Dopo oltre dieci anni, i presidenti di Egitto e Turchia si sono incontrati al Cairo il 14 febbraio 2024. L’incontro ha segnato una svolta significativa nelle dinamiche geopolitiche della regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa) e ha aperto nuove prospettive per la stabilità e la sicurezza dell’intera area.
A seguito delle Primavere arabe, nel 2012, in Egitto si tennero quelle che furono considerate le prime elezioni democratiche della storia del paese e che portarono l’ingegnere chimico Mohamed Morsi alla presidenza, succedendo a Hosni Mubarak. Tuttavia, dopo un solo anno di governo, nel 2013, Morsi fu rovesciato dall’allora Ministro della Difesa, Abdel Fattah al-Sisi: con l’accusa di spionaggio, fu prima messo agli arresti domiciliari e successivamente incarcerato. A livello regionale, Morsi, una delle figure di spicco della Fratellanza musulmana (Fm), aveva come principale alleato politico il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), che governa in Turchia dal 2003 tramite il suo leader, Recep Tayyip Erdoğan. La destituzione di Morsi e la messa al bando della Fratellanza (ritenuta un gruppo terroristico) sono quindi da considerarsi gli eventi che accelerarono la crisi e che ebbero come conseguenza la rottura diplomatica tra i due attori. In particolare, le critiche di Erdoğan e la minaccia percepita da parte egiziana di una possibile intromissione turca nelle vicende interne portarono alla grave decisione di espellere l’ambasciatore turco dal paese; decisione che fu imitata dalla controparte turca con l’espulsione dell’ambasciatore egiziano da Ankara. Con la morte in prigione di Morsi nel 2019, i rapporti tra Il Cairo e Ankara subirono un ulteriore peggioramento. Difatti, a seguito di ciò, Erdoğan accusò al-Sisi di aver avuto un ruolo diretto nella morte dell’ex presidente, arrivando fino a definirlo un “tiranno”.
La crisi turco-egiziana va, evidentemente, inserita nel più ampio contesto regionale. Infatti, in Medio Oriente, soprattutto nel decennio scorso, convivevano principalmente tre “fasce della potenza“, che hanno contribuito a plasmare in modo diverso le dinamiche politiche, economiche e militari della regione. Attraverso l’analisi di queste fasce si possono comprendere infatti i diversi livelli di influenza e potere geopolitico nella regione. La prima è filo-occidentale e si oppone fortemente ai movimenti islamisti, tra cui la Fm, ed è costituita principalmente da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU), Marocco, Giordania ed Egitto. La seconda è autodefinita “Asse della resistenza”, in quanto si oppone alla presenza occidentale e all’influenza israeliana in Medio Oriente, di cui l’Iran è leader ed è composta da soggetti come gli Houthi dello Yemen, Hezbollah libanese, il regime di Bashar al-Assad in Siria e milizie sciite in Iraq. La terza è costituita, invece, da quei movimenti e partiti politici radicati nel populismo politico sunnita, maggiormente presenti in Turchia e Qatar , che promuovono appunto un’interpretazione politica dell’islam.
In tal senso, i diversi conflitti armati e le lotte politiche che hanno caratterizzato la regione Mena durante lo scorso decennio hanno acuito la crisi tra Egitto e Turchia. In particolare, nel 2017, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, con il sostegno dell’Egitto, hanno lanciato un embargo senza precedenti contro il principale alleato della Turchia, il Qatar. La reazione di Ankara è stata quella di supportare l’alleato attraverso l’invio di mezzi di trasporto aereo per le emergenze, lo schieramento di truppe aggiuntive, l’ampliamento di un accordo di cooperazione in materia di sicurezza che i paesi avevano precedentemente firmato nel 2014. Ancora, durante la guerra civile in Libia, Il Cairo ha supportato la fazione orientale, guidata da Khalifa Haftar, mentre la Turchia, con l’aiuto del Qatar, ha invece fornito armi e consiglieri militari al governo di Tripoli. In Siria, Ankara ha sostenuto i ribelli, intanto che al-Sisi cercava un dialogo con il presidente Assad. Infine, in seguito alla scoperta di ingenti quantità di gas naturale nel Mediterraneo orientale nel 2020, l’Egitto, insieme a Cipro, Grecia, Israele, Italia, Giordania e Palestina, ha costituito un Forum – East Mediterranean Gas Forum – da cui è stata esclusa volutamente proprio la Turchia. La risposta turca ha visto la sigla di una serie di Memorandum of understanding con la Libia (governo di Tripoli) sulla demarcazione marittima e le esplorazioni di idrocarburi nelle acque territoriali libiche.
Tuttavia, nonostante gli attriti politici sopracitati, tra il 2013 e il 2020, i legami economici tra i due paesi hanno continuato a crescere. Ed è per questo che nel momento in cui nel 2021 è cambiato anche il gioco politico delle parti, Egitto e Turchia si sono potute muovere velocemente per riallacciare i legami.
Rispetto al 2013, nel 2021 le condizioni politiche a livello regionale ed internazionale sono mutate sostanzialmente. Intanto, vi è stato il cambio di presidenza negli USA che ha portato le linee di politica estera americana a perseguire, rispetto all’amministrazione precedente, una politica più equilibrata nei confronti dell’Egitto; a chiarire alla Turchia che non avrebbe più tollerato il suo atteggiamento assertivo in politica estera e a mediare, insieme al Kuwait, un accordo per porre fine all’embargo con il Qatar. Inoltre, l’Egitto ha visto raffreddarsi le relazioni con i suoi tradizionali alleati, come l’Arabia Saudita. Soprattutto, però, una delle condizioni che ha stimolato maggiormente il riavvicinamento tra i due paesi è stata, paradossalmente, l’assertività mostrata in politica estera da parte della Turchia. In altre parole, oltre a non essere più tollerata dall’amministrazione Biden, alcune scelte di Ankara hanno avuto come conseguenza l’isolamento, sia a livello interno che regionale. Al contempo, la Fratellanza e i movimenti/partiti politici ad essa associati in tutta la regione hanno perso man mano credibilità e sostegno.
In questo contesto, a partire dal 2021, Egitto e Turchia hanno incominciato a scambiarsi segnali atti a dimostrare una volontà comune di migliorare i rapporti bilaterali e che hanno portato le delegazioni diplomatiche dei due Paesi, guidate dai rispettivi vice ministri degli Esteri, ad incontrarsi in primavera al Cairo al fine di stimolare così il processo di normalizzazione delle relazioni. Tuttavia, le condizioni che hanno portato i paesi a compiere passi più concreti verso la normalizzazione sono collegate allo scoppio della guerra in Ucraina e alla ripresa del conflitto a Gaza.
Da un lato, l’invasione russa in Ucraina ha consentito alla Turchia di uscire dall’isolamento – attraverso le azioni di mediazione svolte nel conflitto –, di rinnovare la sua posizione nello scacchiere internazionale e di trovare al contempo una soluzione alla più grave crisi economica che Erdoğan abbia dovuto affrontare dal 2003. Dalla seconda metà del 2018, la politica monetaria turca si è concertata a mantenere bassi i tassi di interesse con l’intento di stimolare la crescita economica. Tuttavia, questa scelta ha in realtà portato l’economia locale ad essere caratterizzata da un sostanzioso aumento dell’inflazione e da un forte deprezzamento della lira turca. Dal 2021, però, grazie al rinnovato impegno diplomatico a livello regionale, Ankara è riuscita a trovare sollievo per la sua economia tramite gli investimenti e i finanziamenti di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Dall’altro, la situazione a Gaza ha prodotto delle conseguenze tali da aggravare la già profonda crisi economica egiziana. In particolare, gli attacchi degli Houthi dello Yemen – gruppo politico e militare sciita che controlla la parte nord, la costa ovest e i principali centri abitati del paese e che nel conflitto si è schierato a sostegno di Hamas – nei confronti delle navi transitanti il Mar Rosso hanno prodotto un impatto significativo pure sul traffico del Canale di Suez e quindi sulle entrate in valuta estera provenienti dal commercio nel canale.
Nell’aprile 2022, dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, Erdoğan e al-Sisi si sono incontrati per la prima volta durante la cerimonia di apertura della Coppa del mondo Fifa in Qatar. Tuttavia, è durante il secondo incontro, avvenuto il 10 settembre 2023, a margine del vertice del G20 a Nuova Delhi, che i due leader hanno concordato di innalzare il livello delle relazioni diplomatiche allo status di ambasciatori e di organizzare una visita ufficiale in uno dei due paesi. È solo pochi mesi dopo, anche a causa del conflitto israelo-palestinese e delle sue ripercussioni regionali, che ciò si è concretizzato: il 24 febbraio scorso, infatti, il presidente turco si è recato al Cairo. Le discussioni hanno riguardato argomenti di interesse comune, tra cui la possibile cooperazione nel settore energetico nel Mediterraneo orientale, il rafforzamento delle relazioni bilaterali in varie aree geografiche e la gestione di crisi in contesti delicati, come a Gaza, in Libia e in Sudan; al centro del colloquio anche il rafforzamento delle relazioni negli ambiti economico, militare e di difesa. In seguito a questa visita ufficiale, a testimonianza della volontà di entrambe le parti di portare avanti la normalizzazione delle relazioni e il rafforzamento dei legami bilaterali, vi sono stati due ulteriori incontri. Il 20 aprile 2024, il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha visitato Ankara come parte dei preparativi per l’imminente visita del presidente al-Sisi in Turchia; mentre, il 29 aprile, il capo di stato maggiore delle forze armate egiziano, il generale Osama Askar, si è recato in missione nella capitale turca col fine di approfondire le relazioni militari nel prossimo periodo. Tra gli episodi che dimostrano la “buona” volontà turca va registrata la revoca, annunciata da Erdoğan, della cittadinanza turca a 50 persone affiliate ai Fratelli musulmani egiziani.
Tuttavia, nonostante questi sviluppi positivi, persistono sfide significative nell’avanzamento delle relazioni tra Egitto e Turchia, che potenzialmente ostacolano l’attuazione dei loro sforzi di riconciliazione. Tra queste, la Turchia si è impegnata riguardo alla questione sudanese, permettendo all’Egitto di fornire droni turchi all’esercito sudanese – migliorandone così significativamente le capacità di combattimento. Tuttavia, Il Cairo ha adottato un atteggiamento più cauto nel coinvolgere Ankara, soprattutto riguardo alla possibile ripresa dei piani turchi per stabilire una base militare sull’isola sudanese di Suakin, considerata dagli egiziani una minaccia per la propria sicurezza nazionale.
Inoltre, si può notare come Il Cairo abbia adottato anche un approccio più cauto rispetto alla Turchia nel promuovere la cooperazione militare tra le due nazioni. Questo atteggiamento prudente è stato evidente in diverse occasioni, soprattutto nei tre rifiuti da parte dell’Egitto agli inviti della Turchia a partecipare a esercitazioni militari sul suolo turco. Oltre a ciò, esistono ancora ulteriori questioni irrisolte, come il rifiuto della Turchia di ritirare le sue truppe dalla Libia, il suo coinvolgimento in progetti nel Canale di Suez – come il progetto Al-Faw Grand Port che collega il porto di Al-Faw nel sud dell’Iraq alla Turchia – e la questione dello sviluppo dei giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale e l’annessa risoluzione delle relative controversie tra Turchia, Grecia e Cipro.
Pertanto, sebbene l’attuale riavvicinamento tra Egitto e Turchia offra delle opportunità per migliorare la stabilità e la sicurezza regionali, è importante riconoscere le sfide e le incertezze che accompagnano questo processo. È necessario un approccio cauto e pragmatico per affrontare le questioni aperte e garantire che il riavvicinamento sia sostenibile nel lungo termine, preparato ad affrontare eventuali shock e ostacoli che potrebbero emergere lungo il cammino. Il prossimo confronto bilaterale tra i leader di Egitto e Turchia dovrà partire da questo: affrontare le sfide e lavorare per una maggiore stabilità e cooperazione nella regione mediorientale. Sarà fondamentale, tuttavia, che in questa situazione entrambi i leader dimostrino lungimiranza politica, leadership e una volontà di collaborare al fine di raggiungere gli obiettivi comuni.
Laura Ponte