Papa Francesco ha compiuto il suo trentatreesimo viaggio apostolico in Iraq. Questa visita, che ha avuto luogo dal 5 all’8 marzo scorso, è stata densa di significati religiosi, ma al tempo stesso carica di messaggi politici. Questo storico appuntamento in Iraq, preceduto da una lunga preparazione e accompagnato da misure di sicurezza straordinarie, si è articolato in una lunga serie di appuntamenti con leader politici e autorità religiose, di fede cristiana e musulmana. All’arrivo nella capitale irachena – Baghdad – il Papa ha trovato ad attenderlo e riceverlo con tutti gli onori il Primo ministro Mustafa al-Kadhimi, assieme al presidente Barham Saleh, oltre alle rappresentanze politiche locali e religiose del paese. La prima tappa del viaggio è stata la cattedrale di Sayidat al-Najat (Nostra Signora della Salvezza), un luogo simbolo del conflitto politico e religioso che dilania l’Iraq ormai da anni. La cattedrale è stata ricostruita dopo due attacchi terroristici che hanno fatto del luogo religioso un simbolo di resistenza e sofferenza. Il Pontefice ha incontrato i vescovi locali e ha lanciato un’esortazione a uscire dalla spirale di violenza.
Il contesto entro il quale Papa Bergoglio ha condotto la sua visita apostolica è stato contraddistinto da un livello di conflittualità endemico. L’Iraq rimane un paese nel cuore del Medio Oriente dilaniato da una guerra civile che sembra ancora lontana dal trovare una via d’uscita. L’ultimo “uomo forte” iracheno è stato Saddam Husain, rimasto al potere dal 1979 fino all’intervento statunitense del 2003. La maggioranza sciita nel paese mesopotamico è stata per decenni governata dalla minoranza sunnita. Nel mosaico confessionale iracheno ritroviamo anche numerose minoranze cristiane appartenenti a chiese diverse, un’ulteriore segno della frammentazione regionale.
La guerra civile irachena, i conflitti latenti tra le comunità islamiche, l’ascesa dell’Isis e le brutalità che le gli iracheni hanno dovuto subire hanno reso la visita del carica di messaggi di pace ma anche fortemente simbolica. Le comunità cristiane in terra mesopotamica hanno una storia che precede l’arrivo dell’islam, e sono una parte fondamentale del mosaico etnico/religioso dela regione. Tuttavia in questi ultimi decenni, e ancora oggi, i cristiani del Medio Oriente subiscono persecuzioni e discriminazioni diffuse. In questa situazione, l’attenzione posta loro dal Pontefice è molto significativa e apprezzata. L’attivismo diplomatico del Vaticano in questi ultimi anni ha fatto sentire la propria voce in questi luoghi di guerra. Nella speranza di far tacere le armi e favorire un confronto tra le parti, Papa Francesco ha denunciato sia le persecuzioni subite dai cristiani in Medio Oriente che le sofferenze dei profughi e delle vittime della guerra civile.
La visita in Iraq – programmata meticolosamente dal Vaticano – è l’espressione di un approccio politico-diplomatico di notevole equilibrismo, che segnala la volontà di voler riallacciare e rafforzare i rapporti tra le grandi religioni monoteiste. Il messaggio intende infatti evidenziare come le frizioni politiche ed etniche non debbano degenerare in conflitti religiosi. In questo solco, la prima visita di Papa Bergoglio in Egitto – nel 2017 – ha permesso l’incontro tra il Pontefice e la più alta autorità sunnita dell’università Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib. I rapporti tra le due autorità si sono consolidati poi con la firma del documento “Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” il 4 febbraio 2019, al Founder’s Memorial di Abu Dhabi. Il percorso del Papa nel mondo islamico si è arricchito di altri viaggi, come quello in Marocco – paese ponte tra il continente africano e quello europeo – dove Bergoglio ha incontrato il re Mohammed VI, emiro dei fedeli. In questi anni il Papa ha anche incontrato il Muftì di Gerusalemme sulla Spianata delle Moschee e ha visitato poi la basilica di Santa Sofia (che all’epoca era un museo, ma che lo scorso luglio è stata convertita in una moschea) a Istanbul. Sempre nel mondo islamico, il Papa ha visitato la moschea di Baku, incontrando in tale occasione lo sceicco capo dei musulmani nella regione e rappresentanti ebrei e ortodossi.
Il viaggio in Iraq si colloca dunque in questo disegno volto a ricucire i rapporti tra le grandi fedi monoteiste. Tuttavia, è da notare che mentre gli altri incontri sono stati rivolti al mondo sunnita, quest’ultima visita è stata dedicata ad allacciare rapporti nuovi con gli sciiti. Proprio nel secondo giorno della visita ha avuto luogo l’incontro storico con il grande ayatollah Ali al-Sistani, a Najaf, città irachena che rappresenta anche un centro fondamentale dell’islam sciita.
Questo incontro denso di significati, per certi aspetti storico e nella sostanza simbolico, colloca la Santa Sede come interlocutore tra le due confessioni islamiche e riequilibra la posizione del Vaticano alla luce delle precedenti visite dedicate al mondo sunnita. La figura del novantenne al-Sistani ha grande importanza per gli sciiti. Oltre ad avere un ruolo spirituale di primo rilievo, l’ayatollah iracheno ha assunto anche un ruolo politico non secondario, basti pensare all’influenza che al-Sistani esercita sulle milizie sciite che hanno combattuto lo Stato islamico. La scelta del Papa di incontrare proprio lui non è casuale, al-Sistani è infatti famoso per le sue posizioni moderate e conciliatorie.
Rimane interessante osservare come i media iraniani hanno raccontato la visita del Papa, da una parte evidenziando come lo sciismo è diventato una componente importante nel panorama religioso e politico mediorientale, dall’altra citando anche i “martiri” Qasem Soleimani e Abu Mahdi al-Muhadis. La propaganda favorevole regime di Teheran ha sostenuto che senza il sacrificio di queste figure nel promuovere la stabilità in Iraq, la visita del Papa sarebbe stata impossibile. Tuttavia sembra che la visita del Pontefice sia poi passata come una notizia secondaria.
Se da una parte possiamo leggere il viaggio del Papa come messaggio di speranza – non solo nei confronti delle minoranze cristiane in Iraq ma per tutto il Medio Oriente – dall’altra è possibile interpretare il percorso intrapreso da Bergoglio nei confronti del mondo islamico come un tentativo da parte del Vaticano di giocare un ruolo “politico” terzo di mediazione nei conflitti del Medio Oriente.
Si può sostenere che grazie visita di pontefice in Iraq – la regione che secondo la Bibbia rappresenta anche la terra di origine di Abramo – il Vaticano sia uscito notevolmente rafforzato a livello internazionale. L’incontro tra il Papa e una delle figure simboliche dello sciismo come al-Sistani, in un momento storico così delicato e in un contesto così frammentato e conflittuale, sembra destinato a dare alla Santa Sede credibilità internazionale e statura politica di promo livello. Dunque, la strategia di Papa Francesco in questi ultimi anni è stata quella di tessere un filo diretto con il mondo islamico attraverso rapporti con i principali leader religiosi, un approccio che nel mondo islamico ha anche conseguenze politiche importanti. Il viaggio in Iraq sigilla questa strategia, in un’ottica di buoni rapporti ma anche di interlocutore politico legittimato per le grandi questioni della regione mediorientale.
Mohamed El Khaddar