A quasi due mesi dal suo inizio, la guerra in Ucraina sta producendo gravi conseguenze, tanto economiche quanto umanitarie. Da un punto di vista prettamente economico, Russia e Ucraina sono i principali produttori di materie prime quali il petrolio e il gas naturale, oltre che di beni primari come il grano. Insieme, infatti, i due paesi rappresentano il 30% delle esportazioni globali di quest’ultimo prodotto. Proprio a causa del conflitto scoppiato il 24 febbraio scorso sono avvenute delle interruzioni all’interno delle catene produttive che hanno determinato, a loro volta, un aumento esponenziale dei prezzi globali.
Ad incidere sullo scenario internazionale sono state anche le sanzioni comminate da più paesi nei confronti della Russia, le quali, nel loro progressivo intensificarsi, stanno concorrendo alla creazione di vari squilibri economici e finanziari. Secondo una previsione economica dell’Organization for Economic Cooperation and Development (OECD), le oscillazioni dei prezzi delle materie prime e dei mercati finanziari a causa della guerra potrebbero, se sostenuti nel tempo, ridurre la crescita del PIL globale di oltre 1 punto percentuale nel primo anno, determinare una profonda recessione della Russia e aumentare l’inflazione globale dei prezzi al consumo di circa 2,5 punti percentuali.
L’indice FAO dei prezzi dei cereali – indice che misura la variazione mensile dei prezzi internazionali di un paniere di prodotti alimentari – ha registrato una media di 170,1 punti a marzo 2022, in aumento di 24,9 punti (17,1%) rispetto a febbraio, riflettendo un aumento dei prezzi mondiali del grano e dei cereali grezzi, in gran parte dovuto alle interruzioni delle esportazioni dall’Ucraina legate al conflitto e, in misura minore, dalla Federazione Russa. Ciò ha intaccato la già limitata disponibilità globale di grano.
Le previsioni della FAO per il commercio mondiale dei cereali del 2021/22 hanno evidenziato una contrazione del 2% degli scambi commerciali rispetto al 2020/2021, indicando persino una riduzione dei volumi di cereali scambiati di 14,6 milioni di tonnellate dal mese di marzo a quello di aprile dell’anno corrente.
Pur essendo vero che gli shock dal lato delle esportazioni saranno ugualmente compensati con la presenza sul mercato di altri paesi esportatori come l’Unione Europea e l’India, dal lato della domanda di cereali, la loro ridotta disponibilità globale ha sminuito le previsioni di importazione per diversi paesi, in particolar modo nel Nord Africa dove i prodotti cerealicoli sono i principali beni presenti nell’alimentazione della popolazione.
Infatti, a spiccare tra i principali importatori di grano insieme alla Turchia, c’è l’Egitto con una spesa nel 2021 pari a 5,2 miliardi di dollari e con una dipendenza dalla Russia e dall’Ucraina pari all’80% del suo fabbisogno totale (rispettivamente 50% dalla Russia e 30% dall’Ucraina).
Anche la Libia – che ha un elevato tasso di insicurezza alimentare – importa circa il 90% del suo fabbisogno di cereali, di cui il 43% dall’Ucraina. Seguono il Marocco con una spesa nel 2021 per l’acquisto di grano pari a 1,28 miliardi di dollari e una dipendenza da Ucraina e Russia pari al 21% del suo fabbisogno; l’Algeria che nel 2021 ha speso 1,64 miliardi di dollari per l’acquisto di grano e 832 milioni di dollari per l’acquisto di mais; la Tunisia che, pur non essendo un rilevante importatore di grano dall’Ucraina (ha speso nel 2021 circa 467 milioni di dollari), a causa di controversie commerciali ha dovuto imporre razionamenti sulle quantità di grano acquistabili dalla popolazione e si è vista costretta a stringere accordi commerciali per acquistare il grano dalla Russia.
Proprio in virtù dell’incremento del prezzo del grano e dei volumi di spesa sostenuti dai paesi nordafricani, questi ultimi temono che si inasprisca la già complicata situazione di insicurezza alimentare, in considerazione dei consumi di grano e dei suoi derivati, nettamente superiori alla media mondiale. Per questo motivo i governi stanno lavorando per gestire medio tempore sia le riserve di grano sia la diversificazione di approvvigionamento dello stesso.
Non riuscendo a garantire una piena autosufficienza della produzione agricola – pur avendola incrementata negli ultimi anni – l’Egitto si sarebbe assicurato spedizioni di grano da Francia, Brasile, Lituania, Bulgaria e Germania in attesa di un calmieramento dei prezzi prima di indire nuove gare d’appalto. Secondo fonti egiziane indipendenti, le scorte strategiche di grano si starebbero riducendo: l’Egitto corre il rischio di riuscire a garantire ai suoi cittadini volumi di grano solo per i prossimi due mesi.
Anche la Tunisia – che è già in grave difficoltà con le scorte di grano a causa di mancati pagamenti ai fornitori i quali hanno bloccato le consegne – non è in grado di soddisfare le richieste interne. Per tale motivo sta procedendo con la diversificazione delle forniture attraverso accordi con l’Argentina, l’Uruguay, la Bulgaria, la Romania e, infine, con la Francia per l’orzo.
Sebbene abbia una sua produzione interna di grano, l’Algeria importa all’anno circa 7,6 milioni di tonnellate di grano (principalmente da Francia, Germania, Canada e Stati uniti). A causa della siccità, nel 2021 – per la prima volta dal 2016 – il paese ha stretto accordi con la Russia per poter coprire una richiesta di grano aumentata del 25% rispetto all’anno precedente. Per cause analoghe, anche il Marocco si è visto costretto ad aumentare le quantità di grano importate, pur mostrando sofferenza rispetto al suo costo, che aumenta per via dell’inflazione.
In Libia, sebbene il ministro dell’Economia del Governo di unità nazionale abbia dichiarato che la crisi ucraina non avrà un forte impatto sul paese, poiché l’ex colonia italiana importa solo il 20% del fabbisogno annuale di grano dall’Ucraina e le riserve di grano sono sufficienti a coprire più di un anno in quanto lo stock esistente supera le 400mila tonnellate, l’aumento dei prezzi, insieme all’instabilità politica interna e alle continue dispute tra le varie istituzioni sulla gestione del settore energetico, potrebbe complicare ulteriormente la situazione in cui versa la popolazione.
È proprio l’aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime a preoccupare il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres. Infatti, gli effetti ultimi delle impennate inflazionistiche ricadono sulla popolazione, con particolare riguardo alle fasce più povere. Pur avendo un prodotto interno lordo sostenuto – benché con differenze tra i vari paesi – tutte le bilance commerciali dei paesi del Nord Africa segnalano valori fortemente negativi. Tale fattore non può non avere una qualche incidenza sul tema dei sussidi alimentari per le categorie più deboli della popolazione, le quali risentono in prima persona delle conseguenze di una congiuntura economica incerta.
In Egitto, sebbene serpeggino dubbi e timori rispetto alle scorte di grano per i mesi a venire, le autorità stanno rassicurando i propri cittadini rispetto all’accesso ai beni alimentari. Il governo ha, inoltre, intenzione di aumentare il prezzo del pane sussidiato agli oltre 72 milioni di cittadini che beneficiano di tale sussidio. Scelta quasi necessaria a fronte di un aumento esponenziale del prezzo del grano e una spesa di circa 3 miliardi di dollari l’anno in sussidi alimentari per il solo grano (circa l’1,8% della spesa pubblica).
L’aumento dell’indice di inflazione alimentare ha visto crescere il budget dei sussidi per i prodotti essenziali anche in Tunisia, Marocco e Algeria. Secondo l’Osservatorio tunisino dell’Economia (in una nota pubblicata il 28 gennaio 2022), il governo tunisino ha previsto per il 2022 un aumento della spesa per i sussidi del 71,4% rispetto all’anno precedente; il Marocco ha previsto uno stanziamento di circa 1,8 miliardi di dollari per il 2022, con un aumento del 12% rispetto all’anno precedente; l’Algeria, invece, ha previsto uno stanziamento di circa 1,3 miliardi di dollari, con un aumento dell’8% rispetto al 2021.
Nonostante le direttive del Fondo Monetario Internazionale che richiedono una gestione dei sussidi diretta alle sole categorie vulnerabili, ristabilendo la liberalizzazione dei prezzi, i paesi del Nord Africa hanno intenzione di procedervi gradualmente, attendendo una stabilizzazione dei prezzi di mercato mondiale per rivedere tutto il sistema delle sovvenzioni. La scelta di una graduale liberalizzazione dei prezzi è dipesa dalla sensibilità al tema dei sussidi alimentari tra la popolazione. Sono note le proteste popolari rispetto all’accesso ai beni di prima necessità avvenute nel recente passato, come le rivolte degli anni Settanta e Ottanta e quelle nel 2008 in occasione della crisi finanziaria mondiale, trascinatasi fino alle cd. Primavere arabe. Considerando la circostanza che si tratta di paesi “emergenti”, dove i consumi sono collegati ad un’economia di sopravvivenza, il rischio sarebbe, in effetti, quello di una nuova ondata di rivolte politico-sociali in tutta la regione.
L’effetto a farfalla del conflitto russo-ucraino sta preoccupando numerosi paesi per quanto concerne il tema della sicurezza alimentare. Il contratto sul grano al Chicago Board of Trade (il luogo più antico al mondo nel quale poter scambiare futures e opzioni nel mercato agricolo) è aumentato dell’1,4% a circa 11 dollari per staio mentre, sul mercato di Parigi, il prezzo del grano è aumentato del 70% dall’inizio dell’anno. Ma per il Nord Africa, non è solo il prezzo del grano a destare preoccupazioni. A pesare su una situazione economico-finanziaria dagli equilibri precari ci sono anche l’aumento dei prezzi di petrolio e di gas che, unitamente al blocco delle navi cargo, potrebbero dilatare le tempistiche d’arrivo del materiale già pattuito da contratti, con il rischio di aggravare la crisi del settore alimentare. A ciò si aggiungano le ripercussioni del cambiamento climatico che possono aversi sulla produzione mondiale di grano qualora siccità e clima torrido dovessero imperversare nei luoghi di coltura. I paesi del Nord Africa dovranno, dunque, affrontare una nuova sfida, volta alla ricerca di nuovi equilibri per la sicurezza alimentare.
Luisa Bucci
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