Il conflitto che vede contrapposte Russia e Ucraina sta avendo un impatto diretto sull’intero continente europeo. Le ripercussioni sono molteplici e riguardano sia la sfera politica che quelle economica e strategica. A preoccupare l’Ue, in particolare, è il fattore energetico. Da Mosca arriva infatti circa il 45% del gas consumato dai paesi comunitari, che oggi devono dunque individuare fornitori alternativi nel tentativo di ridurre la propria dipendenza dal Cremlino.
In questo contesto di ridefinizione delle “alleanze energetiche” un ruolo importante è ricoperto dai paesi del continente africano. Algeria, Angola e Congo, solo per citarne alcuni, hanno dato subito la propria disponibilità ad aumentare le quantità di gas diretto verso il Vecchio Continente. Un’apertura che non dovrebbe stupire: nel nuovo contesto globale stravolto dalla guerra, il rafforzamento della partnership tra stati europei ed africani è infatti nell’interesse tanto dei primi quanto dei secondi. L’Europa, in primo luogo, avrebbe a disposizione un ulteriore “salvagente energetico” – oltre a quello offerto Stati Uniti, Medio Oriente e Asia Centrale – a cui appoggiarsi nell’ipotesi di un’interruzione dei flussi di gas provenienti da Mosca. In secondo luogo, potrebbe servirsi della cooperazione energetica per aumentare il proprio peso geopolitico in Africa. Questo aspetto non è affatto trascurabile: ai paesi europei interessa infatti rafforzare il proprio ruolo a Sud del Mediterraneo anche per contrastare le mire espansionistiche di Cina e Russia, che già da tempo offrono al continente africano aiuti rispettivamente di carattere economico e militare per allargare le proprie sfere di influenza. Gli stati africani, dal canto loro, potrebbero servirsi degli investimenti europei per implementare le proprie infrastrutture energetiche ed aumentare il potenziale di esportazione, con conseguenti vantaggi in termini economici. Un aspetto da non sottovalutare dal momento che la crisi russo-ucraina sta avendo ripercussioni particolarmente negative sulle economie africane.
A modellare la partnership tra Europa ed Africa, tuttavia, non è la sola “convenienza economica”. In gioco vi sono anche fattori politici, storici e strategici, come dimostrato dalla disputa energetica che negli ultimi mesi ha visto contrapposte Spagna e Algeria.
Le recenti tensioni tra i due paesi sono riconducibili alla delicata questione del Sahara occidentale, ex colonia spagnola attualmente divisa in due parti. La prima, pari all’80% del territorio, è annessa al Marocco dal 1975; la seconda, pari al restante 20%, corrisponde alla Repubblica araba democratica dei Sahrawi (Rasd) ed è governata dal movimento indipendentista del Fronte Polisario. Sebbene i due territori siano separati da un muro che si estende per 2.720 chilometri, il Marocco mira ad annettere anche la Repubblica dei Saharawi per soddisfare due esigenze: avere accesso alla totalità delle risorse naturali di cui il Sahara occidentale è ricco (fosfati in particolare) ed assicurarsi un collegamento diretto con la Mauritania, paese con cui Rabat intrattiene solidi rapporti. Il Fronte Polisario, tuttavia, non riconosce l’autorità marocchina e si batte per preservare la propria autonomia. Una controversia che ha finito per coinvolgere anche l’Algeria, che sostiene la causa dei Saharawi in funzione del contenimento di una potenza concorrente come il Marocco.
In questa cornice la Spagna, ex madrepatria del territorio conteso, ha sempre mantenuto una posizione neutrale per preservare le relazioni con l’Algeria e non incrinare quelle – più altalenanti – con il Marocco. A marzo, tuttavia, si è verificato un inaspettato cambio di rotta: il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha comunicato al re Muhammad VI di sostenere il piano per il Sahara occidentale proposto da Rabat nel 2007, in base al quale l’intero territorio, pur mantenendo la propria autonomia, dovrebbe essere posto sotto la sovranità marocchina.
Una svolta finalizzata a risanare le relazioni tra i due paesi (spesso in crisi per questioni legate ai flussi migratori e alle enclavi di Ceuta e Melilla) ma che ha suscitato l’immediata reazione di Algeri, decisa a tutelare l’indipendenza del Fronte Polisario. Dopo aver richiamato il proprio ambasciatore a Madrid, il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha scelto di manifestare il proprio dissenso ricorrendo all’arma del gas, che la Spagna importa dalla repubblica nordafricana attraverso il gasdotto Maghreb-Europe. Come dichiarato da Tewfiq Hakkar, numero uno della società petrolifera algerina a guida statale Sonatrach, presto l’Algeria rivedrà al rialzo i prezzi del gas diretto verso la Spagna. Si tratta di una soluzione prevista dal contratto di fornitura, le cui clausole consentono una revisione degli accordi di vendita ogni due anni, ma che va in netto contrasto con il trattamento riservato ad altri paesi, i cui contratti sono rimasti inalterati nonostante l’aumento globale dei prezzi di gas e petrolio.
Sebbene Madrid abbia cercato più volte, nelle ultime settimane, di smorzare la tensione definendo l’Algeria un “partner affidabile”, le evoluzioni più recenti sembrano rendere sempre più concreta la prospettiva di una crisi. Nelle ultime ore è infatti arrivata, da parte della presidenza algerina, la sospensione del Trattato di amicizia, buon vicinato e cooperazione firmato con la Spagna nel 2002. La relazione tra Algeri e Madrid sembra dunque destinata ad incrinarsi ulteriormente. Ciò accade, per altro, in un periodo storico particolarmente delicato: per quanto infatti la dipendenza della Spagna dal gas russo sia residuale (Mosca copre appena l’8% del fabbisogno energetico spagnolo), l’ipotesi di una compromissione anche della partnership energetica con l’Algeria potrebbe mettere Madrid in seria difficoltà. Una prospettiva che ha già suscitato il malcontento sia della popolazione spagnola, preoccupata dall’incremento dei prezzi dell’elettricità, sia dei partiti di opposizione, che ritengono sfumata l’opportunità di trasformare la Spagna nel principale hub di distribuzione del gas algerino in Europa.
Mentre l’asse iberico-algerino si indebolisce, i rapporti tra Algeria e Italia sembrano invece prendere un nuovo slancio. La cooperazione energetica tra i due paesi è sempre stata particolarmente solida: si pensi, a tale proposito, che l’Algeria copre il 30% delle importazioni italiane di gas (collocandosi immediatamente dietro alla Russia, che ne copre il 40%). Da quando Roma ha scelto di allinearsi alla politica sanzionatoria ai danni del Cremlino, tuttavia, l’importanza del gas algerino è aumentata ulteriormente. L’ipotesi di un’interruzione delle forniture da parte di Mosca è infatti sempre più reale e, se anche ciò non dovesse accadere, l’Italia intende comunque consolidare partnership alternative nell’ottica di una maggiore sicurezza energetica. Si collocano in questa cornice le recenti visite del ministro degli esteri Di Maio e del premier Mario Draghi – insieme a Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni – ad Algeri. L’obiettivo era quello di concordare un aumento dei flussi di gas convogliati da Algeri a Roma attraverso il gasdotto Trans-Mediterranean: la Sonatrach ha infatti accettato di incrementare le forniture di 9 miliardi di metri cubi (bcm) l’anno, passando dai 21 bcm attuali a 30. Al centro delle trattative anche il Gnl, che l’Algeria potrebbe trattare nei due impianti di liquefazione di Oran e Skidka (rispettivamente nel Nord-Ovest e Nord-Est del paese) per poi trasportarlo verso le coste italiane. Il problema, in questo caso, è che ad oggi l’Italia dispone di tre soli rigassificatori a Livorno, Panigaglia e Rovigo, e non è dunque attrezzata a trattare grandi quantità di gas liquefatto.
In continuità con le visite istituzionali di Draghi e Di Maio, a fine maggio il presidente algerino Tebboune si è recato a propria volta in Italia per consolidare ulteriormente la partnership italo-algerina. Protagonista dei colloqui è stata nuovamente l’energia: i giganti Eni e Sonatrach hanno siglato un memorandum per lo sviluppo di campi a gas e a idrogeno verde nel paese nordafricano, a dimostrazione della disponibilità di Roma a supportare Algeri nel processo di transizione ecologica.
L’Algeria rappresenta dunque un valido interlocutore nel processo di diversificazione energetica italiano. Tuttavia, come nel caso della Spagna, anche la partnership italo-algerina non è del tutto priva di ostacoli. In primo luogo, come evidenziato dal Ministero dello sviluppo economico italiano, la quantità di gas che transita attraverso il Trans-Mediterranean varia considerevolmente di anno in anno a seconda della disponibilità della risorsa. Nel 2015 e 2019, ad esempio, i volumi convogliati attraverso il gasdotto sono stati nettamente inferiori rispetto a quelli pattuiti. In secondo luogo, la domanda di gas nella stessa Algeria sta crescendo in modo esponenziale; questo, verosimilmente, potrebbe ridurne le quantità destinate all’esportazione. Un’ultima riflessione, infine, non può che riguardare il fattore politico: il paese nordafricano è infatti fortemente instabile, pertanto una paralisi delle forniture legata a dinamiche interne è un’eventualità che va tenuta in considerazione.
Il caso della Spagna dimostra come l’andamento delle relazioni energetiche tra paesi africani ed europei sia fortemente influenzato da fattori storici, politici e strategici. Il caso italiano, per contro, è la riprova di quanto le risorse nordafricane possano essere utili in momenti di particolare incertezza ed instabilità. Trovare un compromesso tra interessi energetici e dinamiche geopolitiche diventerà, pertanto, sempre più essenziale: il continente africano, infatti, è ormai un tassello fondamentale nel quadro della sicurezza energetica europea.
Carlotta Maiuri