Il prossimo 18 giugno – questo venerdì – gli iraniani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica islamica, che succederà a Hassan Rouhani, un politico moderato della fazione E’tedalgarayan che ha raggiunto il massimo di due mandati consecutivi di quattro anni consentiti dalla costituzione iraniana. Rouhani, eletto nel 2013, aveva ottenuto la presidenza dopo gli otto anni in cui era stato in carica il conservatore Mahmoud Ahmadinejhad.
Il maggiori successo di Rouhani è stato la firma dell’accordo sul nucleare iraniano (anche noto come Jcpoa o Joint Comprehensive Plan of Action) del 2015, che ha avuto anche l’effetto positivo di arginare la crisi economica generata dalle sanzioni statunitensi. Tuttavia, durante la presidenza di Donal Trump, gli Stati Uniti hanno abbandonato l’accordo e imposto un regime di sanzioni economiche ancora più aspro.
Durante il suo secondo mandato – iniziato nel 2017 – Rouhani aveva anche il sostegno della fazione riformista Eslah talaban ed era riuscito a sconfiggere Ebrahim Raisi, un influente esponente della fazione conservatrice. Nonostante ciò, Rouhani non è più riuscito a confrontarsi adeguatamente con le esigenze del paese e a risolvere i gravi problemi economici e politici, tanto che la sua immagine come presidente era totalmente diversa dal primo mandato.
Gran parte della popolazione iraniana ha intenzione di boicottare le elezioni presidenziali del prossimo 18 giugno – un modo di rispondere “no” ad una forma di “ingegneria elettorale” e di selezione dei candidati da parte del Consiglio dei Guardiani che di fatto non lascia spazio a una vera libertà di voto. Le previsioni sulla partecipazione si attestano al 30%, un dato che sarebbe perfino inferiore a quello della partecipazione alle elezioni parlamentari (Majles-e Shuray-e Eslami) dell’anno scorso, che fu solo del 42% – la più bassa dalla fondazione della Repubblica islamica.
L’attuale Majles (parlamento) iraniano – alla sua undicesima legislatura – comprende 221 membri conservatori su 288, e solo 20 riformisti e moderati. Al momento sia il potere legislativo che il potere giudiziario sono sotto il controllo della fazione conservatrice Osulgarayan, manca solo il potere esecutivo. Si prevede però una futura omogeneità del potere nel sistema iraniano, in quanto, considerando la non partecipazione della maggioranza della popolazione, è prevista la vittoria alle presidenziali di Ebrahim Raisi, attuale capo del potere giudiziario e candidato principale del gruppo conservatore.
La causa dell’astensionismo (che è stato anche definito come “sanzione elettorale”), non è solo la protesta contro il Consiglio dei Guardiani, che ha scelto solo 7 candidati su 592 iscritti, squalificando tutti i candidati proposti dalla fazione riformista. Gran parte degli elettori ha perso la fiducia verso il governo della Repubblica islamica e considera il ruolo del presidente come puramente simbolico, con dei poteri limitati che lo costringerebbero sempre a richiedere il consenso dagli altri organi, in particolare dal Rahbar o “Guida suprema” – l’ayatollah Ali Khamenei. Tra i motivi alla base di questo generale crollo della fiducia si possono citare l’aumento della povertà e la diffusa insoddisfazione per la situazione economica, politica e sociale, la continua instabilità sul fronte della sicurezza, la repressione sistematica e sanguinosa delle proteste popolari (come quella del novembre 1998), la segretezza da parte del regime sul disastro dell’aereo ucraino del gennaio 2020, nonché la cattiva gestione dell’epidemia di Covid-19.
In particolare, questa volta, i riformisti – una fazione che comprende oltre 30 partiti politici – hanno dichiarato di non voler partecipare e di non sostenere nessuno dei candidati ai quali è stato permesso di partecipare alle elezioni. Alcuni dei candidati riformisti squalificati, come Mostafa Tajzadeh, hanno denunciato un “colpo di Stato elettorale” da parte del Consiglio dei Guardiani che ha usufruito del potere di Nezarat-e Estesvabi per squalificare gran parte dei candidati senza mostrare alcuna ragione o argomento in merito. Il Nezarat-e Estesvabi, letteralmente “la supervisione dell’approvazione”, si basa sull’opinione del Consiglio dei Guardiani sull’idoneità o sull’inadeguatezza degli individui a ricoprire posizioni come la presidenza, la rappresentanza parlamentare e l’appartenenza all’Assemblea degli Esperti di leadership. Il Consiglio dei Guardiani, nella sua interpretazione dell’approvazione della supervisione, afferma che l’approvazione della supervisione è introspettiva.
La natura giuridica e il potere assoluto del Consiglio dei Guardiani – Shuray-e Negahban – è stabilita dagli articoli 91 e 99 della Costituzione iraniana. Nello specifico l’articolo 99 dichiara che al Consiglio dei Guardiani è affidata la supervisione delle elezioni dell’Assemblea degli Esperti, del Presidente della Repubblica, delle elezioni dei Rappresentanti del Majles (Parlamento) e dei referendum. I 12 membri del Consiglio dei Guardiani vengono suddivisi in: sei giuristi islamici (fuqaha), prerogativa della “Guida suprema” (attualmente, Ali Khamenei), e sei giuristi esperti, scelti dal Presidente dell’Organo giudiziario (attualmente, Ebrahim Raisi). Il Presidente dell’Organo giudiziario viene a sua volta scelto direttamente dal Rahbar – la Guida suprema.
Il Consiglio dei Guardiani ha ricevuto il diritto di Nezarat-e estesvabi (“approvare la supervisione”), grazie a una risoluzione del Quinto Majles del 1995, che all’epoca aveva una maggioranza di conservatori. Secondo l’interpretazione della legge dei membri del Consiglio, quest’organo non è responsabile verso nessuna istituzione e non ha bisogno di fornire prove per le sue decisioni. I riformisti, citando articoli della Costituzione che ritengono tutte le istituzioni responsabili nei confronti del popolo o dei suoi rappresentanti, sostengono che il Consiglio dei Guardiani non ha tale diritto e deve avere ragioni sufficienti per giustificare le sue decisioni, specialmente nei casi di squalifica dei candidati. Così, in alcune elezioni, oppositori o critici del regime e molti membri dei gruppi di sinistra sono stati squalificati per vari motivi, tra cui la mancanza di un impegno pratico nei confronti dell’Islam o della Velayat-e-Faqi (governo del giureconsulto). Nel 2019, il governo di Rouhani ha cercato di istituire un referendum sulla questione di Nezarat-e Estesvabi, ma ad oggi il processo è ancora fermo.
Il 25 maggio 2021 il Consiglio dei Guardiani ha selezionato Saeed Jalili, Mohsen Rezaei, Seyyed Ebrahim Raisi, Alireza Zakani, Seyyed Amir Hossein Ghazizadeh Hashemi, Mohsen Mehr Alizadeh e Abdolnaser Hemmati come candidati finali per le elezioni presidenziali del 2021. Alizadeh, Jalili e Zakani si sono recentemente ritirati dalle elezioni, lasciando in lizza quattro contendenti.
Dopo l’ultimo dibattito tra i candidati – avvenuto lo scorso 12 giugno – sembra ancora più chiaro che Ebrahim Raisi, con il sostegno della maggioranza della fazione Osulgarayan e del Rahbar Khamenei, ha la possibilità di vincere senza nessuna vera concorrenza.
L’unico candidato che si è mostrato come un concreto avversario nei confronti di Raisi è stato Abdolnaser Hemmati, che ha partecipato come indipendente, sebbene il suo orientamento sia vicino alla fazione moderata e riformista. Hemmati si è concentrato sulla crisi economica e su come risolverla, ha dichiarato anche che lascerà almeno il 30% dei ruoli chiave alle donne e sarà la voce dei giovani e delle persone marginalizzate dal sistema e ha anche criticato le politiche elettorali esistenti, affermando che il popolo iraniano è passato, negli ultimi 12 anni, dal “Dov’è il mio voto?”, slogan delle proteste del 2009, al “Niente voto” del 2021. Tuttavia Hemmati non avrà il sostegno da parte della fazione riformista, per quanto tutti i candidati di questo gruppo siano stati squalificati da parte del Consiglio dei Guardiani.
Al contrario di Hemmati, il conservatore Said Jalili è contrario all’adesione dell’Iran alla Fatf, un organismo internazionale che si occupa di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo. Jalili si è anche fortemente opposto agli attuali negoziati di Vienna, in cui Teheran e Washington sono coinvolte in negoziati indiretti per far rivivere il Jcpoa, da cui l’amministrazione Trump si era ritirata nel 2018.
Alcune figure pubbliche e progressiste come Faezeh Hashemi, la figlia dell’ayatollah Hashemi Rafsanjani, hanno boicottato la partecipazione alle elezioni presidenziali con la speranza di una minore partecipazione, al fine di trasformare la tornata elettorale in una sorta di referendum sul regime che esprima il malcontento del popolo iraniano. Anche Mir Hossein Musavi – riformista, dal 2010 agli arresti domiciliari e “leader” del Movimento Verde del 2009 – nella sua ultima dichiarazione a riguardo della situazione del sistema elettorale ha osservato che “In una situazione così instabile e ambigua, io, come un piccolo compagno, starò con coloro che sono stanchi di elezioni umilianti e truccate. Coloro che non sono disposti a sottomettersi alle decisioni dietro le quinte per il futuro del paese”.
Shirin Zakeri
[…] il sistema di potere in Iran si caratterizza per una crescente autocrazia, in particolare a partire dal 2020, una situazione in cui l’influenza politica si concentra sempre di più nelle mani della fazione […]