La tensione tra Stato e società in Iran per la morte di Mahsa Amini è arrivata al suo apice: a differenza del passato, al grido di “Donna, Vita e Libertà”, la “questione femminile” contro la teocrazia di uno Stato patriarcale ha definitivamente fornito una nuova identità al concetto di protesta, in un’ottica più che mai inclusiva a livello nazionale, coinvolgendo strati eterogenei della popolazione.
Ad oggi, diverse disposizioni legislative vigenti non appaiono più tollerabili ed applicabili in una società giovane e sinergica come quella iraniana, con una popolazione che è in completa sofferenza per la crisi economica. Una situazione che è stata aggravata fortemente dalle ulteriori sanzioni imposte a partire dal 2018 dall’amministrazione statunitense di Trump, anche in seguito all’uscita degli Stati Uniti dal Piano d’azione congiunto globale (Pacg/Jcpoa) del 2015 sulle attività nucleari iraniane e che d’altronde ha anche aumentato i livelli di corruzione e di malgoverno nel paese persiano.
Attualmente, l’Iran non soffre soltanto per la questione dei diritti umani – in particolare per i diritti delle donne – e per la crisi economica, ma anche per la grave situazione politica interna. Dall’ultima elezione presidenziale del 2021, infatti, l’omogeneità nel sistema politico, con i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) nelle mani della fazione conservatrice, ha causato un’ulteriore instabilità politica e uno stallo nell’interazione tra popolo e organi istituzionali.
Inoltre, la crisi non si limita ad un affare interno, in quanto le proteste, incentrate sulla questione delle rivendicazioni sociali femminili, hanno attirato l’attenzione della comunità internazionale, sensibilizzata dalla sfortunata condizione dei diritti umani e della libertà di espressione in Iran. Anche gli iraniani della diaspora sono stati coinvolti nella crisi, che – facendo pressione sui governi dei paesi di residenza per prendere posizioni più critiche nei confronti della Repubblica islamica e per difendere la volontà di un popolo che sta mettendo a repentaglio la propria vita per i diritti umani fondamentali – stanno richiedendo a gran voce la libertà di espressione e autodeterminazione nel loro paese.
Soprattutto le posizioni dell’Europa, che prima delle proteste per la morte di Mahsa Amini era favorevole a trovare una soluzione diplomatica anche nel contesto di un ulteriore accordo tra Teheran e Washington sul nucleare iraniano, sono cambiate. A partire dalla fine di agosto 2022, ossia dall’ultimo incontro tenutosi a Vienna per la conclusione di un nuovo accordo sul nucleare, nulla è stato deciso né è stato convocato un nuovo summit internazionale per portare avanti i negoziati. In effetti, nel 2022 il destino dell’accordo ha subito dei rallentamenti sia a causa della guerra russo-ucraina, sia per via di alcune condizioni avanzate dal governo di Ebrahim Raisi, come la cancellazione delle sanzioni dirette contro il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica (Sepah-e Pasdaran o Irgc).
L’Irgc rappresenta un’unità militare fondata nel 1979 che opera sotto il controllo diretto del Supremo Leader – attualmente Ali Khamenei – in modo indipendente rispetto al resto delle forze armate, che ha anche il dominio sul potere politico ed economico del paese, tanto che nel 2004 un terzo del Parlamento era rappresentato da Pasdaran. D’altronde, l’Irgc è stato collegato a diverse milizie attive in tutta la regione mediorientale ed è stato etichettato come gruppo terroristico nel 2019 come parte della campagna di “massima pressione” di Trump. L’Iran ha chiesto agli Stati Uniti di rimuovere questa decisione durante i negoziati per l’accordo sul nucleare. Gli Stati Uniti, dall’altra parte, hanno affermato che avrebbero rimosso l’Irgc dalla lista nera soltanto se esso avesse limitato le sue attività a livello regionale e si fosse astenuto dal prendere di mira i cittadini statunitensi.
In effetti, dopo la delusione per gli ultimi negoziati, l’Iran si è avvicinato maggiormente al blocco contrapposto a quello occidentale gravitante intorno alla Russia e alla Cina. In seguito all’ulteriore isolamento da parte dell’Occidente, con l’inizio delle proteste e la successiva vendita dei droni alla Russia, Teheran si è accostata ulteriormente a Mosca. Il congelamento dei negoziati sull’accordo sul nucleare da parte dell’Occidente ha spinto l’Iran verso un maggiore sviluppo delle attività nucleari, iniziando recentemente ad arricchire l’uranio al 60% presso l’impianto sotterraneo di Fordow.
Negli ultimi mesi sono state imposte diverse sanzioni contro il gruppo militare dell’Irgc da parte degli Stati Uniti e da altri paesi anglosassoni, come il Canada. I paesi europei e il Parlamento europeo hanno sanzionato alcuni organi e singole persone coinvolte direttamente nell’oppressione dei manifestanti, tra cui i giudici che hanno emesso le condanne a morte e alcuni esponenti dell’Irgc. Recentemente, inoltre, il Parlamento europeo ha votato “simbolicamente” a favore dell’inclusione dell’Irgc nella lista dei gruppi o degli organi terroristici – un’azione che, seppur simbolica, ha comunque contribuito a svalutare la moneta iraniana e a far crescere l’inflazione, che oggi si attesta a oltre il 50%.
Il governo iraniano ha affrontato recentemente anche diverse tensioni a livello regionale. La prima questione si riferisce all’attacco all’ambasciata dell’Azerbaijan a Teheran, che ha causato un morto – sebbene l’attacco non sia apparentemente di matrice politica. La seconda fa riferimento all’esplosione in una fabbrica di munizioni gestita dal Ministero della Difesa iraniano nella città di Isfahan, che secondo il Wall Street Journal è avvenuta in seguito ad un attacco pianificato dal governo israeliano, in concomitanza con altri attacchi verificatisi ad alcune basi militari dei Pasdaran in Siria. D’altra parte, l’amministrazione di Ebrahim Raisi sta cercando di ripristinare i rapporti diplomatici tra Teheran e Riad attraverso il dialogo tra i due rivali regionali. Dal gennaio 2016, l’Arabia Saudita ha reciso i rapporti con l’Iran dopo che alcuni manifestanti hanno attaccato l’ambasciata saudita a Teheran in seguito all’esecuzione, da parte di Riad, del leader sciita Nimr al-Nimr.
Di certo, ad oggi, le proteste nazionali iraniane non sono più soltanto una mera questione interna, con gli hardliner della Repubblica islamica dell’Iran che vengono criticati sempre più duramente dall’Occidente. Se recentemente tra gli analisti che monitorano la situazione in Iran era stata avanzata l’ipotesi che l’Irgc avrebbe potuto far cadere il governo teocratico, progettando un colpo di Stato militare, per il momento questa ipotesi è stata scartata forse proprio per le eventuali sanzioni che scaturirebbero qualora il gruppo fosse considerato un’organizzazione terroristica. D’altra parte, questa sarebbe la prima volta che l’Unione europea indica le forze armate di un paese sovrano come gruppo terroristico, anche se singoli individui dell’Irgc, nonché l’organo di intelligence dell’Iran che fa capo al ministro della Difesa, sono già presenti nella lista nera redatta a Bruxelles.
Shirin Zakeri