Nel corso della cerimonia di laurea congiunta degli studenti delle università ufficiali delle Forze armate, il leader iraniano Ali Khamenei ha parlato della situazione attuale in Palestina in questi termini: “Questo disastro è stato causato dalle azioni degli stessi sionisti. Quando la crudeltà e il crimine hanno superato il limite, quando la rapacità ha raggiunto il suo apice, bisogna aspettare la tempesta. Cosa avete fatto alla nazione palestinese? L’atto coraggioso e allo stesso tempo altruista dei palestinesi è stato una risposta al crimine del nemico usurpatore che andava avanti da anni ed era aumentato di intensità negli ultimi mesi. La colpa è anche dell’attuale governo che presiede il regime usurpatore sionista”. Nello stesso giorno, comunque, Khamenei ha respinto con forza qualsiasi coinvolgimento iraniano nell’attacco a sorpresa del movimento Hamas contro Israele, ripetendo diverse volte questo concetto nel suo discorso del 10 ottobre.
Nei giorni successivi, Khamenei ha nuovamente condannato “i crimini commessi dal regime sionista nel genocidio del popolo palestinese a Gaza”, chiedendo “l’immediata cessazione dei bombardamenti”. Riferendosi al ruolo concreto degli statunitensi nella definizione delle politiche israeliane, ha inoltre aggiunto: “Le nazioni musulmane così come i popoli non musulmani del mondo sono molto arrabbiati per i crimini in corso del regime occupante e, se queste atrocità continueranno, i musulmani del mondo e le forze di resistenza diventeranno impazienti e nessuno sarà in grado di fermarli”.
Nel frattempo, il Consiglio europeo ha rilasciato una dichiarazione annunciando che non revocherà le sanzioni missilistiche contro l’Iran, che sarebbero dovuto essere annullate nel quadro delle clausole di scadenza del Piano d’azione congiunto globale (Jcpoa) il 18 ottobre 2023. Nello stesso momento, anche il Ministero della Difesa e del Supporto alle Forze Armate iraniano aveva rilasciato una dichiarazione riguardante proprio la fine delle sanzioni missilistiche del Consiglio di sicurezza dell’Onu: “Oggi, secondo la Risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, terminerà la restrizione di otto anni adottata dal Consiglio e riguardante le attività dei missili balistici dell’Iran e la fornitura, vendita e trasferimento di materiali, attrezzature, tecnologia e articoli relativi allo sviluppo delle capacità missilistiche dell’Iran. La Repubblica islamica dell’Iran ha dimostrato nella sua esperienza di considerare questo periodo di tempo come un’opportunità da utilizzare per dimostrare la propria autorità e legittimità, nonché per rafforzare le proprie capacità di difesa. Anche se alcuni paesi continuano a mantenere un comportamento contraddittorio e non sono disposti a rispettare gli obblighi previsti dalla risoluzione 2231”. Tuttavia, lo stesso giorno gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni contro il programma missilistico di Teheran, mentre l’Unione europea aveva deciso il mese precedente di imporre misure restrittive nell’ambito del “regime di non proliferazione dell’Ue”.
Con l’attacco all’ospedale di Al-Ahli Arab di Gaza, la morte immediata di più di cinquecento civili e l’aumento delle tensioni tra Israele e le forze di resistenza palestinesi sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania, l’incaricato d’affari dell’ambasciata iraniana a Londra ha chiesto l’espulsione di Israele dalle Nazioni unite. In seguito, l’Iran ha dichiarato lutto nazionale il 18 ottobre in solidarietà con il popolo palestinese e il ministro degli Esteri Amir-Abdollahian ha viaggiato verso Gedda per incontrare altri leader regionali per discutere in merito alla questione palestinese. Lo stesso giorno, in serata, Abdollahian scriveva nel suo account Twitter: “Dopo il terribile crimine del regime sionista con l’attentato e il massacro di oltre mille donne e bambini innocenti nell’ospedale Al-Moamdani, è giunto il momento dell’unità globale contro questo falso regime più odiato dell’Isis e la sua macchina della morte. Time is OVER!”.
Nel mentre, il giornale ultraconservatore Kayhan ha pubblicato un testo riguardo la sconfitta dello Stato israeliano citando le parole del suo ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich: “Dobbiamo ammettere umilmente che abbiamo fallito”; al contempo, l’ex-primo ministro israeliano, Ehud Barak, ha rivelato all’Economist: “Netanyahu dovrebbe assumersi la responsabilità del più grande fallimento nella storia d’Israele”.
A tutto ciò è seguita una campagna pubblicitaria da parte delle forze ultraconservatrici iraniane volta a far registrare volontari per il supporto non solo umanitario-sanitario ma anche militare, nell’eventualità di un combattimento contro le forze israeliane e a sostegno di quelle palestinesi.
È stato attivato inoltre l’hashtag #حریفت منم (“sono il tuo avversario”) sui social media, in particolare su Twitter, in solidarietà al popolo palestinese ed è stato creato un sito web dove le persone possono registrarsi e scrivere il proprio pensiero di sostegno al popolo palestinese. Il sito si chiama alaqsastorm.com, dal nome dell’attacco di Hamas. La stessa pagina in lingua inglese sottolinea che “partecipando alla campagna di Tempesta Al-Aqsa, sostieni l’epopea della nazione palestinese oppressa per riacquisire dignità, onore e gloria. Informa anche gli altri”; quella in lingua persiana sottolinea invece: “Per sostenere la legittima difesa della nazione palestinese oppressa, premi il pulsante qui sopra e dichiara la tua disponibilità ad essere inviato nelle regioni”. Fino al 25 ottobre più di sei milioni di persone avevano già dato la loro disponibilità.
D’altra parte, sui social media quest’azione ha avuto un riscontro negativo da parte di alcuni iraniani, principalmente residenti all’estero. Dopo l’attacco di Hamas, l’hashtag #IraniansStandWithIsrael dell’8 ottobre è stato un trend nella categoria Politica. L’account “Israele in persiano”, gestito dal governo israeliano, ha ringraziato gli iraniani che sostengono Israele. Bisogna inoltre menzionare che durante le ultime proteste in Iran veniva spesso utilizzato uno slogan contro il sostegno del governo iraniano a Gaza e Libano: “Na Gazeh, na Lobnan, janam fadaye Iran” (“Né Gaza, né Libano; sacrifico la mia vita per l’Iran”). In diverse occasioni gli iraniani, sia all’interno del paese che nella diaspora, hanno condannato l’attacco di Hamas verso i civili israeliani, sostenendo Israele e il suo contrattacco. Un affronto questo nei confronti delle autorità iraniane, in quanto attraverso questo pretesto il popolo sembrava dimostrava la propria insoddisfazione verso il governo dell’Iran.
Il 19 ottobre, durante le conversazioni con i suoi omologhi russo e turco, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha messo “in guardia contro la continuazione dei crimini da parte del regime sionista” e ha avvertito della “possibilità di espandere la portata della guerra e del conflitto su altri fronti”; e che “se ciò accadesse, sarà più difficile controllare la situazione”.
In tutto ciò, continuano le minacce bilaterali tra Iran e Israele. Tel Aviv ha infatti minacciato Teheran, affermando che, se gli Hezbollah del Libano entreranno in guerra contro Israele, quest’ultimo colpirà l’Iran; e anche che, se la Siria attaccherà Israele, quest’ultimo attaccherà gli Hezbollah. L’Iran ha anche minacciato che, se gli Stati Uniti entreranno in guerra, esso non rimarrà a guardare. In un’intervista, Nir Barkat, esponente del partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha assunto un tono bellicoso contro l’Iran, definendolo “la testa del serpente”, e ritenendolo responsabile di qualsiasi decisione di Hezbollah di dilatazione del conflitto (“Se scopriamo che intendono prendere di mira Israele, non ci limiteremo a reagire su quei fronti, ma arriveremo alla testa del serpente, che è l’Iran”).
Infine, la guerra tra Israele e Hamas ha sfibrato le relazioni degli Stati Uniti con l’Iran che, fino al mese scorso, avevano trovato forme di collaborazione, a partire dallo scambio dei prigionieri. Ma ora Washington ha invece dichiarato il congelamento dei fondi iraniani nelle banche in Qatar e il posticipo dell’incontro sul Jcpoa, previsto questo mese ad Amman.
Shirin Zakeri