è quella dello sfruttamento dei giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale: senza un accordo internazionale sullo sfruttamento di queste risorse, difficilmente si potrà arrivare a un accordo onnicomprensivo sul futuro di Cipro. Tatar, da parte sua, punterà sulla sua forte amicizia con Erdoğan per avere una parte consistente dei vantaggi che potenzialmente potrebbero derivare dallo sfruttamento di queste risorse. Dal punto di vista dei negoziati con i greco-ciprioti, questa scelta potrebbe tuttavia rendere più difficile – se non addirittura impossibile – un qualsivoglia compromesso sullo status dell’isola.
In conclusione, sebbene la soluzione dei due Stati appoggiata da Tatar sia quasi sicuramente irricevibile in sede internazionale, e soprattutto europea (in quanto l’Ue riconosce la sovranità della Repubblica di Cipro su tutta l’isola) i negoziati sulle questioni “minori” certamente rimarranno sul tavolo delle Nazioni unite. Ancor più di prima, però, su questi ultimi penderà la spada di Damocle di Erdoğan, in quanto a partire da questa settimana e per i prossimi cinque anni ad Ankara hanno la certezza che a palazzo Silihdar (sede della presidenza di Cipro Nord) ci sarà ben più di un alleato del presidente turco: dietro la scrivania presidenziale siederà di fatto un “fratello minore”.
Marcello Ciola