Per il Marocco, un territorio pienamente inserito nella storia e nella geografia del Regno; per il fronte indipendentista Sahrawi, una patria irrinunciabile che non può essere soggetta ad alcuna forma di dominio esterno.
La questione del Sahara occidentale è ancora aperta, e apparentemente lontana da una soluzione condivisa. Nel novembre del 1975 – quando la regione era ancora occupata dalla Spagna – il re marocchino Hassan II diede il via alla cd. Marcia verde, durante la quale migliaia di cittadini dello Stato nordafricano varcarono pacificamente il confine e rivendicarono l’annessione al Regno di quel territorio largamente desertico. L’anno dopo il regime franchista cedette, e nel 1976 furono siglati gli accordi di Madrid: il controllo del Sahara occidentale veniva così diviso tra Marocco e Mauritania, ma ben presto Nouakchott avrebbe rinunciato alla propria porzione di territorio su pressione del Fronte Polisario (Frente popular de liberación de Saguía y Río de Oro), che combatte per l’istituzione di una Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (SADR) indipendente. Così, Rabat reclamò il diritto a esercitare la propria sovranità sull’intera regione.
Ancora oggi, il Sahara occidentale è annoverato dalle Nazioni unite tra i cd. Territori non autonomi (Non-self-governing territories), nei quali cioè la popolazione – come evidenziato nel Cap. XI dello Statuto ONU – non ha «raggiunto la piena autonomia». Dopo tensioni e scontri, nel 1991 le forze di Rabat e il Fronte Polisario raggiunsero un accordo per il cessate il fuoco, sulla cui implementazione continua a vigilare dopo quasi 35 anni la missione internazionale MINURSO (Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Référendum au Sahara Occidental). Il referendum sullo status del territorio conteso – in linea con quanto previsto dall’intesa e alla cui organizzazione dovrebbe provvedere proprio la MINURSO – non si è tuttavia ancora svolto.
La corona alawide richiama una forte continuità storica tra il regno marocchino e il Sahara occidentale, fondando su tale legame le sue rivendicazioni di sovranità, mentre il Fronte Polisario fa leva sul principio di autodeterminazione per avanzare le proprie istanze indipendentiste; inoltre, in questa disputa si è registrata sin da subito una decisa presa di posizione dell’Algeria, che contrapponendosi a Rabat – fino al sostanziale congelamento delle relazioni – ha sempre sostenuto le ragioni del popolo Sahrawi, promuovendole nei diversi consessi multilaterali. Nel Sahara occidentale si intrecciano dunque dinamiche storiche, principi giuridici e rivalità diplomatiche, ed è di qui che occorre partire per provare a fornire una ricostruzione delle vicissitudini che hanno interessato tale territorio.
Negli ultimi tre decenni, lo scontro non ha raggiunto – per lo meno dal punto di vista militare – picchi di particolare intensità, mentre sotto il profilo politico la disputa è proseguita su più livelli.
Il modo in cui il Marocco ha affrontato la questione a seguito dello stallo degli accordi del 1991 si inserisce all’interno di una cornice più ampia, che riguarda i fondamenti della politica estera di Rabat dopo l’ascesa al trono di Muhammad VI (1999). Per dare forma al suo progetto, il sovrano decise in primo luogo di avviare un’importante stagione riformatrice nel Paese, mostrando così il nuovo corso – aperto e dialogante – intrapreso: tale iniziativa, propedeutica al miglioramento dell’immagine internazionale del Regno, portò in primo luogo al consolidamento delle relazioni diplomatiche ed economico-commerciali con l’Occidente ‘vicino’, ossia gli Stati europei e l’UE nel suo complesso, e permise parimenti a Rabat di potenziare lo storico rapporto con gli USA, che oltre ad avere grande rilevanza strategica conserva anche un particolare valore simbolico per via del fatto che il Marocco fu il primo Paese a riconoscere l’indipendenza statunitense nel 1777. Quindi, Muhammad VI si focalizzò sul ripristino delle relazioni con il resto dell’Africa, compromesse dopo che nel 1984 suo padre Hassan II aveva deciso di abbandonare l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) in segno di protesta contro l’ammissione all’interno del consesso della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi. Già dal 2001, a testimonianza di un cambiamento di approccio, il re iniziò a recarsi in diversi Paesi del continente, arrivando nei 15 anni successivi a 50 visite ufficiali; poi – nel gennaio 2017 – il Regno pose fine alla politica della ‘sedia vuota’ e aderì all’Unione Africana, succeduta all’OUA.
Se da una parte il rafforzamento delle relazioni lungo tre direttrici – a Nord con l’Europa, a Ovest con l’alleato statunitense, a Sud con i Paesi dell’Africa – ha permesso al Marocco di consolidare una serie di rapporti sui fronti commerciale e culturale, dall’altra esso è stato altresì funzionale all’avanzamento delle storiche rivendicazioni sul Sahara occidentale, attraverso la tessitura di un’articolata rete di accordi bilaterali.
In sede ONU, la proposta marocchina per risolvere definitivamente la questione si è sostanziata nel Piano di autonomia del 2007: sulla base di tale iniziativa, il Sahara occidentale sarebbe integrato nel territorio marocchino, le autorità del Regno avrebbero competenza esclusiva su difesa e politica estera, quelle locali sarebbero incaricate di gestire gli affari interni e la politica fiscale e infine alla regione spetterebbero un bilancio dedicato e una specifica rappresentanza nel Parlamento nazionale. Il Fronte Polisario ha sempre respinto questo progetto, continuando a farsi promotore e portavoce delle istanze di autodeterminazione del popolo Sahrawi.
Ciononostante, la monarchia alawide ha continuato a puntare sul Piano rendendolo uno dei capisaldi della sua proiezione internazionale. Una forte spinta in questo senso si è registrata durante la prima presidenza di Donald Trump (2017-2021) nel quadro dei cd. accordi di Abramo, che hanno portato alla normalizzazione dei rapporti di Israele con Bahrain, Emirati Arabi Uniti e all’avvio di un percorso analogo con il Sudan. Anche il Marocco è stato coinvolto in tale processo diplomatico, e la distensione lungo l’asse Rabat-Tel Aviv ha garantito come contropartita il riconoscimento immediato da parte di Washington – e nel luglio 2023 anche da parte israeliana – della sovranità marocchina sul Sahara occidentale. Tale decisione ha aperto un varco e assicurato al Piano il sostegno più o meno esplicito di diversi altri Paesi.
Nel maggio del 2022, il governo dei Paesi Bassi ha definito la proposta di autonomia avanzata dal Marocco «molto seria e credibile», e di «buona base per una soluzione» della questione ha parlato nel mese successivo la ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock. Quindi, nel febbraio del 2023, è stata la Spagna – tramite il ministro degli esteri José Manuel Albares – a esprimere tale posizione, affermando di considerare l’iniziativa come «la più importante, seria, realistica e credibile» per la risoluzione della controversia in merito alla sovranità sulla regione.
Un ulteriore, significativo riposizionamento è stato quello della Francia, che per via del suo passato – e dunque di rapporti inevitabilmente complessi con i Paesi su cui aveva esercitato il dominio coloniale – ha cercato di mantenere sulla questione del Sahara occidentale un certo equilibrio tra le istanze contrapposte del Marocco e dell’Algeria.
La scelta francese è maturata dopo anni di crisi diplomatica con Rabat, culminata nel 2021 nella stretta sulla concessione dei visti ai cittadini marocchini proprio nel momento in cui – dall’altra parte – il presidente Emmanuel Macron auspicava un allentamento delle tensioni tra Parigi e Algeri. Ad acuire ulteriormente la frattura ha poi contribuito la vicenda – dai contorni non del tutto chiari – del presunto spionaggio da parte marocchina sull’inquilino dell’Eliseo e sui ministri del governo transalpino attraverso lo spyware israeliano Pegasus, nonché la successiva decisione delle autorità del Regno di rifiutare gli aiuti francesi dopo il terremoto che aveva colpito il Paese nordafricano nel 2023.
In ragione di ciò, la visita a Rabat il 26 febbraio 2024 dell’allora ministro degli esteri francese Stéphane Séjourné ha assunto un significato profondo. In quel confronto – finalizzato alla promozione di una distensione dei rapporti – Séjourné ha infatti dichiarato al suo omologo marocchino Nasser Bourita che «Tra Francia e Marocco esiste un legame eccezionale e [Emmanuel Macron] vuole che questo legame rimanga unico e si approfondisca ulteriormente nei prossimi mesi»: un’affermazione che ha di fatto preparato il terreno alla successiva iniziativa politica di Macron, che in una lettera inviata nel mese di luglio a Muhammad VI ha sostenuto che «il presente e il futuro del Sahara occidentale rientrano all’interno del sistema di sovranità marocchina sull’area» e sottolineato che «l’unica base per raggiungere una soluzione politica giusta, duratura e negoziata…è il Piano di autonomia presentato dal Marocco nel 2007». Un cambio di prospettiva assai importante, che ha sostanzialmente provocato l’isolamento dell’Algeria – contrariata al punto di ritirare con effetto immediato il suo ambasciatore a Parigi – e permesso a Rabat di compiere un ulteriore, decisivo passo in avanti nel conseguimento dei suoi obiettivi strategici.
A fine ottobre, Macron è stato dunque ricevuto con tutti gli onori in Marocco da re Muhammad VI, e durante la sua visita ufficiale sono stati siglati accordi economici e strategici per un valore complessivo di circa dieci miliardi di euro che spaziano dalle infrastrutture ai trasporti, dal settore energetico a quello della difesa. Per la Francia – e in particolar modo per le aziende francesi – la riapertura del mercato marocchino rappresenta un’opportunità da cogliere senza esitazione: ad esempio, il gruppo Egis parteciperà alla costruzione della seconda tratta della linea ferroviaria ad alta velocità Tangeri-Marrakech, con la possibile fornitura da parte di Alstom di 12-18 treni ad alta velocità; TotalEnergies contribuirà al potenziamento del settore dell’idrogeno verde nello Stato nordafricano, mentre la compagnia per i servizi marittimi CMA CGM unirà le forze con Marsa Maroc per lo sviluppo e la gestione del 50% del terminal container Nador West Med nel Nord del Marocco per i prossimi 25 anni. Per Rabat invece, gli accordi sono un’occasione per portare avanti una politica di cospicui investimenti finalizzata al rafforzamento dell’economia nazionale, con un’attenzione specifica per quella marittima. In questa prospettiva risulta dunque centrale la costruzione delle infrastrutture portuali di connessione, come il progetto di Dakhla-Atlantique – nel territorio del Sahara occidentale – pensato per collegare i tre angoli del Regno con Tangeri Med e Nador West Med: secondo i piani della corona, la città di Dakhla è dunque uno snodo cruciale nella rete di collegamento con il Sudamerica e l’Africa subsahariana, e tutto il Sahara occidentale assume una rilevanza strategica in quanto hub per i traffici africani e transcontinentali del Regno. La penetrazione economica di Rabat in Africa occidentale è consolidata e in via di ulteriore crescita, come testimonia da ultimo il piano di sviluppo concordato a fine 2024 con la Mauritania e in collaborazione con gli Emirati Arabi Uniti. Il progetto rientra nella più ampia strategia preannunciata da Muhammad VI nel suo discorso per il 48° anniversario della Marcia verde (novembre 2023), quando il sovrano ha sottolineato la volontà di trasformare la costa atlantica marocchina – Sahara occidentale compreso – in una direttrice di sviluppo economico e geopolitico che colleghi Africa, Europa e Americhe.
A fronte di un’area MENA segnata da instabilità e conflitti, il Marocco è riuscito a proiettarsi sulla scena internazionale come modello di stabilità politica e crescita economica, ed è un attore su cui l’Europa fa affidamento per il controllo dei flussi migratori verso i territori spagnoli di Ceuta e Melilla. Così, facendo leva sui suoi punti di forza e tessendo pazientemente la sua tela diplomatica, Rabat è riuscita a portare negli ultimi anni dalla propria parte diverse cancellerie occidentali, ricevendo l’auspicato sostegno al suo Piano di autonomia. Sulla questione, la monarchia alawide non intende retrocedere, né contempla soluzioni alternative: l’integrità territoriale marocchina non può prescindere da una piena inclusione del Sahara occidentale entro i confini del Regno.
Mohamed El Khaddar