Il 16 luglio l’Unione europea (Ue) e la Tunisia hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) per un “partenariato strategico e globale”, con l’obiettivo di contrastare l’immigrazione clandestina e rafforzare i legami economici tra il blocco dei paesi europei e lo Stato maghrebino. A distanza di circa un mese dalla prima missione a Tunisi, la sigla dell’intesa è stata una nuova occasione per rivedere la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, il primo ministro olandese, Mark Rutte, e la prima ministra italiana, Giorgia Meloni, fare visita al presidente tunisino, Kaïs Saïed. Secondo Bruxelles, l’accordo coprirebbe cinque pilastri: stabilità macroeconomica, commercio e investimenti, transizione energetica verde, rapporti tra i popoli e migrazione. Al contempo, i dialoghi avviati negli ultimi mesi con Tunisi mirano al rafforzamento dei legami politici e istituzionali, “con l’obiettivo di affrontare insieme le sfide internazionali comuni e preservare l’ordine basato sulle regole”.
Sul tema migratorio, “le due parti condividono” la priorità di combattere la migrazione irregolare per evitare la perdita di vite umane” e la Tunisia ribadisce “la sua posizione di non essere un paese di insediamento per i migranti irregolari”. L’approccio, nelle intenzioni dei firmatari, dovrebbe basarsi sul rispetto dei diritti umani e comprendere la lotta contro le reti criminali di trafficanti di migranti. Tuttavia, gli ultimi mesi hanno dimostrato come il rispetto dei diritti umani non sia la priorità per i guardia-frontiera tunisini (così come per quelli libici). Solo per citare alcuni eventi, dallo scorso 2 luglio, le forze di sicurezza tunisine hanno espulso collettivamente diverse centinaia di migranti subsahariani e richiedenti asilo, compresi bambini e donne incinte, in una remota zona cuscinetto militarizzata al confine tra la Tunisia e la Libia. Secondo Human Rights Watch, negli eventi sono coinvolti persone con status legale sia regolare che irregolare in Tunisia, espulse senza un giusto processo. Inoltre, molti dei protagonisti hanno riferito di aver subito violenze da parte delle autorità durante l’arresto o l’espulsione. A Sfax, seconda città della Tunisia, è da mesi che la tensione ha raggiunto livelli altissimi a causa delle continue proteste dei residenti tunisini contro la presenza degli stranieri africani. I video che circolano sui social media da qualche settimana mostrano gruppi di uomini tunisini che minacciano i migranti con manganelli e coltelli e, in altri video, agenti di sicurezza che li arrestano mentre la gente del posto applaude. Dopo le critiche ricevute da più fronti per il trattamento riservato ai migranti, centinaia di persone che si trovavano al confine con la Libia sono state trasferite nei centri di accoglienza nelle città tunisine di Medenine e Tataouine.
La logica delle richieste europee, nonostante gli sforzi politici per raggiungere una soluzione nel più breve tempo possibile, continua nella stessa direzione avviata ormai da anni: un rafforzamento delle frontiere della sponda Sud del Mediterraneo, commissionando il “compito di polizia e controllo” ai paesi nordafricani. In tal senso, infatti, Bruxelles si è impegnata a stanziare 100 milioni di euro al fine di supportare Tunisi nella lotta contro il contrabbando e il traffico di esseri umani e migliorare la gestione delle frontiere. Questi finanziamenti, così come quelli ricevuti in passato, rientrano nel quadro di quella politica avviata all’indomani dello scoppio delle cosiddette Primavere arabe quando i paesi europei – e la stessa Unione – hanno iniziato una serie di interventi per rafforzare i propri confini. Tuttavia, la politica dietro la scelta di determinate azioni è stata fino ad oggi alquanto miope. Infatti, le migrazioni tra le due sponde del Mediterraneo rappresentano un fenomeno strutturale che necessita di un’azione decisa da parte sia dei singoli Stati che dell’Ue al fine di trovare una soluzione sostenibile che abbia effetti non solo nel breve periodo. Il MoU siglato il 16 luglio, come detto, segue lo stesso filone delle risposte date da Bruxelles sul dossier migratorio dal 2011 in poi: una strategia in grado di rilanciare la collaborazione con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo e che ha inaugurato il dialogo sui temi della sicurezza e dei flussi migratori Sud-Nord. La condizionalità è stata – e continua ad esserlo anche oggi – l’elemento alla base di tutti gli accordi firmati, dove l’Ue offriva vantaggi in determinati settori in cambio di un controllo più severo sui movimenti dei migranti irregolari. Quello a cui si è assistito è una “gestione dall’esterno” delle politiche di sicurezza e del controllo dei confini e delle rotte migratorie. Una gestione che in diverse occasioni ha creato non poche perplessità e dubbi sulla “convenienza politica” da parte dell’Ue di firmare questo tipo di accordi. Considerando il recente passato, infatti, non sono pochi i dubbi sulla compatibilità tra il rispetto dei diritti umani e la lotta ai migranti clandestini, così come enunciato nel nuovo MoU.
Il modello Ue-Tunisia ricalca in buona parte quello creato con la Libia. L’obiettivo è sempre quello di “filtrare fisicamente” l’ingresso dei migranti su territorio europeo attraverso l’uso dei campi di accoglienza/detenzione in territorio nordafricano. Attraverso gli accordi si tenta di attuare una gestione, per quanto complessa, delle frontiere e del rimpatrio dei migranti verso i paesi di origine. Su quest’ultimo punto Kaïs Saïed è stato chiaro: lavorerà per il rimpatrio dall’Ue solo di migranti tunisini irregolari e continuerà nella sua politica di espulsione dei migranti irregolari presenti sul territorio tunisino, assistito dalla stessa Ue. Come sottolineato in altri articoli, la lotta ai migranti subsahariani avviata dal capo di Stato tunisino mira, chiaramente, a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla grave crisi socio-economica in cui versa il paese. In soccorso dell’economia tunisina, l’Ue ha stanziato – sempre nell’ambito dell’accordo del 16 luglio – 150 milioni di euro di aiuti al bilancio. Inoltre, circa 380 milioni di euro verranno stanziati per il progetto Elmed, il cavo elettrico sottomarino tra Italia e Tunisia, già approvato alla fine del 2022. Per quanto riguarda il progetto Medusa, un sistema sottomarino di cavi in fibra ottica per collegare la regione del Mediterraneo, Bruxelles investirà circa 40 milioni di euro e fornirà ulteriori 150 milioni di euro in prestiti a Tunisi.
Proprio le scelte tunisine – indirizzate nei confronti dei migranti subsahariani – sono tra i motivi principali del forte aumento dei tentativi di attraversamento del Mediterraneo dalla Tunisia. I dati sugli sbarchi di migranti sulle coste europee sono in netto aumento rispetto agli ultimi anni. Al 16 luglio i migranti arrivati via mare sulle coste europee sono stati oltre 98mila. Per quanto riguarda l’Italia, da inizio anno al 17 luglio, i migranti sbarcati sono stati 78.182, con un aumento importante rispetto ai 33.187 del 2022 e ai 24.624 del 2021 (stesso periodo di riferimento). A queste cifre vanno aggiunti il numero di migranti intercettati dalle autorità tunisine e libiche che nei primi sei mesi del 2023 ammonta a quasi 40mila persone, così come riportato da Agenzia Nova. Mentre la Tunisia è diventata il principale interlocutore con cui dialogare per raggiungere gli obiettivi europei, rimane sempre attiva la rotta libica. Rispetto al passato, dove le partenze dalla Tripolitania erano privilegiate, da inizio anno anche la rotta della Cirenaica ha acquistato una certa importanza. Il dossier migratorio è infatti divenuto fonte di guadagno e mezzo di ricatto politico per l’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. A tal proposito, vanno menzionati gli eventi delle scorse settimane che hanno visto protagonisti migliaia di migranti costretti a un’attraversata “obbligata” del confine tra Egitto e Libia, nello specifico a Musaid (o Imsaad, città nel distretto di Butnan nella Libia orientale), sotto la sorveglianza delle autorità libiche locali (come accaduto sul versante opposto al confine tunisino, ma a parti invertite). Fonti della sicurezza libica hanno affermato che i migranti erano detenuti in prigioni segrete controllate dai trafficanti di esseri umani in Libia, poi liberati durante una vasta operazione. Altri arresti sono avvenuti a Tobruk. Secondo un comunicato stampa dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (Lna), sono stati arrestati “più di 1.000 immigrati clandestini di diverse nazionalità, trovati nelle fattorie e nelle case dei trafficanti nella città di Musaid”; nelle stesse località sono state trovate anche delle “officine per la fabbricazione di barche di legno per le partenze irregolari”, partenze che in molti casi – negli ultimi mesi – hanno come meta l’Italia. Tuttavia, secondo quanto riportato dai media, i migranti arrestati sono stati circa 4mila e la metà di questi è stata poi costretta a valicare il confine libico in direzione Egitto. Evidentemente, alla radice degli eventi si trovano le difficoltà economiche – ma anche politiche – del Lna di Khalifa Haftar. Non sarà passato inosservato, come detto, che la rotta migratoria in partenza dalla regione orientale libica ha subito una forte impennata negli ultimi mesi, così come gli incontri tra il feldmaresciallo libico e alcuni leader europei, che hanno visto al centro dei colloqui proprio la collaborazione per bloccare l’aumento dei flussi verso le coste del Vecchio continente. Tuttavia, il ruolo dell’esercito di Haftar come baluardo contro il traffico di essere umani – così come quello delle milizie in Tripolitania – è frenato dal coinvolgimento di alcuni gruppi affiliati allo stesso esercito che della tratta di migranti fanno un vero e proprio mercato. Infatti, uno dei maggiori effetti della fallita campagna per la conquista di Tripoli del 2019 avviata da Haftar è stato il collasso dal punto di vista economico. Questo ha spinto il feldmaresciallo – e i suoi alleati locali – ad aumentare le attività illecite, come il contrabbando di droga o la tratta di esseri umani. La lotta ai trafficanti di migranti è protagonista anche nella regione occidentale dell’ex colonia italiana. Infatti, il premier del Governo di unità nazionale, Abdulhamid Dbeibah, ha giustificato l’avvio di operazioni militari nell’area proprio con il motivo della lotta al traffico illecito, tra cui quello di essere umani. Con la Libia il governo italiano ha affrontato, nuovamente, il dossier migratorio nell’ultima visita a Roma del premier misuratino e quella precedente di Khalifa Haftar. Un dialogo – quello sul tema dei migranti – che ripercorre le linee già citate in precedenza per il caso tunisino: supportare con mezzi e finanziare la controparte nordafricana per fermare le partenze.
Per concludere, la “Fortezza Europa” continua ad essere la soluzione preferita. Per l’ennesima volta viene data priorità alla sicurezza dei confini, anziché provare soluzioni alternative. Anche in questo caso le scelte europee sembrano essere dettate solo dall’emergenza più che da una strategia ragionata e di lungo periodo. Purtroppo, in passato tali politiche hanno dimostrato già tutta la loro fragilità e i risultati non sono coincisi mai con le aspettative. L’obiettivo dovrebbe essere quello di affrontare la situazione socio-economica di tali paesi al fine di riconoscere il diritto a una vita dignitosa e alla libertà di movimento, come mezzo per migliorare la propria condizione. La logica securitaria e di chiusura di fondo, sebbene con qualche modifica, non appare mutata. Le difficoltà su come rispondere alla sfida delle migrazioni restano ad oggi ancora gravi, oltre al fatto che, in un’Europa in cui la solidarietà non è sempre di casa, l’unico punto che sembra trovare d’accordo tutti è la riduzione degli arrivi irregolari sul proprio territorio.
Mario Savina