Il Mediterraneo orientale ha assunto un ruolo potenzialmente importante nell’approvvigionamento energetico europeo, grazie alle recenti scoperte di consistenti riserve di gas naturale e per via delle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina. Questi eventi hanno dunque portato all’elaborazione di numerosi progetti infrastrutturali, con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza energetica sia della regione sia dell’Unione europea (Ue). Gli sviluppi su tale fronte si sono però presto scontrati con la riemersione di tensioni geopolitiche latenti e mai sopite, come quelle tra Cipro e Turchia, e talvolta con la deflagrazione di conflitti – come quelli in corso a Gaza e in Libano – che potrebbero avere effetti dirompenti sulla regione mediorientale e non solo. In questo quadro, caratterizzato da pronunciata instabilità, risulta pertanto necessaria una valutazione accurata del reale potenziale energetico dell’area, per provare a comprendere la fattibilità di determinati progetti e delineare possibili scenari futuri.
Le ingenti scoperte di gas naturale avvenute dal 2000 in poi nel Mediterraneo orientale – e più specificamente nella porzione di mare compresa tra Israele, Egitto e Cipro – hanno notevolmente aumentato il valore strategico della regione dal punto di vista energetico, aprendo inoltre la strada a opzioni più sostenibili di approvvigionamento energetico su scala nazionale: una prospettiva, questa, di particolare rilevanza per i paesi rivieraschi che ancora dipendono da fonti ad alta emissione di CO2 come il petrolio. Pur essendo infatti il gas naturale un idrocarburo, esso è comunque considerato una risorsa ‘ponte’ nei processi di transizione energetica, in quanto genera meno emissioni rispetto ad altri combustibili fossili ed è al contempo più sicuro, affidabile e conveniente rispetto alle fonti rinnovabili.
In aggiunta, queste scoperte hanno conferito al Mediterraneo orientale un ruolo di rilievo nello scenario energetico regionale, in quanto hanno offerto a realtà geograficamente vicine, come l’Unione europea, un’alternativa di approvvigionamento rispetto a partner commerciali ormai ritenuti inaffidabili, come la Russia. In questa cornice va letto ad esempio il memorandum d’intesa firmato nel 2022 da Israele, Egitto e Ue per l’esportazione di gas israeliano ed egiziano in Europa, attraverso impianti di Gas naturale liquefatto (Gnl) situati nel territorio dello Stato africano.
Prima di esaminare nel dettaglio questa e altre iniziative, sono opportune alcune precisazioni di natura tecnica: il gas può essere trasportato allo stato gassoso tramite gasdotto o sotto forma liquida via nave; in questo secondo caso però, esso viene prima liquefatto attraverso un impianto di liquefazione, quindi rigassificato tramite un impianto di rigassificazione e infine immesso nella rete gas nazionale. Gli impianti possono essere costruiti a terra o su una nave; soluzione quest’ultima ritenuta più flessibile perché consente di fare affidamento su unità galleggianti (Flng – Floating liquefied natural gas e Fsru – Floating storage and regasification unit) che possono diventare operative in tempi relativamente brevi ed essere spostate in diverse località a seconda delle esigenze.
Tornando dunque all’accordo tra Tel Aviv, Il Cairo e Bruxelles, occorre rilevare come l’Egitto si sia scontrato sin da subito con rilevanti difficoltà nel dare seguito agli impegni di esportazione di gas verso l’Ue. Con l’aumento considerevole dei consumi energetici, soprattutto durante l’estate, il governo egiziano ha dovuto infatti attuare blackout diffusi in tutto il paese, a dimostrazione della precarietà su cui si poggia il mercato del gas naturale dell’area.
Alla luce di questi problemi tecnici, i paesi rivieraschi hanno dunque rilanciato l’idea di una cooperazione energetica basata sull’elettrificazione, perché le opportunità strategiche e commerciali derivanti dall’individuazione dei ricchi giacimenti possano essere sfruttate a pieno. A tal proposito, particolare attenzione merita da ultimo la firma – lo scorso 21 settembre – di un accordo tra Grecia e Cipro per la promozione dell’installazione del Great sea interconnector (Gsi). Noto in precedenza come EuroAsia interconnector, questo progetto punta alla costruzione entro il 2028 di una linea di interconnessione utile a integrare nel sistema elettrico europeo le uniche due isole dell’Unione che ancora non ne fanno parte, Creta e Cipro. L’obiettivo principale è dunque quello di garantire a Heraklion e Nicosia l’accesso all’elettricità prodotta in Europa, dove le fonti rinnovabili sono in continua espansione; al tempo stesso però, il Gsi punta anche a consentire a Grecia e Cipro di assumere un ruolo più centrale nel commercio regionale di energia, dato che questa infrastruttura permetterà di incrementare le capacità di importazione e di esportazione. Il progetto potrebbe inoltre essere esteso verso Israele: in tal caso, il suo completamento avverrebbe entro il 2030 e il costo salirebbe da 1,9 a 2,4 miliardi di euro.
Il Gsi è solo uno dei numerosi progetti ideati per diversificare l’approvvigionamento regionale, rafforzare la sicurezza energetica dell’Ue in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione e ridurre la dipendenza dell’Unione dal gas russo. Tale proliferazione progettuale si ricollega al fatto che per quanto siano già attive diverse infrastrutture energetiche nel Mediterraneo orientale, poche sono utili a commercializzare il gas verso l’Ue.
Al momento, il gas israeliano e quello egiziano (i giacimenti ciprioti dovrebbe essere attivi dal 2026) possono infatti essere indirizzati verso l’Unione esclusivamente tramite il gasdotto East mediterranean gas (Emg), che collega Israele all’Egitto e convoglia il gas verso gli impianti di liquefazione di Idku e Damietta, prima della trasformazione e del successivo trasporto via nave in direzione del mercato europeo. Non disponendo ancora di infrastrutture energetiche attive, Cipro sta procedendo a colmare il gap tramite l’installazione di una conduttura di collegamento tra i suoi giacimenti e gli impianti di liquefazione egiziani, mentre il governo israeliano ha previsto parallelamente di implementare la capacità di esportazione verso l’Egitto costruendo un nuovo gasdotto alternativo all’Emg. Inoltre, sia Cipro che Tel Aviv, insieme alla Grecia e all’Italia, stanno promuovendo un’altra iniziativa di commercializzazione del gas, nota come EastMed. Concepito come infrastruttura strategica per trasportare il gas naturale dai giacimenti del Mediterraneo orientale verso l’Europa, questo progetto è stato inserito tra quelli di interesse comune (Pic) dall’Ue, ma le prospettive sulla sua realizzazione restano incerte per via dei dubbi legati alla sua sostenibilità economica e alla complessità delle sfide tecniche e geopolitiche che lo riguardano: il tracciato previsto attraversa infatti aree marine rivendicate dalla Turchia, e raggiunge grandi profondità a – 3.000 metri. In aggiunta, Nicosia e Il Cairo stanno valutando la posa di un cavo elettrico sottomarino chiamato EuroAfrica, un progetto quasi ‘fratello’ dell’EuroAsia, presentato nel 2018 e ancora in fase di discussione.
L’opzione di trasportare il gas sotto forma di Gnl è quella che ha fatto registrare i maggiori progressi, con diverse soluzioni già disponibili o in fase di sviluppo. Un esempio significativo è rappresentato dalla Grecia, che grazie all’attivazione – il 1° ottobre – dell’unità Fsru di Alexandroupolis ha compiuto importanti passi in avanti verso l’obiettivo di diventare un hub energetico nella regione: tale struttura, collegata alla rete greca tramite un gasdotto di 28 km, fornisce infatti gas a otto paesi, tra cui Bulgaria, Romania, Serbia, Ungheria e Ucraina. Anche Cipro si sta muovendo per importare Gnl – sia in vista dell’attivazione dei suoi giacimenti sia per garantire riserve in caso di interruzioni della produzione interna – attraverso l’installazione, entro il 2025, di una Fsru a Vasilikos. Infine, anche Israele si sta orientando in questo senso, per quanto non abbia ancora dato pienamente seguito ad alcuna delle opzioni sotto esame. Tra le ipotesi al vaglio delle autorità figura in particolare l’installazione di Flng al largo delle coste del paese, ma poiché queste infrastrutture comportano soluzioni ingegneristiche complesse, sia per la gestione quotidiana sia per la sicurezza operativa, non sono state prese decisioni definitive in merito. Inoltre, Tel Aviv sta valutando la costruzione di un impianto di liquefazione a terra, ma le dimensioni fisiche della struttura – a causa del limitato spazio territoriale a disposizione – rappresentano un ostacolo da tenere in debita considerazione.
Come si è dunque visto, le diverse iniziative per la commercializzazione del gas nella regione si trovano ancora in numerosi casi a uno stadio tutt’altro che avanzato, e la loro futura concretizzazione, oltre a porre legittimi interrogativi dal punto di vista della sostenibilità, non potrà comunque prescindere dal superamento di una serie di difficoltà di carattere tecnico e geopolitico. Su quest’ultimo fronte, oltre ai conflitti in corso a Gaza e in Libano, occorre prestare attenzione anche alle dispute territoriali che coinvolgono Turchia e Libia, in merito al controllo di una porzione di Zona economica esclusiva (Zee) rivendicata anche da Grecia ed Egitto. In primo luogo, non riconoscendo la Repubblica di Cipro ma esclusivamente la Repubblica Turca di Cipro Nord situata nella parte settentrionale dell’isola, lo Stato anatolico non attribuisce alcuna legittimità alla delimitazione delle acque su cui Nicosia dichiara di esercitare la propria sovranità; in secondo luogo, per affermare i suoi diritti su una parte del Mediterraneo orientale, Ankara ha firmato nel 2019 un accordo con l’allora governo di Tripoli per tracciare i confini delle rispettive Zee. Tale intesa non poteva però lasciare indifferente la Grecia, che ha visto avanzate rivendicazioni su porzioni di mare che aveva già delimitato come proprie: in un quadro di crescenti tensioni, Atene ha deciso pertanto di reagire, firmando l’anno successivo un memorandum con l’Egitto per la delimitazione della propria Zee.
In uno scenario così complesso, è dunque lecito chiedersi se anche il Gsi finirà per diventare uno dei tanti progetti discussi a livello governativo ma mai realizzati. A tal proposito, giova infatti ricordare che i lavori per l’infrastruttura erano già iniziati nell’ottobre del 2022, con l’avvio dei cantieri utili all’installazione di un cavo sottomarino di collegamento tra le reti elettriche dell’isola di Creta e della Grecia continentale, ma questi sono stati subito interrotti a causa dei chiarimenti richiesti da Cipro sui costi, sulla fattibilità del progetto e sulle responsabilità di eventuali ritardi imprevisti. Il Gsi si troverà infatti fronteggiare le medesime difficoltà tecniche e geopolitiche del gasdotto EastMed, dovendo essere anch’esso installato a 3.000 metri di profondità e attraversando aree rivendicate dalla Turchia. Sono soprattutto le rivendicazioni di Ankara che rischiano di complicare la realizzazione del progetto, poiché la Stato anatolico – invocando la validità del memorandum del 2019 – potrebbe richiedere il consenso preventivo per la realizzazione di lavori in un’area che ritiene parte della sua piattaforma continentale. A riprova delle continue tensioni che animano la regione, la Turchia ha schierato a giugno mezzi navali per monitorare un’imbarcazione che stava effettuando ricerche in ambito energetico vicino a un’isola greca: per quanto gli Stati Uniti abbiano cercato di promuovere un riavvicinamento tra Ankara e Atene, la situazione resta incerta e la rivalità sempre pronta a riaccendersi.
Gli scenari sin qui delineati lasciano dunque trasparire tutte le difficoltà di realizzazione dei grandi progetti infrastrutturali ipotizzati, e per quanto la creazione di collegamenti elettrici risulti tendenzialmente meno problematica rispetto alla costruzione di un gasdotto, ad oggi sembra che pure questa opzione trovi nelle tensioni che animano la regione un ostacolo insormontabile.
Se si considera dunque che l’Egitto non riesce quasi più a rispettare i propri obiettivi di esportazione e che il surplus di gas israeliano destinato all’export verso l’Ue viene utilizzato per coprire il fabbisogno energetico del Cairo, si comprende come – almeno nel breve periodo – il contributo del Mediterraneo orientale alla sicurezza energetica europea sia pressoché nullo. Guardando al medio periodo, si prospetta la possibilità di disporre di Gnl grazie a un incremento della produzione nei giacimenti egiziani (le nuove esplorazioni avviate da Israele sono state interrotte a causa dei conflitti in corso); se però a quanto finora rilevato si aggiunge il fatto che le infrastrutture necessarie per l’esportazione saranno pronte, salvo imprevisti, solo a partire dal 2028, si può dedurre che l’opzione del Mediterraneo orientale per l’approvvigionamento energetico dell’Europa non sia più praticabile in vista del perseguimento degli imminenti obiettivi di decarbonizzazione. Ciononostante, lo sviluppo del settore del gas e dell’energia elettrica nella regione resta fondamentale per garantire una maggiore sicurezza energetica in tutto il Mediterraneo orientale, soprattutto in vista della crescita demografica, e quindi dei consumi, prevista per quest’area.
Laura Ponte