Lo scorso 16 marzo la Commissione europea ha presentato il Critical raw materials act (Crma). Si tratta di una proposta di regolamento volta a garantire un approvvigionamento diversificato e sostenibile delle cosiddette materie prime critiche. Un provvedimento già annunciato dalla presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, nel 2022, durante il discorso sullo stato dell’Unione.
L’obiettivo finale del Crma, insieme ad altri strumenti, è quello di raggiungere l’autonomia energetica europea, affrancandosi così dalle importazioni di materiali critici, che provengono infatti per la maggior parte da paesi extra-europei. In questo senso, il CRMA pone al centro della transizione energetica l’estrazione, lo sfruttamento e la produzione di materiali critici su territorio europeo. Quando si parla di materie prime critiche – minerali e metalli, quali ad esempio il litio, il borato e il cobalto – ci si riferisce ai materiali considerati, da un punto di vista economico, di importanza strategica per l’Europa e, allo stesso tempo, difficili da reperire. Si tratta di materie fondamentali per la transizione ecologica, che sono impiegate nelle tecnologie delle turbine eoliche, dei pannelli fotovoltaici e delle batterie, come quelle utilizzate nelle automobili elettriche. La domanda di questi materiali è in forte crescita. Il processo di riduzione dell’emissione di gas serra, infatti, unitamente alla volontà di affrancarsi dall’uso di fonti di energia inquinanti, hanno determinato l’aumento del fabbisogno delle materie prime critiche. Si stima, per esempio, che entro il 2030 l’Europa avrà bisogno di 18 volte più di litio e cinque volte più di cobalto rispetto ai livelli attuali, arrivando fino a 60 volte più di litio entro il 2050, un fabbisogno quindi che non può essere ignorato.
Il Crma si inserisce in un quadro d’azione più ampio previsto dall’Unione europea, noto come “Piano industriale per l’industria green”. Questo programma si basa su quattro pilastri: un contesto normativo semplificato – che prevede il “Net Zero Industry Act” per la formazione di un’industria che sia a zero emissioni, e, appunto, il “Critical Raw Materials Act”, che include l’uso massiccio delle rinnovabili attraverso forniture sicure di materie prime critiche – , un accesso più rapido ai finanziamenti, un miglioramento delle competenze necessarie e un commercio aperto ed equo.
Se l’utilizzo delle tecnologie verdi resta positivo in termini di impatto climatico, ci sono però almeno due criticità legate al suo impiego, in particolare riguardo alle materie critiche sfruttate in questo settore. Il primo problema è legato all’approvvigionamento per l’Europa, il secondo al loro consumo. Dal punto di vista della reperibilità, infatti, l’Europa resta largamente dipendente dalle forniture da parte di paesi terzi, in particolare Turchia, Sudafrica, Cile, ma soprattutto Cina. In questo senso, per centrare l’obiettivo dell’indipendenza energetica europea è indispensabile ridurre questo fabbisogno, così da diminuire il rischio di passare da una dipendenza, quella dal gas russo, ad un’altra, legata alle forniture cinesi di terre rare. Per quanto riguarda lo sfruttamento delle materie critiche, invece, si ripropone la questione della sostenibilità ambientale a causa dell’impatto che avrebbe il processo di estrazione mineraria. Il Crma tenta di risolvere tali criticità. Per questa ragione il regolamento prevede: il rafforzamento dell’approvvigionamento interno delle materie prime critiche; una maggiore diversificazione delle importazioni estere e, soprattutto, il potenziamento dell’economia circolare, che significa riciclo e riutilizzo dei materiali critici già impiegati.
Aumentare l’approvvigionamento interno al territorio europeo delle materie critiche consentirebbe ai paesi dell’Unione di ridurre la dipendenza da paesi esteri fornitori, e quindi i rischi legati ad eventuali diminuzioni o interruzioni nelle importazioni, rendendo così l’Unione indipendente. Inoltre, produrre le materie critiche su territorio europeo significherebbe limitare anche l’impatto ambientale legato ai trasporti su lunghe distanze, autorizzando allo stesso tempo le varie procedure di estrazione mineraria. Da questo punto di vista sono stati dimezzati i tempi per le rispettive autorizzazioni che, con le nuove misure proposte, si ridurrebbero a 24 mesi per i permessi di estrazione e a 12 mesi per quelli di lavorazione e riciclaggio, prevedendo quindi un massimo di tre anni per la conclusione di tali progetti. Se da un lato appare, dunque, necessario accelerare sull’impiego domestico delle materie prime, auspicando quindi un processo di autorizzazione delle estrazioni rapido ed efficiente, dall’altro questa esigenza si scontra con la necessità di una adeguata pianificazione e valutazione del relativo impatto sull’ambiente. Si rischia quindi di indebolire le stesse disposizioni europee sulla protezione ambientale. In questo senso, infatti, i primi processi di estrazione in Europa hanno trovato l’opposizione della popolazione locale e di gruppi di ambientalisti. Per citare due esempi: in Portogallo, la società di litio Savannah Resources è stata autorizzata dal regolatore portoghese ad effettuare le prime estrazioni nella miniera Barroso, che punta a produrre metallo per circa 500.000 auto elettriche all’anno. Questo episodio ha innescato una serie di proteste da parte della popolazione contraria all’estrazione, che avrebbe, secondo i manifestanti, impatti ecologici, ambientali e socio-economici distruttivi. Il progetto di estrazione portoghese si inserisce chiaramente negli obiettivi del Crma, nell’ambito del processo di semplificazione delle autorizzazioni per le società minerarie e di riduzione della dipendenza europea dalla Cina e da altri paesi per i minerali chiave. Stesso fenomeno si è verificato in Serbia, dove la multinazionale Rio Tinto aveva firmato un accordo con il governo serbo per l’estrazione del litio dalla miniera di Jadar, che è ad oggi il più grande giacimento di litio in Europa. Dopo numerose proteste per impedire le estrazioni, il progetto è stato attualmente sospeso.
In generale, per ridurre l’impatto ambientale dei processi di estrazione e di lavorazione dei minerali sarebbe auspicabile un’estrazione sostenibile, che preveda per esempio un controllo costante delle attività, il riutilizzo delle acque di lavorazione, la mitigazione degli impatti sulle falde acquifere e sulla biodiversità, sino alla minimizzazione del consumo di suolo. Si potrebbe, inoltre, riutilizzare lo sterile, cioè il rimanente dopo l’estrazione dei minerali utili. Gli sterili, a seconda delle loro caratteristiche, possono essere riutilizzati in vari settori, per esempio nel campo dell’edilizia o dell’industria ceramica. Si potrebbe, inoltre, sfruttare positivamente l’attenzione che le popolazioni e le associazioni manifestano nei confronti delle estrazioni minerarie, coinvolgendole nel processo, segnalando cioè eventuali irregolarità o violazioni che potrebbero verificarsi.
Con il Crma – anche alla luce della guerra in Ucraina – l’Unione intende rafforzare la diversificazione delle importazioni di materie prime critiche, attraverso un “Critical raw materials club”, che crei una partnership con diversi paesi di esportazione delle materie prime che siano però affini tra loro da un punto di vista politico, e dunque ritenuti affidabili, sviluppando partenariati strategici e reciprocamente vantaggiosi – per esempio con Canada e Stati Uniti.
Per superare queste difficoltà e centrare l’ambizioso obiettivo dell’autonomia energetica europea si dovrà puntare soprattutto sull’economia circolare. L’attuale problema legato alle estrazioni domestiche e i sussistenti legami di approvvigionamento extra-europei rendono l’economia circolare l’aspetto più importante. Lo scopo è di raccogliere e riciclare i prodotti contenenti le materie prime critiche, così da poterle impiegare nuovamente. In quest’ottica andrebbero utilizzate le materie prime seconde (mps), cioè gli scarti di produzione che possono essere immesse una seconda volta nel sistema produttivo come nuove materie prime. Puntare sulla crescita dell’economia circolare significherebbe anche prevedere adeguati finanziamenti per lo sviluppo di tecnologie più efficaci per il riciclo. Fondamentale sarà anche la riparazione degli oggetti: i prodotti elettronici, le turbine eoliche e i pannelli solari devono essere riparabili e riutilizzabili.
In conclusione, l’obiettivo dell’Unione europea è quindi quello di diminuire le importazioni di ciascun metallo strategico proveniente da un singolo Paese terzo, in particolare dalla Cina, attivando, al contrario, una produzione interna. In questo senso, si registrano i primi progetti di estrazione e lavorazione domestica, che devono però fare i conti con le proteste delle popolazioni locali che manifestano preoccupate dai danni che le estrazioni potrebbero causare all’ambiente e alla salute. Ulteriore aspetto che rallenterebbe il raggiungimento dell’autonomia energetica europea riguarda la politica industriale, che non è una competenza esclusiva dell’Unione. Gli obiettivi del Crma non hanno infatti carattere vincolante e il loro rispetto da parte degli Stati membri resta quindi volontario e non obbligatorio.
Tutte queste ragioni generano, ad oggi, dubbi sulla fattibilità di un processo di transizione che possa poi centrare l’obiettivo dell’autonomia energetica nel breve termine. Allo stesso modo, non è più pensabile fare a meno delle tecnologie green. È dunque necessario trovare un equilibrio rispetto alla produzione delle materie prime critiche, altrimenti l’Europa rischia di perpetrare la sua dipendenza continuando a rivolgersi a mercati esteri basati su estrazioni che non tengono in considerazione il rispetto degli standard ambientali minimi.
Chiara Vilardo