A partire dalla sua nascita, nel 1949, l’Alleanza atlantica ha portato avanti una strategia marittima che ha assegnato un ruolo sostanziale al Mar Mediterraneo orientale e alla sua appendice del Mar Nero. Soprattutto in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, allo scioglimento del Patto di Varsavia e allo smembramento della Jugoslavia, la Nato ha percepito la necessità di integrare gradualmente quei paesi rivieraschi del Mediterraneo orientale e del Mar Nero al fine di realizzare la “chiusura” dei bacini marittimi su cui si affacciano.
Già l’Impero romano e la Repubblica di Venezia avevano basato la propria grande strategia sulla necessità di rendere rispettivamente il Mediterraneo e l’Adriatico dei mari chiusi, ossia bacini marittimi interamente integrati da parte di un unico potere politico-militare. Allo stesso modo, dal secondo dopo guerra ad oggi, la Nato si è sforzata di porre sotto il proprio controllo l’intera sponda settentrionale del Mediterraneo, realizzando in modo praticamente completo questo obiettivo tra il 2004 e il 2017 attraverso l’integrazione dei paesi balcanico-occidentali. Al contempo, sin dagli albori della Guerra fredda l’Alleanza ha considerato di fondamentale interesse strategico il controllo dell’accesso agli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli e della sponda meridionale del Mar Nero, progetto realizzato con l’integrazione di Turchia (1952), Bulgaria (2004) e Romania (2004). Inoltre, la reiterata volontà di integrazione atlantica dell’Ucraina e della Georgia rientra nel piano di “chiusura” del Mar Nero per fini geostrategici.
La prima tappa della grande strategia marittima della Nato fu rappresentata dall’ammissione di Turchia e Grecia nell’Alleanza nel 1952 nel contesto della contrapposizione bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La Guerra fredda era iniziata ufficialmente nel 1947, quando il diplomatico americano George F. Kennan aveva chiesto pubblicamente al proprio governo di realizzare una strategia di contenimento sovietico. La strategia del containment, suggerita da Kennan e sostenuta dal presidente Harry Truman, mirava ad impedire che l’Unione Sovietica potesse estendere la propria influenza alle zone costiere dell’Europa meridionale, impedendole l’accesso diretto al Mediterraneo, al Medio Oriente e al Mar Rosso. In questo senso, l’integrazione della Turchia garantiva alla Nato il controllo di fondamentali basi terrestri e marittime e, data l’importanza delle sue forze armate, un potente esercito in grado di trattenere un’espansione sovietica verso meridione. D’altronde, la parallela integrazione della Grecia seguì la necessità di rafforzare la posizione dell’Organizzazione nell’Adriatico e nel Mediterraneo orientale al fine di sorvegliare i paesi comunisti rivieraschi o limitrofi (Jugoslavia, Albania, Bulgaria e Romania), rafforzare il controllo dell’Adriatico dal Mar Ionio e assicurare ulteriormente la posizione dell’Alleanza in relazione agli Stretti.
Con la fine della Guerra fredda e lo scioglimento del Patto di Varsavia, la Nato si è trovata di fronte all’inedita possibilità di estendere la sua influenza ben al di là delle frontiere immaginate ai tempi della sua fondazione. Le opportunità sorte dalla nascita di nuovi paesi nell’area post-sovietica ed ex-jugoslava e dall’emancipazione dei Balcani orientali dal blocco socialista gettarono le premesse per l’ulteriore implementazione della strategia marittima mediterranea dell’Alleanza. In particolare, gli allargamenti del 2004, 2009, 2017 e 2020 hanno realizzato la pressoché totale “chiusura” strategica dell’Adriatico e la “semi-chiusura” del Mar Nero. D’altronde, con la scomparsa dell’Urss, la nuova strategia della Nato di inclusione dei paesi rivieraschi dei Balcani occidentali e orientali si focalizzava soprattutto sull’esigenza di limitare l’espansione dell’influenza russa nell’area e, in prospettiva, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Il quinto allargamento del 2004 fu cruciale per l’implementazione della strategia marittima nei Balcani. Annunciato al summit di Praga del 2002 e noto anche come allargamento “Big Bang” per essere stato il più grande nella storia dell’Alleanza, esso ha dato il via – al di là dell’inclusione di Slovacchia e Stati baltici – alla graduale ma ininterrotta assimilazione atlantica dei paesi balcanici. Da un punto di vista strategico, l’inclusione della Slovenia garantì una sicura posizione nell’Adriatico settentrionale, che andava ad integrare quella già assicurata dall’Italia nord-orientale. Al contempo, nei Balcani orientali, l’integrazione della Bulgaria offrì un sicuro accesso alla costa del Mar Nero che, grazie alla congiunzione tra Bulgaria e Grecia, veniva ora connesso anche per via terrestre al Mediterraneo. Infine, l’inclusione della Romania, oltre a garantire anche in questo caso l’accesso alla costa del Mar Nero, offrì all’Alleanza soluzione di continuità lungo la direttrice strategica che congiunge l’Europa centrale al delta del Danubio.
La tappa successiva fu rappresentata dal summit di Bucarest del 2008. Per quanto riguarda la politica di ampliamento, Albania e Croazia vennero invitate ufficialmente ad avviare i colloqui di adesione con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza dell’area euro-atlantica. Al contempo, venne stabilito che anche la Macedonia soddisfaceva i requisiti di adesione, ma la Grecia pose il veto a causa dell’annosa disputa sul nome ufficiale del paese. Attraverso il summit di Bucarest, nella cornice della politica della “porta aperta” nei confronti dei paesi che avevano intrapreso riforme democratiche, l’Alleanza atlantica delineò in modo coerente e deciso una strategia volta alla graduale assimilazione dei Balcani occidentali, auspicando che in futuro la regione potesse essere interamente ricompresa nell’apparato istituzionale euro-atlantico. Questa strategia si palesò anche con la realizzazione di un’intensa collaborazione con Bosnia-Erzegovina e Montenegro attraverso lo sviluppo di un Individual partnership action plan (Ipap) e con l’impegno di migliorare le relazioni con la Serbia nel contesto della sua partecipazione al Partenariato per la Pace (PfP). D’altro canto, il summit di Bucarest accolse con favore le aspirazioni euro-atlantiche di Ucraina e Georgia, proclamando la volontà di far aderire i due paesi ex-sovietici alla Nato anche attraverso lo sviluppo di un Membership action plan (Map). L’adesione ufficiale di Albania e Croazia nell’aprile 2009 conferì all’Alleanza notevoli vantaggi geostrategici, tra cui la prossimità con Serbia e Kosovo e una linea di continuità territoriale nel Mediterraneo che si estende da Gibilterra al Levante, completata con la successiva inclusione del Montenegro nel 2017. In particolare, l’inclusione dell’Albania ha assicurato alla Nato il controllo dell’accesso all’Adriatico attraverso il Canale d’Otranto e una continuità territoriale con gli Stretti e il Mar Nero, mentre quella della Croazia ha garantito il pieno controllo della parte centrale dell’Adriatico e delle rotte tra questo e la pianura pannonica, nonché il controllo della direttrice strategica lungo la valle del Sava fino alla confluenza del Danubio.
Nel dicembre 2015 la Nato estese formalmente l’invito di adesione al Montenegro, che sarebbe entrato ufficialmente nell’Alleanza nel giugno 2017. Considerata di fondamentale importanza strategica per la stabilizzazione postbellica dell’area ex-jugoslava, da un punto di vista geostrategico l’accessione del Montenegro realizzò un collegamento marittimo tra Albania e Croazia, garantendo all’Alleanza una via di comunicazione ininterrotta dal Golfo di Trieste al Peloponneso, il controllo del ramo meridionale della direttrice di traffico Belgrado-Bar e la chiusura del “buco nero” nella continuità territoriale dell’Alleanza nell’Adriatico.
La tappa ancora successiva fu l’integrazione della Macedonia, che però aveva sollevato sin dai tempi del summit di Bucarest la contesa circa il nome ufficiale. La Macedonia aveva già aderito a un Map nel 1999 e tecnicamente era stata considerata pronta per l’adesione già nel 2008. La ratifica dell’accordo di Prespa del giugno 2018 con la Grecia, che ha cambiato il nome del paese in Repubblica della Macedonia del Nord, ha posto fine al contenzioso aperto sin dal 1991 e all’opposizione di Atene all’entrata di Skopje nella Nato, avvenuta nel marzo 2020. L’adesione della Macedonia del Nord ha realizzato il completamento del controllo della rotta strategica che congiunge via terra l’Adriatico al Mar Nero, garantendo inoltre il possesso di uno snodo commerciale regionale di importanza notevole lungo la direttrice Atene-Salonicco-Skopje-Niš-Belgrado-Budapest. Con l’inclusione della Macedonia, l’ultimo paese balcanico che si affaccia sull’Adriatico da integrare rimane la Bosnia-Erzegovina – paese comunque in possesso di un Map –, il cui unico sbocco sul mare è d’altronde rappresentato dal piccolo porto di Neum con il suo circondario.
In seguito all’attacco russo contro l’Ucraina del febbraio 2022, il nuovo Concetto Strategico della Nato adottato al summit di Madrid di giugno 2022, ha risollevato la questione degli allargamenti allo spazio post-sovietico, rimarcando gli impegni assunti al summit di Bucarest del 2008 in relazione all’adesione di Georgia e Ucraina. Già prima dello scoppio del conflitto, il summit di Bruxelles del 2021 aveva ribadito il pieno sostegno all’integrità territoriale di Georgia e Ucraina, riconfermando l’intenzione di implementare nella cornice dei Map la loro graduale adesione all’Alleanza. L’eventuale adesione dei due paesi ex-sovietici, sebbene decisamente incerta dopo gli interventi militari russi del 2008 e del 2014/2022, porterebbe praticamente a compimento la strategia marittima della Nato per il Mar Nero, realizzando la pressoché completa “chiusura” del Mar Nero, che diverrebbe di fatto un “lago atlantico”, come già è diventato l’Adriatico.
Paolo Pizzolo