Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, i Balcani occidentali sono entrati in una fase caratterizzata da un graduale avvicinamento a Washington e Bruxelles. A distanza di tre decenni, tuttavia, tale transizione risulta ancora incompleta a causa del continuo emergere di problematiche di natura politica. A rallentare il processo di allineamento dell’area contribuiscono infatti sia la diffidenza di alcuni governi europei nei confronti dei Western Balkans 6 – i sei paesi candidati all’ingresso nell’Unione –, sia le difficoltà riscontrate da questi ultimi nel soddisfare i requisiti politico-economici imposti da USA e Ue.
Di tale situazione si è abilmente servita la Russia, che nel tempo è riuscita a preservare la propria influenza nei Balcani in virtù del retaggio storico e culturale condiviso con parte della regione e dei lenti progressi di quest’ultima verso il fronte occidentale. Ora, tuttavia, anche la presa di Mosca potrebbe cominciare a diminuire – ad eccezione di Belgrado e Banja Luka, i restanti WB6 accettano sempre meno di buon grado l’ingerenza del Cremlino –, lasciando spazio ad un altro attore che sembra invece destinato a guadagnare posizioni: la Cina di Xi Jinping.
Per comprendere la natura della penetrazione cinese nei Balcani occidentali occorre domandarsi, in primo luogo, quali siano gli obiettivi del colosso asiatico nella regione. A tale proposito, va evidenziato come Pechino abbia sempre sostenuto di non voler diffondere il proprio modello di governance socio-politica nei WB6 – contrariamente a Usa e Ue – né di voler proiettare la propria influenza strategica sugli stessi – a differenza di Mosca. Il graduale inserimento della Cina nell’area è piuttosto stato motivato da interessi di natura economica, primo fra tutti il successo della Belt and road initiative (Bri). Un approccio che non stupisce se si considera che la “geopolitica con caratteristiche cinesi” prevede che Pechino assurga al ruolo di potenza globale proprio attraverso un attivismo prevalentemente economico e commerciale. In questa cornice, i WB6 assumono un ruolo fondamentale in virtù della loro posizione geografica. Vicini sia al tratto mediterraneo della Maritime silk road (la Via della seta marittima) che alla sezione europea della New silk road (la Via della seta terrestre), negli ultimi anni i paesi dei Balcani occidentali sono diventati un tassello imprescindibile nel quadro della Going global strategy di Xi Jinping. Una rilevanza strategica messa a rischio, tuttavia, dallo scarso sviluppo economico ed infrastrutturale che da sempre caratterizza l’area. Proprio per rimediare a tale arretratezza – e per evitare che questa penalizzasse i progetti commerciali a guida cinese –, nel 2012 Pechino ha avviato la propria strategia regionale invitando i WB6 (ad eccezione del Kosovo) ad aderire al programma di cooperazione sino-europea 16+1.
Considerato un’estensione della Bri, il 16+1 ha l’obiettivo di facilitare gli investimenti cinesi nell’Europa centro-orientale in relazione a tre macrosettori: infrastrutture, energie verdi e alta tecnologia. Un’iniziativa che indubbiamente arreca vantaggi economici a tutti i paesi coinvolti, ma i cui beneficiari principali sembrano essere proprio i sei Stati balcanici. Spesso, infatti, questi incontrano difficoltà nell’ottenere finanziamenti dall’Occidente a causa della mancata appartenenza all’Ue e del non allineamento agli standard politici e socioeconomici fissati da Washington e Bruxelles. Si tratta di una dinamica che nel tempo ha rafforzato il gap economico tra la regione balcanica e il resto dell’Europa e che ha contribuito, seppur indirettamente, a trasformare la Cina in uno dei principali interlocutori finanziari dei WB6. Non è infatti un mistero che Pechino, mossa dai propri interessi commerciali, si sia sempre mostrata ben disposta ad investire nello sviluppo economico ed infrastrutturale dei paesi balcanici senza imporre i vincoli fissati invece da USA e Ue.
Se da un lato, dunque, la Cina porta avanti con i Balcani una cooperazione pragmatica finalizzata al rafforzamento del potenziale economico regionale e alla conseguente soddisfazione dei propri interessi, dall’altro, i WB6 vedono nel colosso asiatico un partner a cui affidare il proprio percorso di crescita e sviluppo. Il rischio, tuttavia, è che tale relazione finisca per sbilanciarsi troppo a favore di Pechino e per penalizzare i paesi più deboli. Mentre alcuni WB6 hanno infatti più strumenti a disposizione per contenere l’influenza economica cinese, altri hanno un margine di manovra più limitato e rischiano di vedere ridotta la propria autonomia in cambio degli aiuti ricevuti dalla Cina. Le relazioni sino-serbe e sino-montenegrine sono l’espressione di tale ambivalenza.
Sia Belgrado che Podgorica vantano ormai da tempo una solida partnership con Pechino e sono destinatarie di un’ampia quota di investimenti cinesi. Questi ultimi sono finalizzati principalmente allo sviluppo economico, energetico e infrastrutturale dei due paesi, alimentando un meccanismo che indirettamente avvantaggia anche i progetti commerciali cinesi nell’area. A titolo esemplificativo, nel 2019 la Serbia è stata interessata dall’ampliamento della centrale termoelettrica di Kostolac e della miniera di carbone di Drmno e dalla costruzione di un collegamento ferroviario tra i due siti, progetti interamente realizzati dalla China Machinery Engineering Corporation e finanziati dalla Exim Bank of China. Nel paese è inoltre in corso la modernizzazione della ferrovia Belgrado-Budapest, un progetto su cui Pechino punta particolarmente per cristallizzare la propria presenza economica nei Balcani occidentali. Il caso del Montenegro è altrettanto significativo. Solo nel 2020 il paese è stato destinatario di ben 71,2 milioni di euro di prestiti cinesi, indirizzati in larga parte alla realizzazione dell’autostrada Bar-Boljare. Definita da Podgorica “il progetto del secolo”, l’infrastruttura collega il confine ovest del paese al suo porto principale; si tratta, pertanto, di un progetto fondamentale tanto per lo sviluppo infrastrutturale montenegrino quanto per l’implementazione della Maritime silk road cinese.
Serbia e Montenegro sono dunque entrambi beneficiari di ingenti prestiti cinesi, tuttavia i due paesi si interfacciano con la Cina di Xi Jinping secondo modalità molto diverse. Belgrado riesce a gestire il rapporto con Pechino con un relativo margine di manovra. A questo giovano il livello di autonomia economica del paese (modesto ma comunque superiore a quello montenegrino), il ruolo predominante di Belgrado nella regione (Vučić è considerato l’uomo forte dei WB6 e guida il progetto di integrazione regionale Open Balkan initiative) e la stretta relazione con il Cremlino. Podgorica, per contro, è più esposta all’influenza cinese in quanto penalizzata dalla propria debolezza economica – il livello di produttività del paese è uno dei più bassi al mondo – e da una postura regionale ed internazionale estremamente limitata.
Non stupisce, dunque, che la Serbia stia diventando un’interlocutrice privilegiata di Xi Jinping anche da un punto di vista politico e strategico mentre il Montenegro sia ormai considerato un esempio concreto di “trappola del debito cinese”. A porre Podgorica in questa condizione potrebbe esser stata proprio l’autostrada Bar-Boljare, a causa della quale Pechino avrebbe accumulato un credito di quasi un miliardo di euro nei confronti del paese balcanico. Tale dinamica è particolarmente allarmante non soltanto per l’oggettiva impossibilità del Montenegro di saldare un debito così elevato, ma soprattutto per le conseguenze che la “trappola” innesca. In caso di insolvenza, le clausole dei contratti stipulati con la Cina – per altro poco chiare – prevedono infatti che Pechino possa appropriarsi dell’oggetto del finanziamento o di asset strategici dello stesso paese insolvente. Ciò vuol dire che, nel caso del debito montenegrino, il gigante asiatico potrebbe avanzare pretese sullo stesso porto di Bar – che, come già anticipato, risulta particolarmente strategico ai fini della Bri – o su altre infrastrutture nevralgiche del paese. Un rischio che, nel fragile contesto balcanico, risulta concreto e che potrebbe portare Xi Jinping ad acquisire sempre più peso nel fianco orientale d’Europa, a dimostrazione di quanto l’avanzamento cinese nei Balcani occidentali segua logiche che potrebbero trascendere la sola sfera economica.
Carlotta Maiuri