Il 24 aprile gli elettori francesi hanno votato per il secondo turno delle elezioni che hanno portato alla scelta del nuovo presidente della Repubblica. Il ballottaggio ha visto fronteggiarsi il presidente in carica, Emmanuel Macron, e Marine Le Pen. Macron è stato confermato – ed è il primo presidente in carica ad aver ottenuto questo risultato negli ultimi vent’anni – con una netta maggioranza – il 58.5% dei voti contro il 41.5% totalizzato da Marine Le Pen. Questo risultato è stato salutato con entusiasmo dai principali partner internazionali della Francia, in quanto fra i due candidati Macron era il più “centrista”, favorevole a una visione europeista, “aperta” e internazionalista della Francia. La proposta politica di Marine Le Pen e del suo partito (il Rassemblement National, già noto come Front National) si è caratterizzata invece per temi di destra populista come il nazionalismo, la critica nei confronti della globalizzazione e più in generale per un atteggiamento di “chiusura” su temi quali l’immigrazione.
L’elezione di quest’anno si caratterizza per le notevoli analogie con la precedente tornata elettorale presidenziale – tenutasi nel 2017. Queste analogie iniziano proprio dai due candidati giunti al ballottaggio – gli stessi del 2017 – e dal risultato finale dell’elezione – una netta vittoria di Macron. Un’analisi più approfondita dei risultati permette di notare anche ulteriori similitudini, alcune delle quali ridimensionano tuttavia il successo di Macron e segnalano delle tendenze che possono risultare preoccupanti, o comunque richiedono una seria riflessione. Il sistema elettorale francese – sia per quanto riguarda la recente elezione presidenziale che per le elezioni parlamentari che avranno luogo il prossimo giugno – si articola in due turni. La logica di questo sistema è di trovare un compromesso tra la libertà di scelta degli elettori e la necessità di avere un quadro istituzionale stabile – al primo turno “si sceglie”, mentre al ballottaggio spesso “si elimina”. Per cogliere pienamente le sfumature di questa elezione e capire la situazione politica francese è dunque utile dare uno sguardo anche al primo turno delle presidenziali, che ha avuto luogo lo scorso 10 aprile.
Al primo turno hanno partecipato dodici candidati. Anche in questo caso si possono notare numerosi aspetti di continuità con l’elezione del 2017, e alcune tendenze emerse cinque anni fa – non tutte incoraggianti – sembrano persino rafforzate. Tra queste c’è ad esempio il tracollo dei partiti di destra e sinistra mainstream. Il centro-destra “gollista” – il partito che si rifà alla tradizione di Charles de Gaulle, attualmente noto come Les Républicains – è passato dal 2017 ad oggi dal 20% a meno del 6%. Il Partito socialista – quello di François Mitterrand e François Hollande – è praticamente scomparso, passando da poco più del 6% a meno del 2% (meno del candidato comunista, il peggior risultato di sempre in un’elezione presidenziale per i socialisti francesi). La sinistra francese è attualmente rappresentata da La France Insoumise e dal suo leader, Jean-Luc Mélenchon, un politico che si caratterizza per una visione populista e scettica tanto dell’integrazione europea quanto dell’Alleanza atlantica e della globalizzazione più in generale, ma che da un punto di vista delle politiche economiche e sociali porta avanti un progetto progressista e improntato al mantenimento della sicurezza sociale. Mélenchon ha migliorato il suo risultato, passando dal 19% del 2017 al 22% – un risultato significativo, soprattutto se si tiene conto che l’elettorato di La France Insoumise è più giovane rispetto al resto delle forze politiche del paese, ma non sufficiente per permettere a Mélenchon di andare al ballottaggio. Un altro fenomeno che ha caratterizzato le presidenziali di quest’anno è l’ascesa di Éric Zemmour, un giornalista passato alla politica che, con il suo movimento Reconquête!, si è posizionato alla destra di Marine Le Pen, puntando fortemente sul contrasto all’immigrazione e abbracciando anche temi xenofobi, islamofobi e omofobi, ottenendo il 7% dei voti. Può essere interessante notare che lo stile e il programma di Zemmour in qualche modo ricordano le origini del partito di Marine Le Pen – il Front National fondato da Jean-Marie Le Pen – e che la nipote di Marine Le Pen, Marion Maréchal Le Pen, ha deciso di abbandonare il Rassemblement National per seguire Zemmour.
Come sappiamo, i due candidati passati al ballottaggio sono stati di nuovo Emmanuel Macron e Marine Le Pen, i quali hanno entrambi migliorato il loro risultato rispetto al primo turno delle elezioni del 2017. Al ballottaggio Macron ha vinto di nuovo, con più del 58% dei consensi, tuttavia è interessante notare come Marine Le Pen abbia migliorato il proprio risultato rispetto al 2017, superando per la prima volta la soglia del 40% dei consensi. Nel 2017 la vittoria di Macron era stata più netta – 66.1% contro 33.9% – ed è importante notare che nelle presidenziali del 2002, quando lo scontro al ballottaggio fu inaspettatamente tra Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, Chirac, che non era in realtà molto ben visto dagli elettori, vinse comunque con l’82.2% dei voti. Dopo aver preso le redini nel 2011, Marine Le Pen è dunque riuscita a migliorare decisamente i risultati del partito fondato dal padre. Questo successo si spiega in parte nella progressiva svolta “moderata” che ha portato il Rassemblement National verso posizioni meno estreme per quanto riguarda ad esempio la partecipazione della Francia all’integrazione europea, e in parte a un sostanziale cambiamento della parte economica del programma, che si è concentrata sempre di più – anche se con proposte che destano lo scetticismo di molti economisti – sul “restituire i soldi” ai francesi e sul mantenimento della sicurezza sociale. Nonostante lo sforzo di dédiabolisation, favorito in parte anche dal fenomeno Zemmour, la Le Pen non è tuttavia riuscita sufficientemente ad uscire dai confini del voto dell’“estrema destra”. La candidata del Rassemblement National ha anche pagato il prezzo del suo storico sostegno al regime di Vladimir Putin e del legame del suo partito con la Russia.
La crisi in Ucraina, così come il fatto che nel semestre in corso la Francia sta presiedendo il Consiglio dell’Unione europea, sembrano aver aiutato Macron, dando al presidente in carica una maggiore visibilità e autorevolezza. Macron partiva inoltre avvantaggiato nei sondaggi, e a pochi giorni dal ballottaggio ha dimostrato le sue capacità con una buona performance nel dibattito televisivo con Marine Le Pen. Si può segnalare come anche Mélenchon abbia invitato i suoi elettori a votare per Macron al secondo turno, anche se un numero significativo di sostenitori di La France Insoumise ha deciso di non votare al ballottaggio, e molti hanno persino votato la Le Pen. Questa difficoltà di Macron di raccogliere voti da sinistra può essere spiegata facendo riferimento al fatto che negli ultimi cinque anni Macron è stato largamente percepito come “il presidente dei ricchi”, una fama che può essere ricondotta a politiche che hanno in effetti favorito una redistribuzione della ricchezza verso l’alto, come la riduzione delle tasse sui capital gain (la ricchezza ottenuta dagli investimenti finanziari), e la sostituzione dell’imposta patrimoniale con un’imposta che si concentra solo sui beni immobili. Altre riforme portate avanti da Macron nel suo primo quinquennato hanno inoltre colpito più duramente i cittadini meno abbienti. Tra queste si possono ricordare le riforme del lavoro, misure volte a rendere più selettivo il sistema universitario, e l’aumento delle imposte sui carburanti, che ha generato la famosa protesta dei “gilet gialli”.
Sebbene sia Macron che Marine Le Pen siano percepiti in qualche modo come “outsider” rispetto alla destra e alla sinistra tradizionali e abbiano entrambi tentato di uscire dagli schemi, nel voto delle presidenziali francesi di quest’anno (e anche in quelle del 2017) si può notare anche una componente classista, che paradossalmente potrebbe apparire persino più pronunciata in riferimento alla destra e alla sinistra tradizionali. Questo quadro appare più chiaro se si dà uno sguardo al profilo degli elettori dei diversi candidati. Chi ha votato convintamente Macron tende ad avere un reddito più alto (superiore a 3.000 euro al mese) e un titolo di studio più alto rispetto alla media. Da questo punto di vista è interessante citare l’analisi di Bruno Amable e Stefano Palombarini, secondo i quali il cuore dell’elettorato di Macron e del movimento nato attorno a lui – La République En Marche! – è rappresentato da un “blocco borghese” composto da elettori con un livello di istruzione e di reddito relativamente alti, uniti soprattutto dal sostegno al processo di integrazione europea e disposti a sostenere anche riforme economiche e sociali “neoliberiste” spesso viste con un certo scetticismo (soprattutto dalla porzione “di sinistra” del blocco borghese). Chi guadagna invece meno di 1.250 euro mensili ha votato più convintamente per Marine Le Pen. La leader del Rassemblement National è insomma apparsa credibile agli occhi dei “colletti blu” e delle “classi popolari”, che vedono sempre più la difesa della sicurezza sociale come un obiettivo da privilegiare rispetto all’integrazione europea o all’integrazione nell’economia globale.
Anche l’analisi della geografia del voto francese, sia al primo turno che al ballottaggio, mostra un elettorato diviso. Emmanuel Macron ha avuto maggiore successo nelle grandi città, mentre Marine Le Pen è andata meglio nelle aree rurali e nei centri urbani minori. Questa frattura tra metropoli e centri minori era già stata individuata fin dal 2014 da Christophe Guilluy. Secondo Guilluy, questa crescente divisione costituisce un effetto della globalizzazione. Le grandi città, anche se caratterizzate da maggiori disuguaglianze (nelle metropoli francesi di può notare ad esempio la differenza fra le aree benestanti e le banlieues), stanno diventando sempre più parte di un sistema globale, e dunque privilegiano proposte politiche più favorevoli alla globalizzazione, come quella di Macron. Al contrario, c’è una “Francia periferica” che è caratterizzata da una maggiore uniformità in termini di tenore di vita e identità, che si sente sempre più marginalizzata dalla globalizzazione, e che si dimostra più ricettiva nei confronti di molti degli elementi che caratterizzano la visione di Marine Le Pen. È inoltre interessante notare che la Le Pen ha prevalso anche nei territori “d’Oltremare” francesi (Guadalupe, Martinica, Guyana, Réunion e Mayotte), nei quali il Rassemblement National ha condotto delle campagne elettorali mirate che sono state parzialmente utili anche a ridurre la percezione del partito come forza di “estrema destra”.
Un altro dato importante da considerare è l’astensione, che è aumentata anche al secondo turno (più del 28%, mentre nel 2017 era attorno al 25%). Negli ultimi anni l’astensionismo in Francia è cresciuto significativamente, e quest’anno ha praticamente raggiunto di nuovo il picco toccato nel 2002. Al primo turno più del 26% degli aventi diritto ha deciso di non votare, e l’astensionismo ha quindi rappresentato la maggioranza relativa degli elettori, superando in termini assoluti anche il voto per Macron, il candidato più votato. Molti elettori francesi non si sentono insomma rappresentati da nessun partito e non hanno fiducia in nessuno dei candidati che si sono presentati alle presidenziali di quest’anno. Questa frustrazione di fondo è stata riscontrata nei giorni precedenti al ballottaggio in una manifestazione di protesta degli studenti della Sorbona, a Parigi.
Le elezioni presidenziali del 24 aprile suggeriscono dunque l’immagine di una Francia che crede ancora nell’europeismo e rifiuta l’estremismo di destra, ma che allo stesso tempo teme l’erosione della qualità della vita e la perdita di opportunità per il futuro, non crede più nei partiti, ha scarsa fiducia nella sua classe dirigente ed è decisamente scettica nei confronti dei progetti di riforma economici e sociali varati dai propri governi negli ultimi anni. Macron dovrà fare i conti con questo sentimento e dimostrare di aver sviluppato una maggiore flessibilità nel portare avanti la propria visione e una maggiore sensibilità nei confronti delle preoccupazioni dei suoi concittadini.
Diego Pagliarulo