Negli ultimi anni l’Oman ha investito nella produzione di elettricità da fonti di energia rinnovabile, utile anche all’ottenimento dell’idrogeno green, avanguardia della transizione energetica. In linea con la Oman Vision 2040, l’obiettivo di Mascate è quello di diversificare l’economia e incrementare sia l’occupazione lavorativa dei cittadini sia il numero delle esportazioni di carbon-free fuel, configurandosi nei prossimi decenni come pioniere della transizione green nel Medio Oriente. Al fine di comprendere il quadro in cui si inseriscono anche gli ultimi sei accordi sull’idrogeno firmati lo scorso 15 marzo con diversi paesi europei (Belgio, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito), è utile descrivere brevemente le principali evoluzioni del settore energetico omanita.
Durante il regno di Said bin Taimur, sultano alla guida dell’Oman dal 1932 al 1970, si registrarono le prime scoperte dei giacimenti di petrolio nel paese (1956). Tuttavia, nei decenni successivi gli investimenti nello sviluppo del settore energetico furono piuttosto limitati e resero difficile il coinvolgimento di società multinazionali nelle attività di esplorazione delle riserve di petrolio e gas naturale.
L’ascesa al trono di Qaboos bin Said, sultano dell’Oman dal 1970 al 2020, inaugurò invece la cosiddetta “Rinascita dell’Oman”, un periodo di promozione della crescita economica e dello sviluppo sociale e culturale del paese. Già sin dai primi anni al potere, Qaboos avviò diversi progetti volti alla scoperta dei giacimenti di petrolio e gas collocati non solo nell’hinterland omanita, ma anche a Musandam, governatorato nel nord del paese, e nello Stretto di Hormuz. Negli anni Ottanta, poi, il sultano riformulò le quote della proprietà della Petroleum Development Oman: in questo modo, la società, fondata nel 1951 e fin dal principio nelle mani di Shell (85%), passò principalmente sotto il controllo del governo (60%). Gli investimenti nell’industria oil & gas di questi anni risultarono nell’effettiva scoperta di giacimenti di petrolio (Fahud, Yibal e Natih), contribuendo all’incremento della produzione di energia elettrica.
Nello specifico, dagli anni Settanta fino alla metà degli anni Novanta il petrolio ha costituito la fonte principale di energia prodotta in Oman, successivamente eguagliata e poi sostituita nei numeri dal gas naturale. Negli anni Duemila, infatti, Mascate aumentò la produzione del gas naturale liquefatto (GNL), esportato per la prima volta nel 2000 in Corea. Successivamente aumentarono anche i finanziamenti nella costruzione di infrastrutture, quali raffinerie (Sohar nel 2006) e pipeline (Al-Fahal e Sail Rawl), e nel 2017 fu scoperto anche uno dei più grandi giacimenti di gas (Khazzan), che ha consentito al paese di esportare la risorsa anche in Kuwait e Giordania. Grazie alla presenza di 150 riserve di gas naturale e petrolio, il Sultanato è stato annoverato tra i principali paesi produttori di petrolio non-Opec del Medio Oriente ed è entrato a far parte dell’alleanza Opec+ nel 2020.
Tuttavia, nell’ultima fase del Sultanato di Qaboos (dal 2017) e in linea con il maggiore impegno della Comunità internazionale nella transizione verso fonti di energia rinnovabili, l’Oman ha investito anche nella produzione di elettricità dal gas naturale (anche inteso come fuel di transizione), e nello sviluppo dell’energia solare ed eolica.
L’evoluzione nel comparto energetico omanita è visibile anche nel trend attuale: oggi, l’Oman produce 36.6 Tw/h di elettricità, di cui 36.4 Tw/h da gas naturale e in piccola parte da energia solare.
Infine, a partire dal 2020, perseguendo la stessa politica del suo predecessore, il sultano Haitham bin Tariq ha investito nell’innovazione dell’industria energetica e nella produzione dell’idrogeno green. Implementando la Oman National Energy Strategy, già avviata da Qaboos nel 2017, Mascate intende raggiungere il 30% di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030.
In questo quadro si inseriscono anche altri progetti avviati negli ultimi due anni, come il Green Energy Oman Project, che ha l’ambizioso obiettivo di convertire energia eolica e solare in idrogeno green, ammoniaca e metanolo, e di spostare quindi la domanda interna ed esterna di energia verso il carbon-free fuel.
Dall’avvio del progetto sono state prodotte circa 1.8 milioni di tonnellate di idrogeno e 10 milioni di tonnellate di ammoniaca, che possono essere impiegati come combustibili sia per i mezzi di trasporto sia per l’industria pesante.
Nel 2022 è stato fondato Hydrom (2022), un nuovo ente statale impegnato nel coordinamento delle attività di produzione e consumo di idrogeno, e nel 2023 la Oman’s National Hydrogen Alliance (Hy-Fly), gruppo di stakeholder dell’industria energetica che sta lavorando alla creazione di hub di idrogeno in punti strategici del paese. Tra questi spiccano Sohar, Sur (Energy Transition Cluster), Duqm (Hy-Port) e Salalah (SalalaH2), città portuali che si affacciano sul Golfo e sull’Oceano Indiano, caratterizzate già da raffinerie e impianti di produzione del gas e del petrolio, da cui l’Oman avvierà le future esportazioni della commodity a livello internazionale.
Investire nella transizione energetica può consentire all’Oman di bilanciare il consumo interno di combustibili fossili usati sia nella produzione di elettricità sia nei processi di desalinizzazione dell’acqua, oltre a rispondere più efficacemente alla volatilità del mercato globale del petrolio. In linea con la Oman Vision 2040, Mascate persegue la sicurezza e l’efficienza energetica attraverso il consumo sempre maggiore di energia pulita (tra il 35 e il 39% entro il 2040), limitando progressivamente la dipendenza dagli idrocarburi. Nonostante ciò, secondo le stime del 2022, il Sultanato ha raggiunto una capacità di produzione totale di 5,4 miliardi di barili di petrolio e di un milione di barili al giorno (bpd); invece, la produzione di gas naturale si attesta attorno ai 4,2 miliardi di m3.
Come per la maggior parte dei Paesi del Golfo, anche l’economia omanita dipende dall’esportazione delle risorse energetiche. Nel 2019, l’Oman ha esportato in totale 310 milioni di barili verso la Cina (78%) e il Giappone (8%), principali acquirenti anche di gas naturale. Tuttavia, nel 2020 il crollo del prezzo del petrolio ha colpito duramente il settore, che nei successivi due anni ha vissuto però un rebound dei prezzi ai livelli pre-pandemici. La crisi russo-ucraina ha infatti contribuito all’aumento del prezzo del greggio: nel 2022 i ricavi economici derivati dal settore energetico hanno raggiunto circa 27.6 miliardi di dollari in Oman, considerando una media di 50 dollari al barile. Attualmente, l’industria oil & gas costituisce il 32% del PIL e i ricavi ottenuti rappresentano il 68-85% del budget del governo.
Tuttavia, rispetto alle altre monarchie del Golfo, Mascate registra una limitata produzione di energia da idrocarburi, che è anche costretta a importare data ancora l’assenza di risultati concreti dagli investimenti nel green hydrogen e l’aumento della domanda interna. Pertanto, in linea con i propri interessi nazionali, molte delle relazioni commerciali (import-export) dell’Oman con i Paesi del Golfo riguardano proprio la condivisione di una politica che favorisce una maggiore estensione della rete elettrica e il raggiungimento della sicurezza energetica a livello regionale. Oltre allo storico Dolphin pipeline, gasdotto internazionale attraverso cui il Qatar distribuisce oggi circa 2 miliardi di piedi cubi al giorno a Emirati Arabi Uniti e Oman, negli ultimi due anni Mascate ha discusso anche con Riyadh sulla costruzione di un oleodotto che dovrebbe garantire al Sultanato una nuova arteria di approvvigionamento energetico alternativa a quella qatariota e alle importazioni dall’Iran.
Proprio con Teheran infatti, Mascate condivide il giacimento di gas Hengam nello Stretto di Hormuz, da cui in futuro potrebbe partire una pipeline capace di fornire 30 milioni di metri cubi al giorno al Sultanato. Inoltre, di recente Oman e Iran hanno siglato un Memorandum of Understanding sulla cooperazione nel settore energetico, che porterà all’aumento dell’importazione di prodotti petrolchimici e petrolio dalla Repubblica islamica al Sultanato. Mascate ha un valore strategico per Teheran: il Sultanato non è visto solo come partner diplomatico e commerciale leale, ma negli anni si è anche consolidato come hub strategico per la ri-esportazione dei prodotti iraniani verso i diversi mercati globali, approfittando degli accordi di libero scambio tra Oman, USA, Singapore e alcuni paesi dell’Africa e dell’Europa.
Per concludere, sebbene questi accordi con i paesi della regione siano ancora incentrati sullo sviluppo del settore oil & gas, si tratta di una cooperazione necessaria al paese per rispondere all’attuale incremento della domanda interna di energia. L’Oman ha intrapreso una chiara politica volta all’autonomia e all’efficientamento energetico, così come alla produzione e all’esportazione di carbon-free fuel, che nel prossimo futuro consentiranno a Mascate di rispondere più efficacemente alle sfide globali e all’aumento della richiesta di energia green anche dal mercato europeo.
Maria Grazia Stefanelli