Lo scorso ottobre la Slovenia ha ospitato un vertice volto a ravvivare il processo di avvicinamento tra l’Ue e sei paesi dei Balcani occidentali: la Serbia, il Montenegro, il Kosovo, l’Albania, la Macedonia del Nord, e la Bosnia-Erzegovina. L’obiettivo dichiarato di questo processo è quello di creare le condizioni per un’eventuale ammissione di questi sei paesi nell’Unione, tuttavia numerosi fattori fanno pensare che tanto nell’immediato quanto nel più lungo periodo questo percorso sarà complesso, tortuoso e delicato.
Per prima cosa è necessario notare che la relazione fra l’Ue e i sei paesi in questione è piuttosto differenziata. Alcuni paesi, come la Serbia e il Montenegro, stanno già portando avanti la procedura di adesione. Va però notato che la Serbia, pur avendo fatto progressi, pone anche dei seri problemi, legati sia alle strette relazioni del governo di Belgrado con la Russia e la Cina sia allo stato di tensione fra la Serbia e il Kosovo. Anche la Macedonia del Nord ha fatto domanda di adesione, ma il procedimento è in una fase di stallo a causa di una controversia linguistica – ma anche, e in gran parte, politica – con la Bulgaria. L’adesione di un nuovo Stato all’Unione è decretata da un voto che richiede l’unanimità degli Stati membri, e questo significa che il governo di Sofia può di fatto esercitare un veto all’adesione macedone. L’Albania ha fatto domanda di adesione nel 2009, e ha finora adempiuto alle domande poste dalle istituzioni di Bruxelles. Tuttavia anche in questo caso il processo di adesione sta affrontando una fase di impasse, legata al fatto che l’adesione dell’Albania dovrebbe avvenire in contemporanea a quella della Macedonia.
Il Kosovo e la Bosnia sono al momento considerati come dei potenziali candidati al processo di adesione, ma in questo caso la situazione è decisamente delicata. A seguito della guerra del 1999 e a un periodo di amministrazione da parte dell’Onu, nel 2008 il Kosovo ha dichiarato indipendenza dalla Serbia. Lo status attuale del Kosovo non è tuttavia riconosciuto uniformemente da parte della comunità internazionale, e in cinque stati membri dell’Ue – Cipro, la Grecia, la Romania, la Repubblica Slovacca e la Spagna – non riconoscono l’indipendenza kosovara. Nel caso spagnolo appare chiaro che questa decisione è dettata anche da aspetti di politica interna, e in particolare il timore da parte del governo di Madrid di rafforzare e legittimare le ambizioni di indipendenza di alcune regioni spagnole.
Anche la domanda di adesione della Bosnia, depositata nel 2016, è fortemente penalizzata dagli strascichi del sanguinoso conflitto che ha caratterizzato, nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, la dissoluzione della Jugoslavia. A seguito del conflitto il paese è stato riorganizzato in una federazione con l’obiettivo di garantire una pacifica convivenza fra le comunità serba, croata e musulmana che compongono la società bosniaca, tuttavia la Bosnia si trova ancora sottoposta al controllo di un’autorità internazionale, e al momento risulta ancora troppo fragile a livello interno per poter intraprendere concretamente i negoziati di adesione.
Questa panoramica può aiutarci a capire i motivi che rendono la questione dei Balcani occidentali una sfida geopolitica di grande importanza, ma anche carica di insidie per l’Ue. L’allargamento dell’Ue in questa regione rappresenterebbe un avanzamento della cornice di integrazione in una regione geopoliticamente rilevante ma in cui al momento regna ancora l’incertezza: l’Europa del sud-est e la sponda adriatica orientale del Mediterraneo. La dolorosa storia dei Balcani occidentali, e in particolare la sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia, rappresentano inoltre una profonda ferita nella coscienza collettiva europea. L’allargamento dell’Unione in questa regione permetterebbe dunque di chiudere questo doloroso capitolo della storia europea e consolidare nella regione i valori di pace, democrazia, integrazione economica e società aperta che costituiscono le basi del processo di integrazione. È da notare a tal proposito che nell’era post Guerra fredda l’Ue e la Nato hanno rappresentato per molti paesi ex-comunisti europei delle “ancore” in grado di favorire i processi di democratizzazione e la transizione verso l’economia di mercato.
Tuttavia queste nobili ambizioni si scontrano con delle sfide pratiche, politiche e strategiche non indifferenti. In primo luogo, va notato che esistono delle condizioni precise – i “criteri di Copenhagen” – che gli aspiranti Stati-membri devono soddisfare per poter realisticamente aspirare a diventare parte dell’Unione. In base a questi criteri un paese candidato all’adesione deve innanzitutto avere solide istituzioni democratiche, e in particolare essere in grado di tutelare le minoranze. I potenziali nuovi Stati membri devono inoltre avere un’economia di mercato ben strutturata ed essere in grado di incorporare l’acquis communautaire – ossia il corpo di direttive, regolamenti, e atti normativi finora prodotti dalle istituzioni europee. La storia recente dei Balcani occidentali suggerisce che, sotto questo profilo, i paesi della regione hanno ancora della strada da fare per adempiere pienamente a questi criteri. In particolare, la Bosnia si trova ancora ad affrontare una situazione interna piuttosto instabile e problematica. A tal proposito va anche notato che l’esperienza degli ultimi anni suggerisce che la prospettiva di adesione all’Ue – e alla Nato – può essere un forte incentivo per favorire progressi verso una società ispirata ai valori democratici e liberali, ma una volta divenuti membri dell’Ue o dell’Alleanza atlantica, alcuni Stati – come l’Ungheria e la Polonia – hanno sperimentato delle forme di regresso che le istituzioni di europee o transatlantiche stanno facendo fatica ad affrontare.
La prospettiva di un allargamento dell’Ue nei Balcani occidentali si trova inoltre a dover fare i conti con delle sfide politiche interne all’Unione legate al fatto che, come già accennato, l’adesione di un nuovo Stato richiede un voto unanime da parte dei paesi membri, ma al momento molti Stati membri dell’Unione hanno delle importanti riserve circa la prospettiva di adesione dei sei. Come già accennato, la Bulgaria pone come condizione all’ingresso della Macedonia del Nord il riconoscimento da parte del governo di Skopje dello status della lingua macedone come dialetto della lingua bulgara – una controversia linguistica che ha tuttavia anche ramificazioni politiche e identitarie. Anche la Grecia ha in passato espresso forti riserve circa la Macedonia del Nord, e il processo politico che ha dato al paese l’attuale nome ha rappresentato un passaggio chiave per aprire a Skopje le porte dell’Alleanza atlantica. Come notato nei paragrafi precedenti, l’opposizione della Spagna all’adesione del Kosovo è legata al timore di legittimare aspirazioni secessioniste di regioni come la Catalogna o i paesi baschi. In generale ci si può inoltre chiedere se il processo di allargamento e quello di “approfondimento” dell’Unione europea vadano costantemente di pari passo e se il processo di “convergenza” politica, sociale ed economica necessario a garantire la coesione dell’unione sia un processo “naturale”. Questa è stata in effetti la mentalità che ha guidato l’evoluzione dell’integrazione europea nel corso degli anni Novanta e all’inizio del secondo millennio, ma l’eurocrisi e l’esplosione populista degli ultimi anni possono indurre a ritenere che la coesione fra le diverse realtà che compongono l’Unione sia un processo che in alcuni casi richiede uno sforzo coordinato, determinato, condiviso e soprattutto paziente. Il processo di integrazione europea è partito nel secondo dopoguerra con sei paesi dell’Europa occidentale accomunati da forti legami storici e priorità economiche e strategiche compatibili. Ad oggi l’Ue conta 27 Stati-membri che si distinguono per una forte eterogeneità sotto il profilo storico, geografico ed economico, e ogni ulteriore processo di allargamento dovrebbe tenere in considerazione questo tipo di differenze e pianificare delle strategie di convergenza.
Esistono infine delle sfide geopolitiche e strategiche legate alla prospettiva di un allargamento dell’Ue nei Balcani occidentali. Questa regione rappresenta infatti storicamente un’area di interesse per la Russia e per la Turchia. In tempi recenti i Balcani sono diventati rilevanti anche nel quadro della Belt and Road Initiative – l’iniziativa cinese volta a creare nuova “Via della seta” composta da una rete di collegamenti terrestri e marittimi in grado di favorire i rapporti economici tra la Cina e il resto dell’Eurasia. Integrare i Balcani occidentali nell’Ue comporta dunque anche la necessità di sviluppare una visione strategica di lungo periodo in grado di definire i rapporti tra i paesi membri e i governi di Ankara, Mosca e Pechino.
La relazione fra l’Ue e i Balcani occidentali rappresenta insomma una sfida importante su diversi livelli. Sono infatti in gioco le possibilità della regione di proseguire sulla strada della democrazia liberale e di uno sviluppo economico in un quadro di integrazione con il resto dell’Ue. Allo stesso tempo la prospettiva di un ulteriore allargamento rende ancora più urgente la necessità per i paesi dell’Unione di trovare delle soluzioni alle contraddizioni che hanno finora penalizzato il processo di integrazione, elaborare una visione più coerente del ruolo internazionale dell’Ue e stabilire una strategia più chiara a riguardo delle relazioni con altre potenze chiave nell’arena globale.
Diego Pagliarulo
[…] Erzegovina, il Kosovo, il Montenegro, la Macedonia del Nord e la Serbia – guardano da anni al processo di integrazione europea come una possibile soluzione alle sfide economiche e geopolitiche che caratterizzano la regione. […]