Un altro diplomatico delle Nazioni unite – a capo della missione Unsmil – presenta le dimissioni dal suo incarico. Questa volta è toccato al senegalese Abdoulaye Bathily, alla guida della delegazione onusiana dal settembre 2022. L’evento è l’ennesima dimostrazione delle difficoltà dell’organizzazione internazionale in Libia. Dalla caduta di Gheddafi, ormai nel lontano 2011, il paese maghrebino tenta di trovare una stabilità necessaria per mettersi alle spalle il lungo periodo caratterizzato da crisi, conflitti e morti. Tuttavia, oggi la situazione pare essere ancora più complessa rispetto al recente passato. Il cessate il fuoco – raggiunto nell’ottobre del 2020 – non è servito a riavvicinare le fazioni rivali che amministrano il paese, mentre l’ombra di un ritorno alle armi preoccupa libici e Stati vicini.
Dopo il briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, è iniziata a circolare la voce delle dimissioni di Bathily, poi confermata nelle ore successive. Durante il resoconto al principale organo onusiano, Bathily ha elencato le difficoltà che persistono nel raggiungimento degli obiettivi del processo politico. Infatti, nel periodo in cui ha guidato l’Unsmil, Bathily ha dovuto confrontarsi con tutte le sfaccettature del palcoscenico libico, che avevano portato alla stessa decisione (le dimissioni) la maggior parte dei suoi predecessori. Oggi, le posizioni dei principali attori – istituzionali e non – rimangono distanti, ostacolando l’avanzata del processo politico. Il premier del Governo di unità nazionale (Gun), Abdulhamid Dbeibah, e il presidente dell’Alto consiglio di Stato (Hcs), Mohamed Takala, hanno accettato di sedersi al tavolo del dialogo nazionale, ma con le precondizioni di modificare il pacchetto di leggi elettorali, prodotto dalla Commissione mista 6+6, e adottare una nuova Carta costituzionale prima dello svolgimento delle elezioni parlamentari e presidenziali. Il presidente della Camera dei rappresentanti (HoR), Aguila Saleh, pressa per la formazione di un nuovo governo transitorio che possa sostituire il Gun, considerato illegittimo. Al contempo, alcuni leader locali e tribali denunciano l’illegittimità dell’HoR, eletta ormai 10 anni fa. In tale quadro si inserisce Khalifa Haftar, da anni autorità indiscussa in Cirenaica: il feldmaresciallo ha sempre chiesto a Bathily l’inserimento di Osama Hammad, premier del Governo di stabilità nazionale (Gsn), al tavolo del dialogo o, in alternativa, escludere anche il premier di Tripoli. Quest’ultima richiesta, secondo Bathily, avrebbe rappresentato la certificazione della divisione del paese in due amministrazioni e per tale motivo non accettabile.
Le distanze e criticità nel processo promosso dall’Onu sembravano essere sparite durante i colloqui paralleli svolti in Egitto nelle scorse settimane. Durante un incontro convocato dal segretario della Lega araba, Ahmad Aboul Gheit, il presidente del Consiglio presidenziale (Cp), Mohamed al-Menfi, Aguila Saleh (HoR) e Mohamed Takala (Hcs) avevano concordato sulla necessaria formazione di un nuovo esecutivo, oltre a promuovere la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del loro paese e respingere qualsiasi interferenza esterna ostile nel processo politico in corso. Secondo il comunicato rilasciato dall’organizzazione araba, sarebbe seguita la formazione di un comitato tecnico che avrebbe tentato di superare gli ostacoli causa dello stallo politico. Tuttavia, per la finalizzazione dell’intesa si sarebbe dovuto attendere un secondo ciclo di colloqui. Ciò che tuttavia aveva richiamato l’attenzione era l’assenza ai colloqui di Dbeibah. La posizione del premier misuratino, nonostante l’apparente isolamento dopo i colloqui citati e alcune complicazioni interne al sistema di controllo della capitale, sembra ancora oggi stabile. Diversi attori regionali e internazionali, Egitto compreso, avevano (hanno) espresso pareri favorevoli sulla formazione di un nuovo esecutivo, ma player fondamentali come Turchia ed Emirati Arabi Uniti non sembrano ancora aver abbandonato l’attuale governo di Tripoli e il suo leader. Lo stesso Dbeibah ha più volte rimarcato la sua volontà di dialogare con tutti gli attori politici e la sua ferma decisione di accompagnare il paese alle elezioni. In questo senso, il mancato accordo ufficiale al Cairo – dimostrazione della distanza ancora in essere tra le parti – gli permette di guadagnare ulteriore tempo.
Sul fronte della sicurezza, i gruppi armati e i loro leader continuano a essere determinanti in qualsiasi sviluppo nel paese e la loro ascesa fino ad oggi è stata di ostacolo agli sforzi volti a unificare e riformare il settore della difesa e dell’ordine pubblico, processo fondamentale per una democratizzazione definitiva. L’avvio della riunificazione dell’apparato militare permetterebbe un miglioramento in termini di sicurezza sull’intero territorio e porrebbe fine alla lotta di interessi che oggi caratterizza il dialogo tra i diversi gruppi armati attivi sull’intero territorio. La dimensione economica delle mutevoli alleanze tra attori politici, istituzionali e di sicurezza rappresenta, da troppo tempo, una tendenza preoccupante, oltre che una minaccia alla ripresa del conflitto militare. La presenza di attori armati è motivo di forte preoccupazione poiché costituisce una minaccia significativa alla sicurezza della popolazione civile. Questo è stato particolarmente evidente nella regione occidentale, in particolar modo a Tripoli e Zawiya dove si sono registrati scontri a fuoco tra le varie milizie. I gruppi armati riconosciuti dal governo di Tripoli sono fondamentali per la sopravvivenza dello stesso esecutivo; il vantaggio reciproco – da una parte, riconoscimento ufficiale e stipendi, dall’altra, garanzia di controllo e supporto politico – permette quella parvenza di stabilità solo nel presente, senza nessuna certezza per il futuro. Lo dimostra anche l’aumento delle tensioni tra milizie delle comunità locali di Zuwara e le agenzie di sicurezza affiliate al Ministero dell’Interno, guidato da Emad Trabelsi, per il controllo del valico di frontiera di Ras Jadir in direzione Tunisia. Inoltre, la continua militarizzazione degli attori armati e alcune manovre militari da parte delle forze di Haftar vicino alla “linea rossa” di Sirte rappresentano un rischio per la pace.
L’incertezza in cui versa il paese non permette nessuna programmazione nel breve-medio termine, ma fa aumentare il timore di un ritorno al conflitto. La mancanza di una visione comune dei protagonisti locali (e internazionali) e la volontà di non modificare lo status quo hanno complicato, ulteriormente, una situazione già di per sé delicata. In tale contesto i tentativi di dialogo avviati dai diplomatici onusiani che si sono susseguiti nel corso degli anni sembrano non avere quel peso necessario a colmare le attuali distanze tra i protagonisti libici, che mirano alla tutela delle proprie posizioni e interessi. Un peso che andrebbe rafforzato dalla maggiore convinzione della comunità internazionale, che dovrebbe lavorare unita per traguardare l’obiettivo di una stabilizzazione definitiva. Oggi questa visione non è presente e, peggio ancora, la volontà di voler ottenere il massimo dalla crisi libica è il vero scopo di molti degli attori sul campo. Nel frattempo, false intese e accordi vuoti continueranno a caratterizzare l’infinita transizione libica.
Mario Savina