Il cammino verso una fase democratica e stabile per la Libia si allontana giorno dopo giorno. L’interruzione del processo politico – voluto fortemente dalle Nazioni Unite – si è concretizzata con il rinvio delle elezioni programmate per lo scorso 24 dicembre. Dopo i timidi passi avanti fatti dalle fazioni rivali verso l’unità politica e nazionale, la Libia deve affrontare quindi, per l’ennesima volta nell’ultimo decennio, una divisione istituzionale, con premier rivali che rivendicano il potere e che annunciano programmi diversi per il futuro. In tale contesto, le elezioni non sono mai state così lontane per l’ex colonia italiana come lo sono, purtroppo, oggi.
La nomina di un nuovo primo ministro da parte della Camera dei Rappresentati (HoR) – con sede a Tobruch – ha riacceso le tensioni, mai del tutto sopite nel paese maghrebino, e ha riportato la Libia nel caos. Fathi Bashagha ha ottenuto la fiducia dall’Assemblea parlamentare lo scorso 1° marzo e ricevuto l’incarico di guidare il paese verso le prossime elezioni che dovrebbero svolgersi (nei piani dell’HoR) entro 14 mesi. Pochi giorni dopo, lo stesso neopremier ha presentato la sua squadra governativa (Governo di stabilità nazionale – Gns) e ha prestato giuramento nel bel mezzo di eventi che hanno palesato la situazione delicata che sta affrontando attualmente l’ex Jamahiriya. Il 3 marzo, infatti, il nuovo ministro degli Esteri, Hafez Gaddour – ambasciatore libico in Italia dal 2006 al 2012 – e la ministra della Cultura, Salha Al-Zarrouk, sono stati rapiti sul tragitto da Misurata a Tobruch, dove si stavano recando per prendere parte alla cerimonia per il giuramento del nuovo esecutivo.
Bashagha, molto vicino alla Fratellanza musulmana ed ex ministro dell’Interno durante il governo (Gna) guidato dall’allora premier Fayez al-Serraj, è stato scelto, secondo alcuni osservatori, come nuova figura politica che possa unire Est ed Ovest in questa fase transitoria. Inoltre, il politico di Misurata ad oggi è sostenuto sia da Aquila Saleh, presidente dell’HoR, che da Khalifa Haftar, generale dell’Esercito nazionale libico (Lna) e uomo forte della Cirenaica. La nomina di Bashagha ha creato non pochi dubbi alla comunità internazionale e qualche perplessità anche a player esterni come la Turchia, da sempre sostenitrice del Governo di unità nazionale (Gnu) di Tripoli, ma che in passato ha affiancato il misuratino Bashagha, in quanto ministro del Gna e nemico di Haftar.
La maggior parte della comunità internazionale vuole le elezioni il prima possibile e non ha visto di buon occhio la formazione di un nuovo governo transitorio, che potrebbe solamente rallentare il processo per il raggiungimento della stabilità definitiva del paese nordafricano. L’esistenza di due governi, come già accaduto nel recente passato, è sintomo della persistente divisione che è stata la causa principale del fallimento del processo organizzato dalle Nazioni Unite. Tuttavia, ad oggi, il rischio di un riaccendersi del conflitto militare appare ancora difficile, ma non del tutto impossibile. Il fatto che Haftar abbia appoggiato le manovre di Saleh per ottenere la nomina di Bashagha come primo ministro svela una strategia più profonda e soprattutto diversa rispetto agli anni precedenti. Alleandosi con un attore importante della regione occidentale, come appunto lo è Bashagha, e potenzialmente avvicinando un’altra figura rilevante di Misurata, come l’ex vicepremier del Gna Ahmed Maitig, Haftar sta verosimilmente creando sempre più fratture nella fazione occidentale. Ciononostante, lo scenario con un Haftar in grado di governare indirettamente su Tripoli, senza il “benestare” delle milizie presenti nella capitale, non è così scontato e di così facile realizzazione. Anzi, una possibile reazione dei gruppi armati all’evolversi della situazione politica appare molto più probabile, come dimostrato dagli ultimi eventi. Su quest’ultimo punto, l’Onu ha messo in guardia contro le “provocazioni” che potrebbero portare ad uno scontro tra milizie. La preoccupazione deriva dalle notizie circolate nei scorsi giorni che hanno visto, da una parte, le milizie della capitale impedire l’ingresso al nuovo Gns e, dall’altra, gruppi armati vicini a Bashagha ammassarsi alla periferia di Tripoli, alimentando tensioni e aspettative su un’eventuale entrata con la forza.
A Tripoli, invece, il premier del Gnu, Abdulhamid Dbeibah, continua a non voler lasciare la propria carica, nonostante le dimissioni di diversi membri e ministri del suo esecutivo. Dbeibah – di Misurata come Bashagha – ha annunciato nelle scorse settimane il suo piano per lo svolgimento della tornata elettorale il prossimo giugno. Secondo l’imprenditore misuratino, tale processo prevede alcuni step necessari: la formazione di un comitato col compito di dare vita ad una legge elettorale nel più breve tempo possibile da sottoporre all’HoR entro due settimane; lo svolgimento di un referendum costituzionale, in conformità con la Dichiarazione costituzionale del 2011 e con l’accordo raggiunto a Hurghada a inizio 2021; inoltre, un rapido aggiornamento del registro degli elettori e la possibile creazione di un sistema di voto elettronico nel caso in cui una delle forze presenti sul territorio impedisca ai cittadini, attraverso l’uso delle armi, di recarsi fisicamente a votare. Dello stesso avviso di Dbeibah è il capo dell’Alto consiglio di Stato (Hcs), Khalid al-Mishri. Quest’ultimo, nonostante i buoni rapporti con Fathi Bashagha, ritiene che la nascita di un nuovo governo parallelo – supportato da Haftar – sia solo motivo di ulteriori divisioni e contribuisca a un peggioramento dell’attuale stallo politico.
Nelle scorse ore, l’ambasciatore americano in Libia, Richard Norland, ha annunciato che i due primi ministri si sono impegnati a tenere colloqui nei prossimi giorni, sempre sotto l’egida dell’Onu. Proprio il capo della missione onusiana in Libia (Unsmil), Stephanie Williams, ha l’obiettivo di raggiungere un accordo, entro fine marzo, su una legge costituzionale. Il compito sarà quello di tenere colloqui tra i membri dell’HoR e dell’Hcs, i due organi legislativi attualmente presenti, prima del mese del Ramadan. Anche su tale iniziativa le divisioni hanno preso il sopravvento. Mentre l’Hcs ha accolto la proposta della diplomatica, l’HoR l’ha respinta definendola “un percorso ingiustificato”.
Gli sviluppi politici delle ultime settimane hanno dimostrato come la costruzione della “Libia post Gheddafi” si stia rivelando più complicata di quanto si credesse. Nell’attuale dibattito politico all’interno dell’ex colonia italiana poco si parla dei problemi strutturali da risolvere, mentre tutta l’attenzione è rivolta alle elezioni e ai ruoli da ricoprire per controllare il paese. Il cammino verso le urne dovrebbe parallelamente essere affiancato dalla risoluzione dei grandi problemi strutturali: su tutti, unificazione istituzionale, Carta costituzionale e apparato militare e di sicurezza centralizzato. Il tutto per arrivare ad una definitiva stabilizzazione dell’assetto statale e nazionale libico. Appare quindi chiaro come, senza la nascita di un sistema-paese strutturato, la Libia continuerà a navigare nell’ignoto e il suo popolo a “sognare” una classe politica non caratterizzata da fame di potere (con annesso saccheggio delle risorse statali) e corruzione.
Mario Savina
[…] con il rinvio delle elezioni programmate per il 24 dicembre scorso – ha subito un ulteriore colpo con la nascita del nuovo governo parallelo, eletto dalla Camera dei rappresentanti (HoR), con sede a Tobruch. La voglia di governare […]
[…] il rinvio delle elezioni programmate per il 24 dicembre scorso – ha subito un ulteriore colpo con la nascita del nuovo governo parallelo, eletto dalla Camera dei rappresentanti (HoR), con sede a Tobruch. La voglia di governare […]
[…] che riguardare la lotta al radicalismo interno, riguardano anche i propri confini. La situazione in Libia comporta per il Cairo un’attenzione particolare, là dove una soluzione alla crisi del paese […]