La parola islamofobia viene utilizzata per la prima volta nel 1923 da Stanley A. Cook in un articolo intitolato The History of Religions, pubblicato all’interno del Journal of Theological Studies. Poco tempo dopo, viene citata anche dall’Oxford English Dictionary (online): nel 1925, Etienne Dinet e Slima Ben Ibrahim adottano questo termine per descrivere un’ideologia caratterizzata da “ostilità infondata” verso i musulmani che prende piede a partire dal XX secolo.
Lo studioso Chris Allen, nel suo libro Islamophobia pubblicato nel 2010, spiega che il termine in questione, utilizzato all’inizio del Ventesimo secolo, era in qualche modo dissimile dal suo uso contemporaneo. Infatti, veniva inteso più come una paura dell’Islam da parte dei musulmani liberali e modernisti, e non dai non musulmani.
Fino agli anni ‘90, l’islamofobia non è stata mai studiata in modo approfondito e, al contempo, non si è mai data una sua definizione chiara. In effetti, si deve aspettare il 1997 e la pubblicazione del report elaborato dal Runnymede Trust, Islamophobia: A Challenge for Us All per far acquisire al termine un’attenzione maggiore, sia negli spazi pubblici che politici. Il primo rapporto del Runnymede definisce la parola islamofobia in tre parti: ostilità infondata verso l’Islam; conseguenze pratiche di tale ostilità in seguito all’ingiusta discriminazione nei confronti di individui musulmani e comunità; esclusione dei musulmani dalla politica tradizionale e dagli affari sociali. Dopo 20 anni, nel 2017 Runnymede ha pubblicato un altro report dove ha sviluppato una definizione più ampia e completa basandosi sulla definizione di razzismo delle Nazioni Unite, in base alla quale: “l’islamofobia è il razzismo anti-musulmano” e, in una definizione più larga, “è qualsiasi distinzione, esclusione o restrizione o preferenza nei confronti dei musulmani (o di coloro che sono percepiti come musulmani), che ha lo scopo o l’effetto di annullare o compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su un piano di parità, di diritti umani e libertà fondamentali nel campo politico, economico, sociale, culturale o in qualsiasi altro campo della vita pubblica”.
Alcuni studiosi di questa materia, come Tariq Modood e Nasser Meed, hanno evidenziato due dinamiche distinguibili che permeano gli atteggiamenti ostili nei confronti dei musulmani in Europa: la prima si trova in modo definito nelle agende contemporanee di sicurezza e antiterrorismo (e relative ansie associate che alimentano una cartolarizzazione delle relazioni etniche in senso più ampio); la seconda è stata ereditata da un rapporto storico-ideologico con le nozioni dell’Oriente, che si intreccia con le eredità dell’imperialismo.
In particolare, il concetto dell’islamofobia e i sentimenti anti-musulmani, in Occidente, sono aumentati con l’evento tragico dell’11 settembre: l’attacco alle Torri Gemelle, a New York, nel 2001. I musulmani in Occidente hanno subìto vari attacchi e discriminazioni, ispirati dall’odio islamofobo aumentato in modo significativo in seguito agli atti terroristici contro gli Stati Uniti e intensificatosi in seguito agli attacchi del 7 luglio 2005 nel Regno Unito. La comunità musulmana nel Regno Unito, considerata la più grande in Europa dopo quella francese, ha dovuto affrontare livelli significativamente elevati di odio religioso e razziale, manifestato con crimini e incidenti ispirati dall’odio. In un’analisi pubblicata nel 2002 dall’Università di Leicester, elaborata da Sheridan Lorraine, si dimostra che l’84% dei britannici tendeva ad essere più sospettoso dei musulmani dopo l’11 settembre e che l’82% credeva che i musulmani fossero troppo isolazionisti; il 56% riteneva di non avere nulla in comune con i musulmani; il 63% suggeriva che i musulmani avessero fatto poco per promuovere la tolleranza tra sé stessi e gli altri; uno su sei affermava che sarebbe stato “deluso” se i musulmani fossero diventati i loro vicini.
Un altro evento significativo che recentemente ha innescato l’aumento dei fenomeni islamofobici è stato il susseguirsi di attacchi terroristici ispirati dall’ISIS in Europa, in particolare tra il 2015 e il 2018. La ricerca svolta dal Pew Global Attitudes Projects 2016, dimostra la percentuale della visione sfavorevole verso i musulmani nei diversi paesi europei.
Questi dati sono un elemento fondamentale da considerare per una società europea che ad oggi vede presente oltre 25 milioni di musulmani residenti in 28 Paesi dell’Unione europea (Ue), il 4,9% della popolazione totale, e circa 46 milioni (circa il 6%) in tutta Europa (inteso come continente). Questa stima non include coloro che chiedono asilo nei vari paesi membri dell’Ue. Solo in Germania e Francia, secondo il Pew Research Report, rispettivamente più di 320.000 e 140.000 musulmani, aspettano che il loro status legale venga determinato. Francia, Germania, Regno Unito e Italia sono tra i paesi più densamente popolati di musulmani (come minoranza). Inoltre, si prevede che la popolazione europea musulmana potrebbe più che raddoppiare da qui al 2050.
Il ruolo della sfera politica è persino più importante e ha un’influenza diretta sull’aumento o la diminuzione degli attacchi discriminatori in questo contesto contro i musulmani e le comunità islamiche in Europa. Il termine islamofobia è stato usato per obiettivi politici contro l’immigrazione o come elemento strategico per aumentare i sentimenti nazionalisti ed europeisti, soprattutto in periodo di crisi economica. Tant’è vero che diversi partiti politici in Francia, Austria e Italia sono riusciti a guadagnare voti con le loro campagne elettorali, lanciando diversi messaggi sulla necessità di salvare la cultura europea e quella cristiana, indicando un nesso tra i diversi problemi della società e l’arrivo degli immigrati illegali, in molti casi di fede islamica. Al contempo, la fede diversa viene indicata, da alcuni partiti, come una minaccia ai valori socio-culturali del proprio paese.
Ci sono diversi esempi in cui è possibile notare tale fenomeno, ossia il possibile collegamento tra il discorso migratorio e l’aspetto religioso, evidenziato da politici di diversi paesi. Angela Merkel, già cancelliera tedesca, per mettere in guardia i profughi musulmani dalla Siria ha detto che “l’integrazione è un dovere (…) vuoi stabilirti in Germania Impara la lingua, abituati ai valori occidentali e trova un lavoro”; Carlo, il principe del Galles, ha affermato che “se vivi nel nostro Paese, devi rispettare i nostri valori”(2015). Il già primo ministro francese Nicolas Sarkozy ha dichiarato con veemenza che “se vieni in Francia, devi fonderti in un’unica comunità, che è la comunità nazionale. Se non accetti questo, non puoi essere accolto in Francia” (2011). L’altro esempio, ancora più rigido, è la legge applicata dalla Francia nel 2004 e nel 2010 per vietare alle donne di indossare il velo nelle istituzioni educative, nei trasporti e negli ospedali, e l’uso di simboli religiosi nelle scuole. In Italia, Matteo Salvini (Lega) ha affermato che “un certo islam è incompatibile con la nostra società” (agosto 2018). La diffusione di discorsi di odio promossi dalla Lega e dal suo leader, e sostenuti da altri partiti di destra come Fratelli d’Italia, ha fatto crescere i contenuti razzisti e xenofobi contro gli immigrati, i richiedenti asilo, i rifugiati e i musulmani nell’opinione pubblica e nel discorso politico, soprattutto nel quadro di una battaglia politica caratterizzata dallo slogan nazionalistico “Prima gli italiani”. Inoltre, è stato fondato appositamente un partito anti-islamizzazione (PAI) nel 2017 con l’obiettivo di difendere le istituzioni italiane dal rischio Islam.
L’altro fattore molto importante da evidenziare quando si parla del fenomeno hate speech sono gli attacchi sui social media.
Le analisi dei dati dimostrano perfettamente, infatti, quanta ostilità o espressioni negative esistano sui social media nei confronti di cittadini musulmani o di immigrati provenienti dai paesi islamici. Vi è inoltre una folta presenza sul web di movimenti di estrema destra e gruppi neofascisti, come Forza Nuova e Casa Pound, direttamente coinvolti in queste campagne, con una grande varietà di pagine Facebook, Twitter o siti internet. In questo contesto, vale la pena sottolineare la crescita di tali movimenti sui social media e sul web e come la loro strategia dialettica sia fondata su un sentimento anti-Islam e anti-migrazione, come viene evidenziato nel report sull’islamofobia del 2018.
L’intolleranza e la discriminazione contro i musulmani, sia nel mondo reale che virtuale, certamente, costituiscono dei fenomeni denigratori, soprattutto per le seconde generazioni, nonché causa dell’isolamento di queste ultime nella stessa società in cui vivono, oltre che un terreno fertile per la radicalizzazione tra alcuni giovani musulmani. Il razzismo “culturale”, di origine anti-islamico e non, contrasta gli sforzi di integrazione e inclusione di un numero sempre più crescente di giovani musulmani in Europa, così come è un pericolo per la libertà di tutti e, in particolare, di quelle categorie (le donne su tutte) ancora oggi troppo vulnerabili nella società civile.
Shirin Zakeri