Le elezioni parlamentari che si sono svolte lo scorso 12 giugno in Algeria hanno mostrato ancora una volta la spaccatura esistente all’interno del paese. Da un lato, una popolazione che ha chiaramente perso la fiducia nel vecchio sistema politico e, dall’altro, la struttura guidata dal presidente Abdelmadjid Tebboune – sostenuto dall’esercito – non predisposta ad un cambiamento radicale del quadro politico attuale. Il voto, inizialmente previsto per il 2022, è stato anticipato come risposta alle proteste antigovernative in corso nel paese. I risultati preliminari (quelli definitivi saranno pubblicati 15 giorni dopo il voto) mostrano il “ritorno” di quei partiti screditati che avevano in passato fortemente sostenuto l’ex governo di Abdelaziz Bouteflika e, al tempo stesso, l’emergere di nuove figure, i candidati indipendenti. Questi ultimi avranno una presenza importante all’interno della nuova Camera e potrebbero risultare fondamentali per la formazione del governo: 78 seggi rispetto ai 28 ottenuti nel 2017 e ai 19 nel 2012.
Il Fronte di liberazione nazionale (Fln) viene riconfermato come blocco principale con 105 seggi sui 407 totali, nonostante abbia perso oltre 50 seggi rispetto alla precedenti elezioni. Il Fln, che ha dominato la scena politica dall’Indipendenza ottenuta nel 1962, viene da una crisi che lo ha attraversato nel corso degli ultimi due anni, nel corso dei quali è stato dato più volte come moribondo: da questa prospettiva, tale risultato è in qualche modo una sorpresa. Rispetto al 2017 la dimensione dell’Fln è diminuita chiaramente, ma avrà sicuramente possibilità di allearsi con altri partiti e candidati indipendenti così da creare una maggioranza in grado di supportare il presidente Tebboune. Il segretario generale del Fln, Abou El Fadhel Baadji, ha dichiarato in una conferenza stampa che il programma politico del suo partito è vicino a quello del presidente e quindi esistono tutti i presupposti per una futura collaborazione.
Il forte movimento di protesta Hirak e molti altri attori politici sono riusciti ad ottenere un diffuso boicottaggio. Alcuni seggi elettorali sono stati vandalizzati e sono stati segnalati scontri tra residenti e polizia in alcune città del paese. Prima del voto di sabato, i principali leader del movimento anti-governativo sono stati arrestati, con la capitale Algeri messa “sotto sequestro” per evitare ulteriori disordini. Karim Tabbou, una figura di spicco dell’Hirak, è stato arrestato dalle forze di sicurezza, così come altri esponenti dei media, tra cui Ihsane el-Kadi, il direttore di Radio M Station, e il giornalista Khaled Drareni.
Secondo i dati dell’Autorità nazionale indipendente delle elezioni (Anie), l’affluenza alle urne è stata solo del 23% degli aventi diritto, in netta diminuzione rispetto al 40% raggiunto nel 2019. Tale dato si attesta sui valori del referendum costituzionale dello scorso novembre, proposto dall’attuale presidente e presentato come una risposta adeguata al malcontento popolare e alle proteste di Hirak, in cui l’affluenza era stata del 24%. Ciò dimostra, insieme alle continue proteste e alle critiche pubbliche allo Stato, come una parte significativa della popolazione algerina sia d’accordo con il movimento antigovernativo.
La bassa affluenza ha avvantaggiato i partiti filogovernativi e quei partiti considerati “non minacciosi” per il governo. Il Democratic national rally (Rnd) e il partito islamico moderato Movimento della società per la pace (Msp) hanno tutti sostenuto Bouteflika in passato e le loro basi, anche se limitate, hanno ignorato le richieste di boicottaggio. I due partiti hanno ottenuto rispettivamente 57 e 64 seggi. Nel caso del partito islamico, le aspettative alla vigilia delle elezioni erano sicuramente più ottimistiche rispetto ai risultati finali e pochi giorni dopo la tornata elettorale il partito aveva rivendicato addirittura la vittoria. I partiti islamisti stanno lottando da tempo per ottenere il sostegno popolare in Algeria. I disordini in corso, insieme alla crisi di legittimità del governo e alla mancanza di un’alternativa credibile, avrebbero potuto offrire l’opportunità di acquisire una maggiore influenza nel parlamento. Tuttavia i risultati hanno mostrato altro. Partiti come Msp hanno espresso il desiderio di collaborare con il regime per realizzare insieme un nuovo programma politico. Tale scelta, insieme al rifiuto di boicottare le elezioni e al sostegno concesso ai governi precedenti, potrebbe essere la causa di una perdita cospicua di voti da parte di quegli elettori che desiderano un cambiamento radicale.
Inoltre, la proliferazione di nuovi partiti politici e liste nominalmente indipendenti sostenute dal governo hanno disperso i voti antigovernativi. Se l’affluenza alle urne fosse stata più alta, i partiti filo-governativi avrebbero probabilmente ottenuto qualche seggio in meno rispetto a quelli vinti. Un grande cambiamento rispetto alle elezioni precedenti è dato dal fatto che il numero delle donne elette scenderà dalle 112 presenti nell’Assemblea del 2017 alle solo 34 elette lo scorso 12 giugno.
Dopo che il massimo organo giudiziario algerino avrà confermato i risultati ufficiali, il nuovo parlamento dovrebbe iniziare i lavori a partire dal prossimo mese. Tebboune avrà il compito di nominare un primo ministro dopo la formazione di una coalizione parlamentare che sostenga il suo programma. Il futuro governo dovrà affrontare enormi sfide economiche. I problemi perenni di disoccupazione, carenza di alloggi e perdita del potere d’acquisto stanno peggiorando la situazione della maggior parte degli algerini. Il governo ha da tempo riconosciuto l’urgente necessità di diversificare il proprio sistema per ridurre la dipendenza da petrolio e gas, ma a tale volontà fino ad oggi non è mai seguita nessuna decisione in grado di creare un ambiente normativo e un clima imprenditoriale che attragga investimenti nazionali ed esteri. Allo stesso tempo, la pandemia di Covid-19 persiste e il fantasma di una crisi economica, in assenza di misure concrete che possano rilanciare il paese, è sempre presente.
Tebboune e l’establishment militare, così come i loro sostenitori, possono trarre conforto dal fatto di aver evitato un peggioramento della crisi istituzionale che l’Algeria sta affrontando dal 2019, quando milioni di persone sono scese in piazza per protestare contro la rielezione del presidente Bouteflika. Le forze di sicurezza, almeno per ora, stanno reprimendo le proteste di strada del movimento Hirak, arrestando centinaia di persone e condannando decine di attivisti al carcere per scoraggiare ulteriori proteste. Il governo ha intensificato la repressione nei confronti dei giornalisti indipendenti, e durante la campagna elettorale si è spinto sino a cancellare l’accredito di esercizio dell’ufficio stampa di France24 in Algeria a causa di “una chiara e ripetuta ostilità nei confronti del nostro paese (Algeria) e delle istituzioni”.
I risultati delle elezioni del 12 giugno hanno confermato il vecchio sistema. Anche tra i cosiddetti indipendenti che hanno conquistato 78 seggi nella nuova camera bassa ci sono molti ex membri di partiti filo-governativi e non rappresentano, quindi, una grande rottura con il passato. Le elezioni avrebbero dovuto salvare il regime dalla sua crisi di legittimità e portare ad un cambiamento sostanziale o ad una riforma. Così non è stato. Potrebbero essere utilizzate, viceversa, dal regime come strumento per rivendicare quella legittimità che non trova riscontro nel popolo. Lo stesso Tebboune, dopo aver espresso il suo voto ad Algeri, ha definito irrilevante il numero delle persone che si recano a votare: “Ciò che è importante è che coloro per cui vota la gente abbiano una legittimità sufficiente”.
Indipendentemente dai risultati ufficiali e dalla coalizione che sosterrà il nuovo governo, due sono i punti interrogativi nel post elezioni. Il primo è quanto a lungo Hirak, un movimento dominante nella politica di strada algerina, galvanizzato principalmente dal risentimento e da un senso di ingiustizia, possa continuare nella sua forma attuale: assenza di un leader e di proposte concrete alternative a quelle governative. Il secondo punto è per quanto tempo ancora la leadership militare, che non è disposta a cedere alle richieste dell’opinione pubblica per uno Stato veramente civile e democratico, continuerà a sostenere un Tebboune isolato e privo di legittimità popolare.
Mario Savina
[…] situazione interna del governo algerino. È un governo impopolare e ritenuto autocratico, nonostante la conferma alle scorse elezioni, che ha affrontato le proteste di massa dell’opposizione Hirak e di altri movimenti sociali […]
[…] il presente. Lo dimostra la recente decisione del presidente algerino Abdelmadjid Tebboune – uscito indenne dalle elezioni dello scorso giugno – di ritirare il proprio ambasciatore da Parigi e di interdire lo spazio aereo del paese ai […]