Conosciuto storicamente come la “Svizzera del Medio Oriente” per la ricchezza economica e le efficienti politiche finanziarie implementate, da oltre tre anni il Libano sta vivendo una profonda crisi che non sembra arrestarsi, caratterizzata da alti tassi di svalutazione monetaria, inflazione e contrazione dell’economia.
Negli ultimi mesi il peggioramento delle condizioni socioeconomiche e lo stallo politico in corso hanno portato centinaia di libanesi a riunirsi nelle strade di Beirut per manifestare forte disapprovazione e frustrazione nei confronti dell’élite al potere.
Infatti, relativamente al quadro politico interno, se le elezioni legislative del maggio 2022 avevano suscitato speranze su un possibile rinnovo della classe politica, proprio il risultato del voto dei libanesi, ovvero la variegata composizione del Parlamento, può considerarsi causa dell’impasse politica in atto. Attualmente, l’assemblea legislativa è composta da due blocchi principali, al loro interno molto divergenti nella concezione delle priorità per il Paese e le soluzioni politiche ed economiche da adottare per risollevare l’intero sistema Paese. Questa condizione caratterizza nello specifico il blocco di maggioranza e il fronte di opposizione al blocco guidato da Hizbullah e Amal, costituito sia da forze storicamente presenti sulla scena politica – come, ad esempio, le Lebanese Forces di Samir Geagea – e sia da 13 parlamentari indipendenti o appartenenti alle cosiddette “Forze del Cambiamento” – movimento nato a seguito delle proteste del 2019.
La mancata coesione interna al parlamento e il boicottaggio messo in atto dai due partiti di ispirazione sciita sono le cause principali della mancata elezione del Presidente della Repubblica e del progressivo deterioramento della crisi economica. Dall’ottobre 2022, termine del mandato dell’ex Presidente Michel Aoun, il Libano non ha un presidente e il governo provvisorio non può attuare e implementare le riforme necessarie alla ripresa economica.
Il vacuum politico è uno dei fattori di maggiore attenzione emersi dal rapporto della delegazione del Fondo monetario internazionale (Fmi) in visita a Beirut dal 15 al 23 marzo scorso, che ha monitorato la condizione socioeconomica del Paese, ritenendo necessario sbloccare l’impasse politica e attuare un pacchetto di riforme di medio-lungo periodo. Tuttavia, come emerge dal rapporto stesso, la responsabilità del peggioramento della crisi economica non è un fenomeno recente ed imputabile esclusivamente alla mancata elezione presidenziale: anche la scarsa collaborazione della Banca Centrale del Libano (Bcl) con le istituzioni politiche risulta tra i fattori determinanti.
Proprio questo passaggio risulta interessante per approfondire la politica monetaria adottata dalla Bcl negli anni precedenti alla crisi e capire se la responsabilità di manovre finanziarie – si direbbe oggi poco lungimiranti – ha inciso in egual misura della corruzione sul collasso economico della “Svizzera del Medio Oriente”. A questo riguardo, la Bcl è stata spesso accusata di agire come “uno Stato nello Stato”, rifiutando spesso di aprire i propri conti a seguito di consultazioni pubbliche, “agendo in protezione” del cosiddetto segreto bancario. Proprio di recente, inoltre, il governatore della Bcl Riad Salameh è stato accusato di riciclaggio di denaro, appropriazione indebita – circa 300 milioni di dollari sottratti dalla Bcl tra il 2002 e il 2015 – e arricchimento illecito.
Tuttavia, oltre alla corruzione e alla poca trasparenza interne anche l’assenza di una politica monetaria di controllo e di gestione lungimirante da parte della Bcl sembrerebbe contribuire a complicare il quadro economico.
Una delle criticità da sempre più evidenti all’interno del mercato monetario libanese è la compresenza di molteplici tassi di cambio che hanno favorito svalutazione monetaria e mercato nero. Dal 1997 il tasso di cambio del dollaro è stato fissato artificialmente dalla Bcl a 1500 lire libanesi; tuttavia, se dapprima questa politica ha favorito il flusso di capitale estero negli istituti di credito (in particolare il dollaro), contribuendo a una situazione di apparente stabilità economica, successivamente il graduale venir meno in circolazione della valuta estera ha completamente usurato il potere d’acquisto della lira libanese rispetto al dollaro.
Come spesso accade in questi casi, la Bcl ha iniziato a stampare moneta, immettendone troppa sul mercato, di fatto contribuendo ad accelerare la svalutazione della stessa. Questo fenomeno ha portato negli ultimi anni alla “dollarizzazione” del Libano, e dunque a una forte dipendenza del Paese dalle fluttuazioni della valuta estera. Se si pensa che il pagamento dei beni di consumo avviene nel Paese principalmente in dollari e al contempo lo stipendio dei libanesi è erogato in lire libanesi, si comprende che la situazione è pressoché insostenibile per la popolazione.
Al fine di far fronte all’inflazione, cresciuta negli anni, le autorità hanno messo in atto misure che hanno favorito la valutazione del dollaro nel mercato nero. Condizione – quest’ultima – resa favorevole anche dalla modifica attuata dal governo ad interim lo scorso febbraio sul tasso di cambio fisso della moneta rispetto al dollaro, passato da 1500 a 15 mila L/$. Proprio a seguito di quest’ultima manovra la valutazione del dollaro sul mercato nero è passata da 64 mila a 88 mila lire libanesi.
Secondo i dati del marzo 2023, la moneta libanese ha perso il 98% del valore e il tasso di inflazione ha raggiunto il 200%, fenomeno che si traduce nell’aumento del costo della sanità e dei prezzi di cibo, acqua ed energia. Inoltre, il 37% dei libanesi è a rischio insicurezza alimentare, complice anche la crisi russo-ucraina che ha determinato un aumento globale del prezzo delle materie prime: i dati più preoccupanti riguardano maggiormente la popolazione libanese con reddito medio-basso e i rifugiati siriani, condizione che esacerba il divario sociale nel Paese.
Negli ultimi tre anni l’economia ha registrato una contrazione del 58% e il Pil è crollato da 52 miliardi di dollari nel 2019 a 22 miliardi di dollari nel 2021. Le autorità non sono più in grado di garantire l’erogazione dei servizi base alla popolazione, e i programmi sociali che avrebbero dovuto risollevare i libanesi dalla difficile condizione socioeconomica non hanno avuto alcuna implementazione, complice l’impasse politica. Inoltre, le banche non hanno la capacità di estendere crediti ai cittadini e i depositi risultano inaccessibili: in assenza di liquidità è impossibile la restituzione del denaro ai clienti.
In questo quadro, e in assenza di collaborazione nella scena politica e di impegno nella trasparenza e nella reale risoluzione economica da parte della Bcl, risulta difficile sperare che la situazione socioeconomica dei cittadini libanesi possa cambiare nel breve periodo. Se la spirale della crisi dovesse continuare con questo ritmo, il collasso finanziario potrà aprire a diverse altre crisi interne, quali criminalità ed emigrazione, che vale la pena monitorare. Nel 2022 alcune segnalazioni del Ministero dell’Interno hanno fatto luce sullo smantellamento di otto cellule terroristiche e sull’addestramento di milizie armate presenti sul territorio libanese. Infine, non occorre dimenticare l’aumento – già registrato nell’ultimo anno – dei flussi migratori provenienti dalla rotta del Mediterraneo orientale, così come l’esodo di persone anche altamente qualificate nel settore della pubblica istruzione e della sanità che lasciano il Paese per cercare migliori opportunità lavorative nei paesi del Golfo e in Europa, alimentando il fenomeno del brain drain.
Maria Grazia Stefanelli