L’operazione del 7 ottobre scorso, “Alluvione al-Aqsa”, lanciata dalle brigate Izz-Din al-Qassam – braccio armato del movimento politico-militare palestinese Hamas –, ha provocato più di 1.400 morti tra militari e civili israeliani. L’inaspettata incursione militare di Hamas ha determinato la caduta delle linee di difesa di Tel Aviv, rappresentate dai propri servizi di sicurezza e dall’esercito. La risposta israeliana si è concretizzata in una risposta militare violenta contro la Striscia di Gaza. Il conflitto – scoppiato in una regione estremamente delicata da un punto di vista politico, religioso, culturale, territoriale e identitario – ha nuovamente accesso i riflettori sulla questione palestinese, che sembrava ormai relegata in secondo piano. Se presso i paesi occidentali la vicinanza nei confronti dello Stato di Israele è stata pressoché totale, nella sponda Sud del Mediterraneo ed in generale nel mondo arabo-islamico non è stato così. Le rivendicazioni per la nascita di uno Stato palestinese rimangono un nervo scoperto per le società arabe ed islamiche, dove viene considerata “la questione delle questioni”. Sebbene negli ultimi anni la lotta dei palestinesi sembrava aver perso importanza per molti governi arabi e islamici, la sensibilità delle loro popolazioni sul tema non è mai diminuita.
Ciò è stato messo in luce anche dalla stampa dei paesi mediorientali a partire dall’inizio dell’operazione condotta da Hamas e nelle fasi successive della guerra. Mentre nella stampa e nelle televisioni occidentali, il movimento politico di Hamas è descritto come un’organizzazione terroristica illegittima, in gran parte del mondo arabo-islamico il movimento è concepito come una forza di resistenza nei confronti di Israele, un paese che viene considerato l’occupante del territorio palestinese. Partendo da questo presupposto, le analisi e i resoconti seguono tutt’altra narrazione. Al di là delle ragioni profonde del conflitto, il mondo arabo-islamico percepisce in modo molto diverso la questione rispetto al racconto giornalistico e televisivo occidentale.
All’indomani della ripresa delle ostilità dell’annoso conflitto, che rischia di evolvere in una nuova ampia guerra arabo-israeliana, le testate dei più importanti quotidiani dei paesi arabi della regione – tra cui Giordania, Libano, Egitto, Siria, Arabia Saudita, Qatar e Marocco – hanno subito richiesto il cessate il fuoco.
In Giordania, il quotidiano Alrai titolava pochi giorni dopo l’attacco: “Il re Abdallah II inizia una serie di incontri a livello di paesi arabi per cercare una posizione internazionale comune per fermare la guerra a Gaza”. Il 18 ottobre titolava invece: “Centinaia di martiri nella macelleria di Gaza” e, continuava, “Fermate la guerra prima che si incendi l’intera regione”. Al contempo, Al-Hadat riportava la posizione ufficiale della Giordania espressa proprio dal ministro degli Esteri, scrivendo: “Bloccare gli aiuti verso Gaza è un crimine di guerra”.
A Beirut l’attacco lanciato dalla Striscia di Gaza ha ricevuto molti plausi e sostegno, a cominciare dalla forza politico-partitica degli Hezbollah, il “Partito di Dio”. Il giornale A-Nahar titolava il 14 ottobre: “Minacce occidentali incessanti [verso Hezbollah] e noi non indietreggeremo”. Nei giorni successivi, e con lo scambio di fuoco al confine tra Libano e Israele che ha provocato vittime da entrambe le parti, il giornale vicino al movimento libanese di ispirazione sciita Al-Akhbar ha reso ancora più chiara la posizione di Hezbollah. Il quotidiano diretto da Ibrahim Al Amine, convinto sostenitore di Hezbollah, è infatti noto per i suoi feroci editoriali. Poco dopo l’operazione portata avanti dal braccio militare di Hamas, il giornale libanese Al-Akhbar sottotitolava: “Una guerra genocida contro i civili e la resistenza [Hamas] rimane solida”. Al contempo, nella seconda pagina del 9 ottobre l’articolo intitolava: “Israele chiede aiuti militari contro Hezbollah […]. La folle e sanguinaria risposta israeliana dopo l’operazione Alluvione al-Aqsa ha colpito a caso la Striscia di Gaza provocando centinaia di morti civili palestinesi”. Con l’evolversi della situazione nel campo di battaglia, le testate libanesi e in modo particolare la stampa vicina a Hezbollah hanno usato toni più decisi contro l’Occidente – in particolare gli Stati Uniti – e soprattutto Israele. Sempre Al-Akhbar il 18 ottobre scriveva: “Finite le parole per Gaza”, “Controllo esterno completo su Gaza per evitare invasioni di terra”. Dopo l’esplosione all’ospedale di Gaza, l’articolo di Ibrahim Al Amine riportava che “non vi è più possibilità di una soluzione politica dopo il massacro feroce commesso dal nemico israeliano all’ospedale battista ieri sera a Gaza”. L’Al-Sharq del 18 ottobre scriveva poi che “Israele accoglie Biden con la peggiore macelleria (…) centinaia di martiri nell’ospedale civile di Gaza”. Sempre lo stesso giornale riportava: “Nuove tensioni nel Sud [del Libano] (…). Il Partito [Hezbollah] colpisce obiettivi militari del nemico, il quale risponde con violenza provocando cinque vittime tra le forze di resistenza”. Il 19 ottobre, dopo la vista di Biden a Tel Aviv, Al-Sharq si è espresso su come il presidente americano coprisse gli orrori dell’occupazione israeliana. Nell’imminenza dell’operazione di terra dell’esercito israeliano nei confronti della Striscia di Gaza, Al-Akhab titolava il 20 ottobre: “La linea delle operazioni [militari] si allarga dal Libano alla Siria all’Iraq arrivando fino allo Yemen”. Sempre nel medesimo quotidiano venivano illustrate le posizioni della Russia, riportando che “Mosca ravvisa il rischio di una guerra regionale, Lavrov prepara l’incontro con l’Iran” e proseguendo con “Iran: la guerra si allarga se non si fermerà l’attacco verso Gaza”. Attraverso la stampa libanese emerge da una parte il sostegno politico di Hezbollah all’offensiva di Hamas del 7 ottobre e dall’altra il riaccendersi dell’avversione nei confronti di Israele e la sensazione che da un momento all’altro possa deflagrare un conflitto più vasto.
Anche presso i paesi della penisola arabica le posizioni nei confronti di Israele sono state critiche. Anche qui i bombardamenti israeliani sono stati definiti indiscriminati, causando centinaia di vittime civili palestinesi. Sin dal primo momento il Qatar è stato netto nel condannare la violenza della risposta di Tel Aviv. Il giorno dopo l’operazione delle brigate Izz-Din al-Qassam, Al-Watan uno dei principali giornali qatarioti, scriveva: “Il Qatar addossa tutta la responsabilità dell’escalation ad Israele”. Tuttavia, dopo i primi giorni del conflitto, i toni sono diventati più contenuti. La posizione ufficiale di Doha è stata quella di ricoprire un ruolo di mediazione tra le parti, visti i suoi ottimi rapporti con i vicini regionali, con l’Unione europea e con gli Stati Uniti. Tuttavia, occorre tener presente che i vertici di Hamas sono sotto la protezione del Qatar, che non ha mai negato di avere rapporti stretti e di sostegno con il movimento di liberazione palestinese. Il 19 ottobre il giornale Al-Shuroq scriveva: “Sua Altezza l’emiro chiede l’apertura di corridoi [umanitari] sicuri per gli aiuti a Gaza”. È stato inoltre concesso ampio spazio nei giornali allo sforzo diplomatico profuso dalle autorità nazionali; ad esempio, a pagina tre il medesimo quotidiano ha scritto: “Il primo ministro incontra il ministro degli Esteri britannico in un confronto sull’evoluzione in Palestina”.
Sulla medesima linea ritroviamo anche le posizioni dell’Arabia Saudita. Nei giorni successivi all’attacco, anche i giornali sauditi avevano posto particolare enfasi nel riportare gli sforzi politici per provare a contenere il conflitto nella regione. A tal proposito, il giornale al-Riadh scriveva che “Faisal Ben Farhan [emiro saudita] si confronta assieme al ministro degli Esteri [dell’Iran] sull’evoluzione a Gaza” e sottolineava gli “(…) sforzi per contenere l’evoluzione militare a Gaza [e il] coinvolgimento dei ministri degli Esteri di Turchia e Libano all’interno della Conferenza dei paesi islamici”. Su Sharq al-Awasat – giornale saudita pubblicato a Londra, distribuito in tutto il mondo e stampato a Riad, Gedda, Casablanca, Il Cairo, Khartoum, Istanbul, Erbil, Beirut, Dubai, Amman, Francoforte, New York, Los Angeles e Washington – veniva riportato il 18 ottobre che “la strage all’ospedale mette in difficoltà la visita di Biden”, che “centinaia di persone sono state uccise da un raid israeliano, [il che] complica la visita ‘solidale’ che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden intende fare nello Stato ebraico oggi [mercoledì 18 ottobre]”. Al-Jazirah titolava il 20 ottobre: “Continueranno gli sforzi per porre fine all’assedio a Gaza”, riportando principalmente gli sforzi diplomatici del principe Mohammad bin Salman Al Sa’ud per un cessate il fuoco e l’ingresso degli aiuti umanitari.
Al contempo, la posizione dell’Egitto è stata di condanna sia nei confronti della violenza di Hamas – l’Egitto è infatti l’unico paese arabo che riconosce Hamas come gruppo terroristico – che nei confronti della risposta di Israele, più volte definita eccessiva. Khabar-al-yom il 19 ottobre riportava dell’incontro del presidente Abdel Fattah al-Sisi con il re di Giordania nello sforzo comune di trovare una via diplomatica al conflitto. Il ruolo egiziano nelle varie vicende che hanno riguardato la regione rimane sempre centrale; nella pubblicazione saudita Shaq al Awasat in un trafiletto del 20 ottobre si leggeva “Egitto: le folle del popolo e un parlamentare chiedono di aiutare Gaza e di contrastare l’emigrazione [del popolo palestinese dai suoi territori]”. Al Cairo, la stampa ha dato rilievo alla posizione conciliante della presidenza di al-Sisi per la ricerca di un cessate il fuoco e una posizione internazionale condivisa. Al-Ahram scriveva: “Il Cairo è la chiave della soluzione: i suoi sforzi tracciano la strada per salvare la regione da un destino oscuro”. Sempre su Akhbar-al-yom del 22 ottobre veniva riportato che “L’Egitto rappresenta l’equilibrio del Medio Oriente e il vertice del Cairo è l’inizio di una giusta soluzione alla questione palestinese”.
Anche nel Maghreb le posizioni sono state di sostegno alla causa palestinese e di richiesta di un cessate il fuoco e di una soluzione diplomatica. Nel corso del convegno per la Pace del Cairo (21 ottobre), il Regno del Marocco, attraverso il ministro degli Esteri Nasser Bourita, ha fatto richiesta di una posizione internazionale forte per porre fine alla guerra ed auspicato una soluzione basata sulla creazione dei due Stati. A questo proposito, il giornale Assabah scriveva il 24 ottobre: “Bourita: Il Marocco, sotto la guida del re, rinnova la sua posizione a sostegno della pace come opzione strategica per risolvere il conflitto israelo-palestinese”. La posizione di Rabat è rimasta quella della soluzione diplomatica e della cessazione immediata delle violenze contro la popolazione palestinese. In effetti, il re Mohammad VI – che presiede il comitato Al-Quds e l’agenzia Bayt Mal Al-Quds Asharif nel sostegno politico-economico agli abitanti della città santa di Gerusalemme – in più occasioni aveva protestato contro le violenze subite in Cisgiordania e nella Spianata delle Moschee. Le proteste nel Regno, così come in molte piazze arabe, contro i bombardamenti israeliani a Gaza hanno influenzato le posizioni ufficiali di Rabat e degli altri paesi arabi.
Queste ultime riflettono non solo la politica estera di un singolo paese, ma tengono anche conto della politica interna. Se in un primo momento le condanne sono state più sfumate, con il passare dei giorni e delle settimane non è stato più possibile mantenere toni pacati. Anche i paesi firmatari degli Accordi di Abramo o che avevano già riconosciuto lo Stato di Israele hanno mantenuto un canale aperto con Tel Aviv, ma hanno al tempo stesso condannato le scelte israeliane di politica estera degli ultimi anni. Paesi come Marocco, Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Stati del Golfo, hanno espresso forti preoccupazioni e richiesto una soluzione che vada in direzione della soluzione a due Stati con la nascita di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. Esiste tuttavia un reale timore presso i capi di Stato dei paesi arabi che si possa innescare un effetto domino capace di trascinare la regione in un conflitto più ampio.
Mohamed El Khaddar