L’Italia è tra i paesi membri dell’Unione Europea che dipende di più dalle forniture di gas russo (29 miliardi di metri cubi di gas annui, circa il 40% del fabbisogno totale). Dopo l’invasione russa in Ucraina, il governo italiano si è adoperato per cercare nuovi partner, quantomeno nel breve termine, in vista di una sempre più concreta possibilità che il gas russo non arrivi più. Il gas rischia di essere oggetto delle nuove sanzioni previste dall’Ue contro la Federazione Russa. Mosca potrebbe, allo stesso tempo, bloccare le forniture come già avvenuto nel caso di Polonia e Bulgaria.
Tra i partner che potrebbero favorire l’affrancamento dell’Italia da Gazprom – il colosso russo del gas – emerge senza dubbio l’Algeria, che fornisce a Roma il 28,4% di tutto il gas consumato. Nelle ultime settimane l’Italia ha inoltre cercato di potenziare l’acquisto di gas liquefatto (Gnl). C’è infatti un grosso vantaggio legato al suo utilizzo: la sua flessibilità nell’approvvigionamento. Il gas liquefatto occupa un volume 600 volte minore e le metaniere che lo trasportano sono svincolate da limiti geografici che “condizionano” invece i gasdotti.
Oltre all’Algeria sono seguite nuove missioni di delegazioni italiane anche in Congo e in Angola. Non ci sono, ad oggi, dei gasdotti che colleghino l’Italia, direttamente o indirettamente, a questi paesi. Il gas “aggiuntivo” dei giacimenti angolani e congolesi arriverebbe sotto forma di Gnl. In particolare il Congo rifornirebbe l’Italia di 4,5 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, diretto verso i tre rigassificatori italiani (La Spezia, Livorno e Rovigo). Inoltre, è stato da poco firmato un protocollo di intesa con il Mozambico, con l’obiettivo di concludere un altro accordo di fornitura. Anche qui l’oggetto del contratto potrebbe essere il gas liquido: l’Eni, infatti, è presente nel paese africano dal 2006 e tra il 2011 e il 2014 ha scoperto nuovi ricchi giacimenti di gas.
Tra gli altri fornitori di Gnl per l’Italia, figura il Qatar anche attraverso la joint venture nel rigassificatore di Rovigo: Doha è ad oggi il primo esportatore di gas liquefatto a livello globale. Anche l’Egitto rientra tra i possibili fornitori, non senza qualche polemica a fare da sfondo in riferimento al caso Regeni, circostanza che ha portato il governo italiano a mantenere un profilo più basso non inviando membri del governo al Cairo, ma soltanto i dirigenti Eni. Lo scorso mese di aprile, infatti, è stato siglato un nuovo accordo che prevede la fornitura dall’Egitto di altri tre miliardi di metri cubi di gas liquefatto. Il Gnl arriverà in Italia via nave in uno dei tre rigassificatori presenti.
Per quanto riguarda invece gli Stati Uniti, Washington detiene da anni la leadership globale nell’esportazione di Gnl; primato superato però, il mese scorso, dal Qatar. Rispetto a quanto già concordato, gli Stati Uniti hanno deciso di destinare quote aggiuntive di gas ai partner europei (ulteriori 15 miliardi di metri cubi di Gnl), favorendo il loro affrancamento dal gas russo.
Esistono però anche alcune criticità legate all’utilizzo del gas liquefatto, in particolare in riferimento alle infrastrutture necessarie per il suo utilizzo e alla tipologia dei contratti che ne disciplinano le forniture. Una problematica risiede nel fatto che sono necessari impianti per la trasformazione, e cioè serbatoi di stoccaggio e rigassificazione, per pompare e riscaldare il gas liquido fino a riportarlo allo stato gassoso, ed inserirlo quindi nelle tubazioni per la sua trasmissione. Nell’impianto onshore il rigassificatore si trova sulla terraferma mentre in quello offshore sono strutture ancorate al fondale. Come già accennato, in Italia vi sono tre impianti di Gnl. Quello di Rovigo, precisamente a Porto Viro, è il terminale “Gnl Adriatico” attivo dal 2009, il più grande tra quelli offshore del paese, e produce otto miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il terminal di Livorno, attivo dal 2013, fornisce 3,75 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Infine, lo stabilimento di La Spezia (onshore) produce 3,5 miliardi di metri cubi di gas.
La presenza di questi rigassificatori non è di per sé sufficiente a soddisfare il fabbisogno italiano di gas o a gestire tutto il Gnl in più che l’Italia dovrebbe ricevere nel breve termine. In questo periodo si discute, infatti, molto della possibilità di rafforzare le strutture italiane di gas liquefatto o di completare quelle iniziate già da tempo, come il rigassificatore di Porto Empedocle, in Sicilia, cominciato nel 2004 e mai terminato, o quello di Gioia Tauro, sospeso dal 2013. Il problema rispetto alla costruzione di nuove infrastrutture sta nel presunto danno ambientale che ne deriverebbe. Un’alternativa potrebbe essere l’uso delle navi metaniere come rigassificatori galleggianti, chiamate appunto Fsru – Floating storage regasification unit – per trattare almeno altri sei miliardi di metri cubi di gas.
In riferimento alla tipologia di contratti che vengono stipulati per disciplinarne la fornitura, tutto dipende dall’andamento dei prezzi, che variano spesso, caratterizzando un mercato particolarmente volatile. Se, ad esempio, il prezzo del Gnl era crollato in piena pandemia da Covid-19, la fine del lockdown del 2020 e l’attuale guerra in Ucraina, hanno favorito un suo aumento. Spesso i contratti stipulati in questo settore sono di short term, solitamente della durata di qualche mese, proprio per non vincolarsi per lungo tempo. In sostanza il gas che circola “via tubo” ha un percorso obbligato e di norma i contratti sono a lungo termine, l’acquirente si impegna ad acquistare un determinato quantitativo di gas anche se il prezzo dovesse variare. In questo caso il prezzo è indicizzato al petrolio. Si preferisce il Gnl in base alla convenienza del prezzo in quel momento (l’indicizzazione qui è, infatti, gas to gas) e i contratti sono di norma a breve termine.
Il Gnl, da solo, non potrà risolvere il problema dell’approvvigionamento dell’Italia e renderla indipendente dalle forniture di Mosca. Il gas liquido che a oggi riceve l’Italia ammonta a 9,97 miliardi di metri cubi annui, corrispondenti al 13% del fabbisogno totale. Neanche la metà di quanto è fornito da Gazprom: 29 miliardi di metri cubi. Per tali ragioni Roma tenta di aumentare la propria sicurezza energetica, ma al Gnl andrebbe affiancato anche il rafforzamento di altre direttrici di fornitura per rendere credibile l’autonomia dal gas russo. L’aumento della quota di gas liquido, lo sfruttamento del TAP – Trans Adriatic Pipeline – che attraversa Grecia, Albania e termina in Puglia, e il TransMed dall’Algeria potrebbero insieme costituire una valida alternativa. Il tentativo di affrancamento da Mosca ha quindi, come conseguenza inevitabile, il rafforzamento di legami geopolitici con altri Stati. Di fronte alla necessità di consolidare e sviluppare relazioni con i paesi fornitori di gas, l’Italia dovrà tuttavia necessariamente evitare di creare una dipendenza strutturale come avvenuto nei confronti di Mosca.
La necessità di affrancarsi dal gas russo ha portato quindi l’Italia a cercare nuove alleanze con altri paesi fornitori di gas: in particolare, l’attenzione è oggi rivolta verso l’impiego del gas liquefatto. Il tutto in un contesto europeo nel quale ci si avvia verso il raggiungimento della climate neutrality e in cui, quindi, l’uso del gas dovrebbe tradursi in un rimedio di breve-medio termine, considerando che si tratta di un combustibile fossile, anche se meno impattante dal punto di vista ambientale rispetto ad altri combustibili fossili.
Chiara Vilardo
[…] in continuità, da questo punto di vista, con le scelte del precedente esecutivo. Esiste infatti un notevole vantaggio legato all’utilizzo del Gnl: trattandosi di gas liquefatto, esso occupa un volume 600 volte […]