Le comunità cristiane del Medio Oriente e del Nord Africa sono una parte importante, ma spesso poco conosciuta e a volte anche trascurata, del paesaggio culturale e religioso del mondo arabo. La presenza di cristiani in questa estesa regione ha radici molto profonde, legate proprio alle origini e alla diffusione della fede cristiana, e ovviamente antecedenti all’arrivo dell’islam, nel VII secolo. Ricordare questa realtà ci aiuta a capire che il Medio Oriente assume per i cristiani un valore centrale, simbolizzato dai luoghi sacri legati alla natività Cristo e alle vicende narrate nei Vangeli.
La principale area del Medio Oriente di interesse speciale per i cristiani – sia in termini culturali che per la presenza di importanti comunità di fedeli – è il Bilad al-Shaam, ossia la regione che comprende Israele, i territori palestinesi, la Siria, il Libano, la Giordania e l’Iraq. Tuttavia la presenza di cristiani si estende anche a parti non arabe del mondo musulmano: vi sono ad esempio importanti comunità anche nella penisola anatolica e in Iran.
La peculiarità del cristianesimo mediorientale è rappresentata dal pluralismo, e in particolare da una molteplicità di Chiese, ognuna con una propria tradizione e una peculiare liturgia. Di fatto le comunità cristiane iniziarono a separarsi e articolarsi a partire dai Concili di Efeso e Calcedonia del V secolo, per poi continuare per i secoli a venire. Provando a mettere a fuoco il mosaico religioso mediorientale, oggi ritroviamo ben 22 confessioni suddivise in 4 grandi famiglie: la Chiesa orientale ortodossa, la più grande numericamente in termini di fedeli; la Chiesa ortodossa di Calcedonia; la Chiesa cattolica e, in fine, una serie di Chiese nate dalla Riforma protestante, fra cui quelle evangelica, luterana e presbiteriana.
La comunità cristiana nel suo insieme conta una popolazione che si aggira intorno ai 15 milioni di fedeli, anche se i dati non sono sempre precisi. Le comunità più rilevanti si trovano nel Levante, e in particolare in Libano, che vanta una comunità cristiana che costituisce quasi il 34% della popolazione, per la maggior parte fedeli appartenenti alla chiesa maronita, con significative minoranze di greco-ortodossi e greco-melkiti. Un paese arabo ugualmente importante in termini di presenza cristiana è l’Egitto, dove i cristiani, soprattutto appartenenti alla Chiesa copta, costituiscono circa il 10% della popolazione. In Egitto ci sono anche altre minoranze cristiane: cattolici, greco-melkiti, armeni, maroniti, siriaci e caldei. La Siria ospita un’altra fetta importante del mondo cristiano orientale. Purtroppo non si hanno delle stime precise, tuttavia secondo il CIA World Factbook i cristiani sono circa il 10% della popolazione. In Giordania i cristiani rappresentano il 2% mentre in Iraq sono l’1%.
Vi sono comunità cristiane – in alcuni casi si tratta di antiche comunità risalenti al II e il III secolo – anche nel Magreb, in particolare in Marocco, Algeria e Tunisia. Molti dei cristiani che popolano attualmente il Magreb sono in effetti stranieri provenienti dall’Europa o dall’Africa sub-sahariana, e questa situazione si verifica anche per quanto riguarda i paesi della Penisola arabica, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
All’alba del Ventesimo secolo la presenza cristiana nel Levante e nella regione mesopotamica in generale rappresentava circa tra il 24% e il 27% della popolazione totale. Nel corso del Novecento, tuttavia, è stato riscontrato un forte crollo demografico, tanto che oggi, come già accennato, il Medio Oriente e il Nord Africa contano una presenza di cristiani, che non supera i 15 milioni ovvero il 10% sull’interna popolazione. Le ragioni di questo crollo demografico sono diverse e molteplici, legate fondamentalmente a 3 dinamiche: l’insicurezza, legata in buona parte alla mancanza di tutele delle minoranze; le difficoltà economiche, che favoriscono l’emigrazione; e la crescita del fondamentalismo di matrice islamica.
Islam e cristianesimo una storica convivenza. L’espansione islamica del VII secolo ha riguardato, oltre i territori della sponda sud del Mediterraneo, anche una parte rilevante del continente europeo, come l’Andalusia e la Sicilia. L’islam – inteso sia come religione che come “civiltà” – ha lasciato in questi luoghi una forte impronta. L’età medievale fu caratterizzata da guerre e scontri, ma anche da dialogo e confronto tra musulmani e cristiani. La teologia islamica, attraverso i propri ulama (teologi e sapienti) sviluppò un quadro legislativo al fine di disciplinare le relazioni politiche e sociali con le minoranze cristiane ed ebree che abitavano il Dar al-Islam (la “casa dell’islam”, ossia i territori sotto il controllo dei governi islamici). Secondo Maometto, tutta l’umanità è creata da Allah, e proprio nel Corano, e precisamente nella Surat an-Nisâ’, troviamo le seguenti parole: “Uomini, temete il vostro Signore che vi ha creati da un solo essere, e da esso ha creato la sposa sua, e da loro ha tratto molti uomini e donne. E temete Allah, in nome del Quale rivolgete l’un l’altro le vostre richieste e rispettate i legami di sangue . Invero Allah veglia su di voi”. Come riportato nel Corano, l’islam proclama una fondamentale unità tra i musulmani, ebrei e cristiani, e questi vengono anche nominati nel Corano sotto l’appellativo Ahl al-Kitāb – le “Genti del Libro” – in quanto popoli ai quali Dio ha rivelato le scritture (la Torah e Bibbia), uniti dunque dalla comune matrice monoteista. Questa logica è corroborata anche dalla Surat al Baqara, che al versetto 136 recita “Dite: «Crediamo in Allah e in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e sulle Tribù, e in quello che è stato dato a Mosè e a Gesù e in tutto quello che è stato dato ai Profeti da parte del loro Signore, non facciamo differenza alcuna tra di loro e a Lui siamo sottomessi”. Questi passaggi coranici assieme alla sunna gettano le basi della giurisprudenza islamica per regolare i rapporti con le altre comunità confessionali non islamiche. Le “Genti del Libro” hanno sempre goduto di protezione grazie all’applicazione di un istituto giuridico definito dhimmi – un “patto di protezione” che riguardava ebrei, cristiani, zoroastriani, mandei, indù, sikh e buddhisti, e garantiva loro diritti e tutele, anche se minori rispetto a quelli dei musulmani.
Ai dhimmi era concessa la libera pratica della propria religione, e godevano di una certa indipendenza. A fronte di alcuni diritti, tra i quali la sicurezza personale e della prole o la proprietà privata, gli appartenenti alle minoranze religiose avevano il dovere di pagare un tributo. Come riportato da Bernard Lewis, in particolare nel libro The Jews of Islam, “In generale, al popolo ebraico era permesso di praticare la sua religione e di vivere secondo le proprie leggi e le scritture della sua comunità. Inoltre, le restrizioni a cui erano soggetti gli ebrei erano di tipo sociale e simbolico, piuttosto che concreto e pratico. Vale a dire, queste norme servivano a definire il rapporto tra le due comunità, e non ad opprimere la popolazione ebraica”. Lewis, pur riconoscendo lo status d’inferiorità a cui i dhimmi erano sottoposti nei territori musulmani, notava inoltre che, sotto molti aspetti, la loro posizione era “molto più facile di quella dei non cristiani o anche dei cristiani eretici nell’Europa medievale”.
Dunque il rapporto tra le fedi nell’era della dominazione islamica era regolato da una relazione asimmetrica, ma tale da garantire ai non musulmani un minimo di diritti, mentre si può ricordare che in Europa dopo la riconquista dell’Andalusia, fu attuata la cacciata di musulmani ed ebrei.
Le sfide del presente. Le comunità cristiane hanno giocato un ruolo politico e culturale importante nel Medio Oriente contemporaneo. La lotta per l’indipendenza di molti stati della regione ha visto la mobilitazione di molti esponenti delle minoranze cristiane, che si sono sentiti parte attiva e integrante delle rivendicazioni nazionali, in nome di un’unità non più etnica o religiosa ma piuttosto nazionale e pan-araba. I movimenti socialisti in Siria, Egitto e Libano hanno avuto protagonisti di diverse provenienze e religioni, tra cui anche numerosi cristiani, e molti cristiani hanno contribuito alla crescita del mondo arabo nei settori della società civile, della politica, dell’economia, dell’arte e della letteratura. Questo percorso è stato interrotto dall’ascesa dei regimi autoritari nella regione, i quali, oltre a limitare la libertà di opinione e reprimere il dissenso, hanno marginalizzato anche le rivendicazioni delle minoranze religiose.
Le Primavere arabe avevano fatto sperare in una nuova stagione di cambiamento volto a rendere le società del Medio Oriente e del Nord Africa più aperte, democratiche e inclusive, dando spazio anche a maggiori tutele e sicurezza per le comunità cristiane locali. Tuttavia, a dieci anni dall’inizio delle rivolte, si osserva purtroppo un solo processo di democratizzazione in stato avanzato e con buone probabilità di successo – la Tunisia – mentre in generale le rivolte sono spesso degenerate in situazioni instabilità che hanno favorito il ritorno di regimi autoritari con uno stato di polizia ancora più ferreo, e in alcuni casi delle drammatiche situazioni di guerra civile. L’ascesa del radicalismo di matrice islamica nella regione ha reso la vita delle minoranze cristiane orientali ancora più difficile, specialmente nei paesi che sono stati maggiormente colpiti dall’ascesa dell’Isis/Daesh.
Attualmente, la situazione per i cristiani negli Stati arabi è piuttosto eterogenea. Mentre in Siria e in Iraq la vita dei cristiani è difficile – se non addirittura drammatica – in Libano e in Egitto, dove troviamo le comunità più numerose, sono garantiti diritti di culto e rappresentanza. Nel Magreb le minoranze cristiane sono meno consistenti dal punto di vista numerico, ma il diritto di culto è in generale riconosciuto e tutelato. La situazione per i cristiani sta ricevendo maggiori attenzioni grazie alle iniziative della Santa Sede. Su iniziativa di Papa Francesco, le relazioni diplomatiche tra il Vaticano e molti paesi islamici si sono intensificate, e i viaggi del Pontefice nella penisola arabica e in Marocco nel 2019 sono stati di grande valore politico e simbolico. In questo quadro, Papa Francesco ha anche partecipato a un evento sulla Fraternità Umana tenutosi negli Emirati Arabi Uniti e promosso dal Consiglio Islamico degli Anziani (un importante organizzazione religiosa che ha come scopo la promozione della pace e della fraternità tra i musulmani e tra l’islam e le altre religioni). L’incontro si è concluso con la firma di una dichiarazione congiunta da parte del Papa e del grande Imam di Al Azhar, l’egiziano Ahmed al Tayyeb (rappresentante dell’Islam sunnita). Questa ripresa dei rapporti tra le autorità islamiche e quelle vaticane fa ben sperare per il futuro, in quanto un maggiore dialogo per avvicinare le comunità musulmane e cristiane sembra sempre più urgente.
Le comunità cristiane mediorientali rappresentano insomma parti importanti sia delle comunità nazionali nelle quali vivono che del mondo cristiano in generale. Molti cristiani hanno dato contributi importanti allo sviluppo tecnico e soprattutto intellettuale del mondo arabo. I cristiani non sono estranei nel contesto delle società del Medio Oriente e del Nord Africa, ma sono a tutti gli effetti “arabi” (e non solo) – parti integranti di questa regione. Le sfide per il futuro sono molte, le più importanti riguardano il pluralismo religioso, le libertà di culto e la rappresentanza politica. Le comunità cristiane mediorientali hanno una storia importante e sono una preziosa testimonianza della possibilità di convivenza in questa turbolenta regione. Gli sconvolgimenti politici e le degenerazioni del radicalismo hanno reso in questi ultimi decenni la loro vita molto più difficile. Tuttavia, al netto delle strumentalizzazioni politiche, le comunità cristiane – arabe e non – rimangono parte fondamentale della storia, della cultura e della geografia umana del Medio Oriente.
Mohamed el-Khaddar