Il delicato processo di stabilizzazione della Libia si trova a dover affrontare sfide molto difficili sia sul piano politico che su quello economico-finanziario. La missione di sostegno delle Nazioni unite in Libia (Unsmil) ha avviato infatti una serie di incontri più o meno ufficiali con l’obiettivo di rafforzare l’attuale cessate il fuoco – raggiunto lo scorso 23 ottobre a Ginevra. Quello di Ginevra è stato un positivo passo in avanti verso quell’atmosfera favorevole di cui necessita il paese per avviare un processo politico che sia in grado di raggiungere una pace duratura e stabile. L’obiettivo principale è sicuramente quello di superare la frattura politica che divide le parti est e ovest del paese, e salvaguardare la Libia dall’influenza che le sempre più numerose milizie presenti sul territorio hanno ottenuto dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi fino ad oggi.
Il Libyan Political Dialogue Forum (Lpdf) che si è svolto a Tunisi in presenza dal 9 al 16 novembre ha assunto delle decisioni importanti, soprattutto per quanto riguarda la definizione di una roadmap “per la fase preparatoria di una soluzione complessiva” alla crisi e la creazione di una nuova autorità esecutiva, rappresentativa di tutte le regioni del paese e incaricata di organizzare le elezioni parlamentari e presidenziali entro il 24 dicembre 2021. Il percorso per condurre a buon fine la transizione libica resta lungo e impegnativo. Ciò è dimostrato anche dalla seconda fase dell’Lpdf, iniziata in modalità virtuale dal 23 novembre, che non sembra riuscire favorire un riavvicinamento fra le parti su molti punti cruciali. Il tema al centro degli attuali dibattiti è quello relativo al petrolio e alla spartizione delle entrate tra le istituzioni “ufficiali”: la National Oil Corp (Noc), da una parte, e la Banca centrale della Libia, dall’altra.
Il dialogo di Tunisi ha incontrato non pochi problemi. Le Nazioni unite pretendevano di consolidare attraverso il meeting il cessate il fuoco e poter risolvere in maniera definitiva la stabilizzazione del paese. Dopo anni di guerra la comunità internazionale sembra ottimista, tuttavia permangono alcune problematiche. Finora, infatti, non è stato trovato un accordo tra le parti a riguardo dei futuri componenti del nuovo Consiglio presidenziale. Secondo i tecnici, però, l’appuntamento non è stato un fallimento, anzi ha permesso alle parti coinvolte di esprimere ufficialmente le proprie posizioni e rendere noti i dubbi sulle proposte in discussione. Questa fase di stallo ha tuttavia fatto emergere delle denunce da parte di alcuni negoziatori circa i tentativi di compravendita di voti per sostenere alcuni candidati alla carica di Primo ministro. Nonostante le dichiarazioni di soddisfazione da parte della delegata Onu Stephanie Williams, il forum sembra ancora ben lontano da un qualche tipo di accordo tra la fazione di Tripoli e quella della Cirenaica. I partecipanti hanno comunque trovato un compromesso circa i doveri e i poteri del Consiglio presidenziale, che sarà composto da tre membri, ciascuno dei quali rappresenterà le tre regioni della Libia. È stato anche concordato che le decisioni prese dal Consiglio dovranno essere approvate all’unanimità. Allo stesso modo, è stato raggiunto un accordo sui poteri e sui doveri del governo.
Le questioni più spinose ancora aperte riguardano i nomi di coloro che dovrebbero assumere le cariche e portare finalmente il paese verso la pace. Un primo stallo è sul ministro dell’Interno di Tripoli Fathi Bashaga, un potente politico di Misurata che tuttavia non risulta accettabile agli occhi di molti membri della fazione orientale e dei loro sostenitori internazionali. Bashaga è infatti considerato da Egitto ed Emirati Arabi Uniti come troppo legato alla Fratellanza musulmana, e per questo non è accettato da tutti come possibile candidato premier in un nuovo governo. Un’altra questione è quella riguardante Aguila Saleh – il presidente del parlamento libico con sede a Tobruk – che ha vissuto una fase di ascesa nell’ultimo anno: defilatosi, grazie il sostegno egiziano, da Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che lo aveva “protetto” politicamente per molto tempo, Saleh ha agito personalmente affrontando molti viaggi di rappresentanza nei principali salotti diplomatici europei, presentandosi come interlocutore affidabile per l’avvio di un percorso politico. Haftar, dopo una serie di deludenti sconfitte militari e un fallito tentativo di conquista della capitale Tripoli durato più di un anno, sembra comunque aver riacquistato in parte la sua posizione grazie a un accordo con il vicepremier del Governo di accordo nazionale di Tripoli Ahmed Maiteeq, che ha permesso la ripartenza delle produzioni petrolifere che erano rimaste bloccate dallo scorso gennaio, quando le milizie affiliate ad Haftar avevano occupato i principali pozzi. Haftar, che con l’ascesa di Saleh sembrava quindi essere stato marginalizzato, ad oggi sembra essere tornato nuovamente un attore in grado di partecipare al gioco libico. Uno scenario, quello delineatosi, che rende sempre più probabile la permanenza in carica dell’attuale Consiglio presidenziale almeno fino alle elezioni, con l’attuale leader del governo di Tripoli, Fayez al-Serraj, che ha subordinato le sue dimissioni all’accordo su un nuovo governo. Al-Serraj è infatti ritenuto da molti un interlocutore accettabile, e comunque l’unica alternativa alla sua leadership sembra quella di nominare un nuovo Primo ministro che permetta il dialogo con la componente della Cirenaica, in particolar modo per la gestione dei proventi del petrolio da spartire su tutto il territorio.
Intanto, però, arrivano anche segnali positivi dai panel a margine del forum Onu, in particolar modo da quello sulla sicurezza delle infrastrutture petrolifere libiche. La Noc, infatti, ha reso noto che queste saranno protette da una nuova forza unificata, di cui probabilmente faranno parte milizie di entrambi i fronti, che sarà agli ordini diretti della stessa compagnia petrolifera. Ciò dovrebbe in qualche modo evitare il ripetersi di episodi avvenuti durante il conflitto militare, dove le guardie degli impianti si sono schierate a favore di una delle due parti, bloccando le estrazioni e i terminal. A proposito, il presidente dell’organizzazione, Mustafa Sanalla, ha sottolineato che “la popolazione ha solo una fonte di entrate ed è il petrolio”. Quindi, “la stabilità di questo settore è molto importante per la Libia e lo è altrettanto il ritorno di investitori e aziende stranieri nel paese”.
Grazie all’accordo mediato da Maiteeq con la controparte orientale, guidata da Haftar, le produzioni dei vari giacimenti petroliferi sono ripartite, permettendo un afflusso di risorse necessarie alla stabilizzazione economica del paese. Si ricorderà che l’accordo Maiteeq-Haftar del 19 settembre prevedeva che Haftar avrebbe consentito la ripresa della produzione ed esportazione di petrolio dai giacimenti petroliferi orientali sotto il suo controllo militare, a condizione che le entrate petrolifere fossero congelate in un conto fino a quando non fosse stato raggiunto un accordo politico dalle parti che attualmente negoziano nell’ambito del Lpdf mediato dall’Unsmil, con una distribuzione “più equa” dei proventi petroliferi libici. Attualmente si è raggiunta la quota di oltre un milione di barili al giorno, ma il problema – e forse principale causa dell’attuale conflitto – resta come spartire le rendite tra est e ovest. Sulla questione al momento la battaglia è tra la Noc e la Banca centrale: Siddiq al Kabir, governatore della Banca, ha accusato, in maniera pesante la società petrolifera di aver truccato per anni i dati sulla produzione; dal canto suo, la Noc ha etichettato le dichiarazioni come false e ha specificato che molte delle attività sono fatte in joint venture e dunque sotto il controllo anche di attori terzi. L’argomento sembra essere diventato il principale campo di battaglia su cui si gioca il futuro della Libia. La questione è in fin dei conti un’arma fondamentale, se non decisiva, per assicurarsi il potere politico e la vittoria nelle prossime elezioni.
In un comunicato stampa, la Noc ha confermato la sua intenzione di non trasferire i fondi delle entrate petrolifere alla Banca centrale a causa della mancanza di fiducia e di trasparenza da parte dell’istituzione bancaria, annunciando che le entrate saranno trattenute presso la Libyan Foreign Bank fino quando la Banca centrale non modificherà le sue politiche rendendole più trasparenti. Il comunicato stampa arriva come risposta alle affermazioni fatte dalla Banca in una dichiarazione rilasciata il 19 novembre, secondo cui la società petrolifera avrebbe fornito dati inesatti sulle entrate e le spese negli ultimi anni. La Noc ha anche negato con veemenza gli errori e le accuse di disinformazione nella dichiarazione delle entrate e delle spese da gennaio a ottobre di quest’anno. Secondo la società petrolifera, infatti, i ricavi effettivi legati al petrolio durante il periodo gennaio-ottobre 2020 detenuti dalla Banca centrale hanno raggiunto la somma di 5,2 miliardi di dinari libici. Rispetto ai ricavi effettivi del periodo comunicati dalla Banca, 5 miliardi di dinari, è evidente che un’eccedenza di 200 milioni di dinari non è un deficit di 2,6 miliardi di dinari, come dichiarato nel rendiconto della Banca centrale, che potrebbe essere dovuto al mancato calcolo da parte della Banca degli incassi di gennaio 2020 di 2.5 miliardi di dinari. Inoltre. il congelamento farebbe parte di un accordo tra Tripoli e Tobruk, raggiunto e garantito dai paesi coinvolti nel processo di pace libico.
Lo scorso 23 novembre un gruppo armato ha tentato di entrare nella sede della Noc a Tripoli mentre la compagnia statale si trovava coinvolta nella controversia con la Banca centrale. L’incidente è arrivato pochi giorni dopo che la produzione di petrolio aveva raggiunto la cifra di 1,2 milioni di barili al giorno, il livello più alto raggiunto nell’ultimo periodo. L’assalto “fallito” non ha avuto conseguenze di nessun tipo, ma getta benzina su una situazione già di per sé infiammata. Il tentativo è avvenuto sullo sfondo del cambiamenti amministrativi all’interno della Noc e nei comitati di gestione delle compagnie petrolifere affiliate alla società. I cambi non riguardano solo i vertici ma anche i manager di livello inferiore. L’iniziativa farebbe parte, secondo alcuni analisti, di un tentativo da parte del presidente della compagnia, il già citato Mustafa Sanalla, di ridurre l’influenza delle regioni all’interno della Noc.
Il primo ministro di Tripoli al-Serraj ha chiesto un incontro di emergenza per affrontare le conseguenze derivanti dal congelamento delle entrate petrolifere e le misure da adottare per evitare ulteriori sofferenze per il popolo libico. La continua guerra in corso per il controllo delle entrate petrolifere del paese ha avuto un impatto drammatico sul tasso di cambio della valuta libica sul mercato nero, facendo raggiungere il tasso più alto in oltre tre anni. Nonostante la forte crescita di produzione petrolifera, gli istituti bancari libici soffrono a causa di una mancanza di liquidità.
Sebbene la Libia detenga le più grandi riserve di greggio dell’Africa, anni di conflitti e le conseguenti perdite di produzione hanno impoverito il governo e il suo popolo. Negli ultimi mesi, il paese nordafricano ha visto la sua produzione scendere a meno di 100.000 barili al giorno, a causa del blocco petrolifero imposto da Haftar. Il 18 gennaio, tribù e milizie orientali, sostenute dall’Esercito nazionale libico di Haftar, avevano bloccato le esportazioni da cinque dei terminali petroliferi chiave del paese, riducendo la produzione al minimo dal 2011. La velocità della ripresa produttiva ha colto di sorpresa i mercati petroliferi, ed è fra l’altro causa di preoccupazione per alcuni paesi membri dell’Opec (l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) e di altri paesi produttori come la Russia. La grande incognita sulla produzione libica è se tale attività potrà essere sostenuta e tornare ai livelli pre-2011, quando ammontava a circa 1,6 milioni di barili al giorno. L’incremento dell’ultimo periodo, conseguente allo sblocco della produzione, potrebbe essere visto come una fase di rilancio iniziale, ma per produrre più greggio, il paese avrà bisogno di entrate maggiori per riparare e aggiornare la sua infrastruttura energetica. Il raggiungimento di questo obiettivo rende tuttavia ancor più necessaria una pace duratura all’interno dell’ex colonia italiana.
Le compagnie petrolifere internazionali – tra cui ad esempio la francese Total, l’italiana Eni e la spagnola Repsol – saranno riluttanti a investire di più finché non vedranno un accordo di pace durevole e miglioramenti nella sicurezza. L’interesse interazionale per il petrolio libico resta comunque alto, come testimoniato da una nota diffusa dall’ambasciata americana in Libia, secondo cui le aziende statunitensi hanno confermato il loro forte desiderio di espandere le loro competenze tecniche e risorse finanziarie per aiutare a ricostruire le infrastrutture e l’economia in Libia, ma anche dall’incontro tra al-Serraj, Sanalla e Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, per discutere della continuazione dell’impegno della compagnia petrolifera italiana al paese. Descalzi ha espresso il suo apprezzamento per lo sforzo fatto dalla Noc per riprendere in sicurezza la produzione e l’esportazione di petrolio da tutti i giacimenti petroliferi onshore – compresi i giacimenti partecipati da Eni, come El-Feel e Abu-Attifel – nonostante l’attuale contesto di crisi.
Finché durerà il cessate il fuoco e si continueranno a fare progressi politici, è chiaro che la produzione libica rimarrà sul mercato e migliorerà la situazione economica e sociale del paese. Ma se le questioni sulla spartizione dei ricavi dovessero riversarsi sul processo politico potrebbero bloccare ulteriormente il cammino verso la pace e la stabilità.
Mario Savina