La pandemia di coronavirus annunciata lo scorso marzo dal direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è stata l’inizio di un’emergenza sanitaria che trova oggi impegnati gran parte dei governi del pianeta. Ben presto sono diventate chiare anche le numerose sfaccettature geopolitiche legate alla crisi, e tutto ciò ha portato la Cina al centro dell’attenzione.
Il governo di Pechino ha inizialmente subito un notevole crollo di immagine, dovuto al fatto che la città cinese di Wuhan è stata il primo grande centro di diffusione della malattia. Inoltre, l’emergenza sanitaria è stata in un primo tempo sottovalutata e minimizzata dalle autorità pubbliche cinesi. La pandemia di Covid-19 ha tuttavia reso necessaria la fornitura di materiali medicali e strumenti di protezione individuali – come le mascherine chirurgiche – sia per i paesi europei, sia, e soprattutto, per i paesi in via di sviluppo. Per sopperire al crollo di immagine iniziale, i leader cinesi hanno cercato in tutti i modi di mostrare la loro volontà di mettere le capacità produttive e logistiche del loro paese al servizio del resto del mondo.
In questa partita, il Mediterraneo rimane una regione importante. È sempre più evidente come da anni gli interessi cinesi siano cresciuti esponenzialmente nell’area: importanti paesi del Maghreb, come il Marocco e l’Algeria, guardano a Pechino come un interlocutore sempre più indispensabile per la realizzazione di progetti nel settore delle infrastrutture, e più in generale come un partner per il futuro e un modello di sviluppo.
Anche in Nord Africa l’epidemia di Covid-19 ha causato migliaia di vittime e contagiato un numero sempre più importante della popolazione. I numeri sono in continua crescita, anche se una stima verosimile sembra difficile da inquadrare alla luce di un monitoraggio per molti versi lacunoso. Le ripercussioni economiche sono e saranno molto gravi, in una regione che vede già una fascia di popolazione sempre più ampia scivolare nella trappola della povertà. In questo contesto – come del resto anche in Europa – sempre più speranze vengono riposte nella disponibilità al più presto di un vaccino, ed è proprio la corsa al vaccino che oggi diventa un altro campo di competizione geopolitica. A differenza delle aziende occidentali che, dopo un processo scandito da varie fasi di studio e sperimentazione, sembrano ormai prossime al traguardo di un vaccino ufficialmente approvato dalle autorità pubbliche e pronto per la produzione e distribuzione su vasta scala, le aziende farmaceutiche cinesi – con una velocità straordinaria che tuttavia potrebbe far suonare qualche campanello di allarme – sono riuscite a portare ben quattro vaccini su dieci in fase tre, l’ultima fase di sperimentazione. Come annunciato dal colosso farmaceutico cinese Sinopharm, anche se non sono ancora chiari e completi i risultati della fase tre, oggi più di un milione di cittadini cinesi ha già ricevuto il vaccino, e questo ha generato non poche critiche da parte della comunità scientifica internazionale, che ha definito questa scelta molto rischiosa.
Nonostante i rischi, anche diversi paesi dell’America Latina, del Medio Oriente e Africani con stretti legami politici con il regime di Pechino, si sono inseriti nella fase di sperimentazione. Gli Emirati Arabi Uniti sono stati il primo paese arabo a rendersi disponibile per la fase di sperimentazione su larga scala del vaccino cinese, seguiti a stretto giro da Egitto, Algeria e Marocco, che hanno già prenotato il vaccino Sinopharm per milioni di dosi. Proprio dal sovrano marocchino Mohammad VI lo scorso 9 novembre è arrivato l’annuncio a sorpresa del lancio, entro poche settimane, di una campagna vaccinale su vasta scala. Dopo una prima sperimentazione nel paese, che ha coinvolto più di 600 cittadini, i risultati registrati dal comitato scientifico sembrano rassicuranti, almeno a detta degli esperti nazionali. Una prima tranche di 5 milioni di dosi è già stata ordinata ed è in arrivo nel regno.
Per di più, il governo di Rabat non si è limitato meramente a essere uno dei primi paesi africani a inaugurare una vasta campagna di vaccinazioni usando il l’antidoto cinese, ma ha anche siglato un accordo con Sinopharm – e quindi di fatto con il governo cinese – per produrre sul proprio territorio il vaccino, al fine di esportarlo nel continente africano, diventando così un hub strategico nella regione.
Le autorità marocchine hanno inoltre adottato una strategia di comunicazione molto rassicurante per la campagna vaccinale – ad esempio, nei canali televisivi più seguiti nel regno da diverse settimane vengono ospitati esperti che illustrano la tecnologia alla base del vaccino e la sua sicurezza. In altre parole, anche senza una validazione del mondo scientifico del vaccino cinese (non solo quello della Sinopharm, ma anche per gli altri vaccini in attesa di approvazione) i mass media stanno giocando un ruolo centrale per far sì che, finita la sperimentazione della fase 3 e arrivati i primi 5 milioni di dosi, si possa attuare senza particolari ostacoli un’ampia campagna di vaccinazioni.
Anche in Algeria il governo ha dato ampio spazio nei giornali e nei media a un accordo siglato con Pechino, analogamente a quanto avvenuto in Marocco . Anche l’Algeria ambisce ad essere tra i primi paesi a ricevere il vaccino, e l’ambasciatore cinese Li Lianhe ha dichiarato che un vaccino sarà presto disponibile nel paese. Dunque come nella fase iniziale della pandemia – in cui si è parlato ad esempio di una “diplomazia delle mascherine” da parte di Pechino – in queste ultime settimane si parla della “diplomazia del vaccino”. Il passaggio da una questione sanitaria a un sfida geopolitica è stato dunque quasi automatico.
Altri paesi del Maghreb hanno siglato accordi per accedere al vaccino sviluppato dall’americana Pfizer e dalla tedesca BioNTech per diversi milioni di dollari. Tra i governi che stanno puntando sui vaccini occidentali figura la Libia, per la precisione il Governo di accordo nazionale di Tripoli.
Queste dinamiche relative al mercato dei vaccini mostrano come la Cina sia diventata un attore geopolitico sempre più indispensabile nell’area mediterranea. Se fino a poco tempo fa Pechino veniva considerata dai paesi del Maghreb come un ottimo partner economico con ingenti risorse finanziarie, dopo questa fase la Cina potrebbe essere percepita dai popoli del Nord Africa anche come un alleato vicino nel momento del bisogno. Se si considera il ruolo attuale e potenziale del bacino mediterraneo nel quadro degli scambi economici attraverso la “nuova via della seta”, si può constatare che le politiche di Pechino in questi anni stanno riscuotendo notevole successo, che potrebbe persino aumentare una volta superata la pandemia. Ci si può domandare quali conseguenze avrà questo crescente attivismo cinese nel Mediterraneo per i paesi europei, e in particolare per gli Stati membri dell’Unione europea.
Mohamed el-Khaddar