Mentre gli occhi di tutto il mondo continuano ad essere rivolti verso ciò che sta accadendo nell’Europa orientale, in Libia lo stallo politico e le divisioni stanno destabilizzando ulteriormente una situazione domestica già complicata e perennemente in bilico, che potrebbe avere ripercussioni anche sul piano regionale e internazionale. Il processo politico onusiano – “naufragato” con il rinvio delle elezioni programmate per il 24 dicembre scorso – ha subito un ulteriore colpo con la nascita del nuovo governo parallelo, eletto dalla Camera dei rappresentanti (HoR), con sede a Tobruch. La voglia di governare l’intero paese del neonato Governo di stabilità nazionale (Gns) e la ferma decisione del Governo di unità nazionale (Gnu) di non abbandonare Tripoli prima dello svolgimento delle elezioni stanno indirizzando il paese maghrebino in un vicolo cieco, con il rischio di un’escalation militare che oggi nessuna delle due parti sembra volere.
La nomina del nuovo primo ministro Fathi Bashagha da parte dell’HoR ha riacceso le tensioni, mai del tutto sopite, e ha riportato il paese nuovamente nel caos politico dopo i progressi dell’ultimo anno. Il misuratino ha ottenuto la fiducia dall’Assemblea parlamentare lo scorso 1° marzo e ha ricevuto l’incarico di guidare il paese verso le prossime elezioni che dovrebbero svolgersi (nei piani dell’HoR) entro 14 mesi dalla nomina dell’esecutivo. Il 21 aprile il Gns si è riunito per la prima volta nella città di Sebha, situata nel Fezzan (regione meridionale), a circa 650 chilometri da Tripoli. Poche ore prima, l’ex ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale (Gna) aveva ribadito la sua intenzione di assumere l’incarico nella capitale , sottolineando al contempo l’impegno per un ingresso pacifico e la volontà di non innescare nessun conflitto armato. A Tripoli, invece, il Gnu, guidato da Abdelhamid Dbeibah, continua il suo cammino volto a raggiungere l’obiettivo dello svolgimento della tornata elettorale. Le elezioni sono l’obiettivo dichiarato del premier Dbeibah (anch’egli di Misurata come il rivale), che ha confermato il suo coordinamento con la commissione elettorale per preparare il voto – che nel programma presentato qualche settimana fa dovrebbero svolgersi a giugno – appena si raggiungerà un accordo sulla base costituzionale tra l’HoR e l’Hcs (Alto consiglio di stato). Proprio quest’ultimo punto, ossia la questione dell’accordo costituzionale, insieme a quello della legge elettorale, sono stati al centro dei colloqui che si sono svolti in Egitto dal 13 aprile (per una settimana) tra due delegazioni rappresentanti l’HoR e l’Hcs. I membri dei due organi legislativi hanno tentato di raggiungere un compromesso, per permettere al popolo libico di recarsi alle urne, senza però ottenere un risultato positivo. Secondo la diplomatica Stephanie Williams, Consigliera speciale delle Nazioni Unite in Libia, le due rappresentanze hanno concordato di riunirsi nuovamente alla fine del mese sacro del Ramadan. Inoltre, i diplomatici della missione onusiana nel paese nordafricano (Unsmil), in un incontro svolto con la presidenza del Consiglio, guidata da Mohamed al-Manfi, hanno sollecitato la ripresa dei colloqui della Commissione militare congiunta (JMC 5+5) al fine di preservare e mantenere la pace nel paese.
Sul piano regionale, la maggior parte dei paesi ad oggi sembra mantenere una posizione equidistante nei confronti dei due governi, in attesa di capire l’evolversi della situazione. Tuttavia, il posizionamento di alcuni attori nella disputa tra le due fazioni libiche è evidente. Da una parte, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, nonostante abbia ospitato i recenti colloqui tra le parti, sembra ancora oggi, come in passato, tendere verso il governo nato in Cirenaica e supportato da Khalifa Haftar e Aquila Saleh (presidente dell’HoR), come dimostrato dalle visite di questi ultimi due al Cairo qualche settimana fa. Dall’altra, il presidente dell’Algeria, Abdelmadjid Tebboune, ha ribadito il sostegno del suo paese al Gnu di Dbeibah in quanto unico governo libico a godere di legittimità internazionale.
Al contempo, l’aggravarsi della situazione politica – come conseguenza dell’esistenza di due governi, ognuno non disposto a cedere posizioni rispetto all’altro – sta causando una crisi nel settore energetico dell’ex colonia italiana che potrebbe avere ripercussioni anche su tutti paesi interessati alla risorse libiche. Nei giorni scorsi sono stati diversi i giacimenti petroliferi chiusi dopo la dichiarazione di “forza maggiore” della National Oil Company (Noc), la compagnia di stato petrolifera, tra cui i due grandi campi di produzione di El-Sharara ed El-Feel e i porti di Zuetina e Marsa El-Brega, questi ultimi situati nella Mezzaluna petrolifera. La dichiarazione di “forza maggiore” è una mossa legale che consente di liberarsi dagli obblighi contrattuali quando fattori al di fuori del controllo, come combattimenti o disastri naturali, rendono impossibile l’adempimento di tali obblighi. Al momento, la chiusura decisa dalla Noc sembra una chiara mossa per evitare ulteriori tensioni causate dalla presenza di gruppi armati che non permettono la continuazione dei lavori nei diversi punti e chiedono le dimissioni del governo di Tripoli a favore dell’esecutivo di Bashagha, ritenuto secondo alcune milizie più affidabile di Dbeibah. Il motivo dell’escalation, secondo fonti locali, sarebbe da collegare alla mancata suddivisione dei proventi delle entrate petrolifere che sta alla base dell’accordo raggiunto nel 2020 che aveva portato alla ripresa della produzione petrolifera dopo la chiusura della maggior parte dei giacimenti da parte degli uomini di Khalifa Haftar. Secondo il ministro del petrolio del Gnu, Mohamed Aoun, la Libia sta perdendo dai 50 ai 70 milioni di dollari al giorno a causa della chiusura dei pozzi e la produzione si è ridotta di circa 400mila barili al giorno, con un calo di circa il 50% rispetto ai livelli giornalieri regolari. Lo stesso Aoun ha dichiarato nelle scorse ore che la produzione regolare dovrebbe riprendere nei prossimi giorni dopo una mediazione con i gruppi che hanno causato il blocco. Sia Dbeibah che Bashagha hanno sollecitato la ripresa immediata dei lavori.
Il settore energetico è chiaramente quello più delicato nel paese nordafricano e che attira l’attenzione di tutti gli attori stranieri, in particolar modo quelli europei dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. Tra i soggetti più interessati al dossier libico, l’Unione europea è quella che dovrebbe essere più attiva in questo delicato momento nel tentare un’azione diplomatica decisa al fine di evitare un’escalation della crisi. La necessità di doversi slegare dalla dipendenza energetica russa, soprattutto per alcuni paesi come l’Italia, nell’ottica di un piano di diversificazione degli approvvigionamenti, sta fossilizzando l’attenzione solo “su ciò che interessa” al momento agli Stati della sponda nord del Mediterraneo, ossia petrolio e gas, tralasciando un punto cruciale: senza la risoluzione del conflitto politico non ci sarà nessuna stabilizzazione definitiva della Libia; senza quest’ultima si corre il rischio di non avere accesso a quelle risorse libiche tanto care ai paesi europei.
Mario Savina