Gli ultimi sette mesi – dal 7 ottobre 2023 a oggi – sono stati caratterizzati da livelli traumatizzanti di violenza. La dura risposta di Israele in seguito all’attacco terroristico di Hamas in territorio israeliano ha sconvolto migliaia di vita e ha riportato al centro dell’attenzione internazionale la questione israelo-palestinese. I morti, gli ostaggi e la completa distruzione ricordano come sia tanto necessaria quanto urgente una soluzione definitiva a quella che viene considerata la madre di tutte le questione in Medio Oriente. In tal senso, è imprescindibile interrompere la devastazione e l’ingiustizia in corso e, al contempo, impedire agli estremisti, che si nutrono dello stato di conflitto, di raggiungere i propri obiettivi. Trovare una rapida soluzione, ad oggi, pare essere molto complicato, anche a causa della distanza tra i diversi punti di vista degli attori coinvolti. Tra le diverse ipotesi, Moammar Gheddafi, leader della Libia per oltre 40 anni, ucciso durante la rivolta del 2011, ipotizzava la nascita di uno Stato unico (comprendente Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza), chiamato Isratine, che andava controcorrente rispetto alla più diffusa ipotesi “due popoli, due Stati”.
L’idea, presentata precedentemente dal secondogenito di Gheddafi, Saif al-Islam, fu pubblicata in un piccolo volume, nei primi anni del nuovo millennio, firmato dal padre, dal titolo Isratine, Il Libro bianco che, come detto, si proponeva quale soluzione al conflitto. La parola Isratine deriva da “Israele” e “Filastin” (Palestina in arabo), mentre il titolo di “Libro bianco” si riferisce agli storici Libri bianchi sulla Palestina.
L’ex leader libico apriva il volume – evidentemente, meno noto del Libro verde pubblicato nel 1975 – legando la storia della Palestina all’Antico Testamento, dove veniva riconosciuta, tra gli altri, nei Libri D’Isaia, della Genesi e del Deuteronomio. La scelta da parte degli ebrei del territorio su cui far nascere un proprio Stato, secondo Gheddafi, si scontrava con alcuni dati storici: «Tale idea trae origini dall’oppressione subita dagli ebrei in Europa […]. Furono candidati: Cipro, Argentina, Uganda, lo Jabal al-Akhdar, la Palestina ed il Sinai per la creazione di uno Stato per gli ebrei, per liberarsene in Europa. Quindi non era necessariamente la Palestina lo Stato nazionale per gli ebrei com’è confermato da questi fatti». Per Gheddafi, quindi, la fondazione di uno Stato ebraico fu in parte il risultato dell’antisemitismo europeo. Eppure, anche se il territorio della Palestina non fosse necessariamente quello su cui fondare questo Stato, l’ex leader rivoluzionario (in riferimento al colpo di Stato del 1969) riconosceva implicitamente nel libro il diritto all’esistenza dello Stato israeliano, o meglio, nelle parole del libico, al «cosiddetto Stato di Israele».
Il defunto capo della Jamāhīriyya libica sottolineava come tra i due popoli – arabi e israeliani – non esistesse «alcuna ostilità, anzi essi sono cugini degli arabi Adnani, discendenti di Abramo. Gli ebrei quando furono oppressi, vennero ospitati dai loro fratelli arabi, li accolsero a Medina, gli concedettero la Wadi al-Qura, cioè la valle dei villaggi, nome derivato dai villaggi ebrei». Con l’avvento dell’islam, Gheddafi ammette che le comunità ebraiche furono perseguitate dai musulmani in quanto infedeli e al pari dei rinnegati; tuttavia, dopo l’espulsione dall’Andalusia vennero accolti nei paesi arabi: «Perciò troviamo i quartieri ebrei in ogni paese arabo. Vivevano in pace e affetto con i loro fratelli arabi».
Nel volume, Gheddafi ricorda poi le proposte degli anni ’30 per una soluzione pacifica: dalla costituzione di un Consiglio Legislativo per la Palestina, formato da membri musulmani, ebrei e cristiani, in proporzione alla popolazione, al progetto di un governo centrale e quattro zone amministrative (araba, ebraica, Gerusalemme, Negev), dalle proposte sioniste a quelle provenienti dal mondo arabo. Al contempo, nel volume vengono riportate sia voci pacifiste del movimento sionista di quegli anni, che mettevano in guardia contro la divisione del territorio oggetto di contesa, che dichiarazioni nazionaliste, come quelle dell’ex direttore del Mossad, Meir Amit, che rifiutava qualsiasi fondazione di uno Stato palestinese in quanto pericolo per Israele.
Gheddafi arriva al punto di affermare che la soluzione radicale e storica è Isratine, un unico Stato per palestinesi ed ebrei. Il presupposto principale a tale idea era: il ritorno dei profughi palestinesi e quelli in esilio, perché «non è ammissibile portare dall’estero degli ebrei che non erano abitanti della Palestina, […] e, allo stesso tempo, impedire ai palestinesi che uscirono come profughi dalla Palestina dopo il 1948 di ritornare». Inoltre, tra i punti principali, notava: la supervisione da parte delle Nazioni unite di elezioni libere ed eque; la rimozione delle armi di distruzione di massa dal territorio del nuovo Stato e la suddivisione del paese in cinque regioni amministrative, con Gerusalemme come città-Stato. Per l’ex leader libico esistevano fattori che avrebbero inevitabilmente portato al fallimento qualora si fosse accettata la proposta della spartizione in due entità: tra questi, l’intreccio e la discontinuità tra le due parti, sia geograficamente che demograficamente; il futuro Stato della Palestina avrebbe avuto tutto il diritto di armarsi allo stello livello dei paesi vicini (su questo punto nel 2009 Gheddafi sosteneva: «Se gli israeliani possiedono armi nucleari o semplicemente le capacità per costruirle, allora egiziani, siriani, sauditi hanno il diritto di fare altrettanto. Così come i palestinesi. Se i loro alleati o i loro nemici hanno la bomba atomica, perché non dovrebbero averla anche loro?»); la mancanza di capacità da parte del futuro Stato palestinese di riaccogliere migliaia di profughi; le vite di entrambe le popolazioni sono interdipendenti, «le industrie israeliane dipendono dai palestinesi, le merci ed i servizi costituiscono oggetto di interscambio»; infine, «una soluzione a due Stati creerà una minaccia inaccettabile alla sicurezza di Israele», con “uno Stato arabo armato in casa”.
Per Gheddafi, quindi, «è inopportuno, vista la situazione, dividere la Palestina in due Stati, anzi è impossibile farlo nella pratica. Infatti, con la spartizione […] non si costituirà mai uno Stato che si chiami Palestina. Coloro che sono a favore della divisione ignorano la natura della regione e la relativa composizione demografica oppure vogliono liberarsi in qualsiasi maniera del problema, accollandolo agli ebrei e ai palestinesi. In questo caso non saremmo onesti ed avremmo posto la prima pietra per un nuovo conflitto».
Le stesse idee vennero riportate in un articolo, firmato dallo stesso Gheddafi, pubblicato sul The New York Times nel gennaio del 2009. Gheddafi affermava: «La storia di Israele e Palestina non è particolare per gli standard regionali: un paese abitato da popoli diversi, con il dominio che passa tra molte tribù, nazioni e gruppi etnici; un paese che ha resistito a molte guerre e ondate di popoli provenienti da più parti. Questo è il motivo per cui diventa così complicato quando i membri di uno dei due partiti rivendicano il diritto di affermare che quella è la “loro terra”. La base del moderno Stato di Israele è la persecuzione del popolo ebraico, il che è innegabile. Gli ebrei sono stati tenuti prigionieri, massacrati, svantaggiati in ogni modo possibile da egiziani, romani, inglesi, russi, babilonesi, dai cananei e, più recentemente, dai tedeschi sotto Hitler. Il popolo ebraico vuole e merita la propria patria. Ma anche i palestinesi hanno una storia di persecuzioni e vedono le città costiere di Haifa, Acri, Giaffa e altre come la terra dei loro antenati, tramandata di generazione in generazione, fino a poco tempo fa».
Tuttavia, bisogna ricordare come i discorsi del leader libico nei confronti di Israele e, in generale, della questione palestinese non siano sempre stati cosi equidistanti e, per certi aspetti, romantici. Non è qui possibile ripercorrere la storia e gli eventi che caratterizzarono le relazioni tra i due paesi, ma si può dire che con Gheddafi la Libia fu tra i più accaniti nemici di Israele: ispirato da nazionalismo e panarabismo, l’ex leader considerò a lungo lo Stato ebraico come un impianto imperialista nel mondo arabo che doveva essere distrutto attraverso un’azione araba collettiva. Fino a qualche anno prima della pubblicazione di Isratine, Gheddafi aveva ancora opinioni molto dure sul tema. In diverse circostanze (qui un discorso del 1988) attaccò Israele per la sua politica aggressiva contro i paesi arabi, evidenziando come i palestinesi fossero in prima linea nel frenare tali sfide. Gheddafi si oppose agli accordi di pace di Camp David e condannò l’allora presidente egiziano Anwar al-Sadat per il suo approccio pacifista. Agli occhi di Gheddafi, infatti, la pace non sarebbe stata reale senza la piena libertà e giustizia per il popolo palestinese. Anche rispetto agli accordi di Oslo la sua posizione fu in aperto contrasto: il conflitto poteva essere risolto solo con il ritorno di tutti i profughi ed esiliati in Palestina e con la creazione di uno Stato democratico di ebrei e palestinesi, sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Ancora, durante le rivolte che caratterizzarono la regione nel 2011, Gheddafi etichettò come codardi tutti gli Stati arabi che avevano relazioni con Israele.
In concomitanza con la sospensione delle sanzioni, di un avvicinamento agli Stati Uniti e di un’apertura al dialogo con Israele, la causa palestinese assunse un ruolo minore nella lista delle priorità della politica gheddafiana. Ciò nonostante la posizione di Gheddafi rimase sempre in aperto contrasto all’idea della presenza di uno Stato ebraico nella regione, così come alla soluzione dei due Stati.
Mario Savina