L’accordo firmato a Washington il 13 agosto 2020 dall’allora Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e dai ministri degli esteri di Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed Al Nahyan, e Bahrein, Abdullatif bin Rashid Al Zayani, ha segnato un’evoluzione storica delle relazioni diplomatiche nell’area mediorientale. L’abile lavoro politico dell’amministrazione Trump aveva come obiettivo la fine dell’isolamento di Israele con il mondo arabo. In altre parole, gli Accordi di Abramo hanno avuto la funzione, da una parte, di permettere a Tel Aviv di allacciare relazioni politiche ed economiche con i nuovi partner arabi e, dall’altra, di rafforzare la posizione israeliana – ma anche dei paesi arabi coinvolti – contro i nemici storici di Teheran.
Come detto, il lavoro diplomatico americano ha coinvolto alcuni paesi della regione, tra questi anche il Regno del Marocco. Il 10 dicembre 2020 il presidente statunitense Donald Trump annunciava al mondo la normalizzazione dei rapporti politici tra Tel Aviv e Rabat attraverso Twitter: “Another HISTORIC breakthrough today! Our two GREAT friends Israel and the Kingdom of Morocco have agreed to full diplomatic relations – a massive breakthrough for peace in the Middle East!”. La firma dei nuovi accordi tra i due paesi non è arrivata improvvisamente. Nel 1993 Israele e Marocco hanno aperto reciprocamente un canale diplomatico attraverso uffici rappresentativi a Rabat e Tel Aviv, poi chiusi su iniziativa marocchina nel 2000 dopo l’esplosione della seconda Intifada palestinese. La decisione di Rabat di aderire a questi Accordi è legata strettamente all’apertura politica di Washington sul Sahara Occidentale. Il riconoscimento da parte dell’amministrazione americana della sovranità del Marocco su questa fetta di territorio è stata ritenuta da Rabat un successo diplomatico senza precedenti.
La ripresa delle relazioni tra i Israele e Marocco nell’inverno del 2020 ha incluso la firma su un primo pacchetto di accordi. Simbolicamente, l’inaugurazione dei collegamenti aerei suggellava questo storico riconoscimento diplomatico. Gli accordi ad oggi siglati tra Tel Aviv e Rabat rientrano nei settori digitale, agroalimentare, automobilistico ed aeronautico, energie rinnovabili e industria farmaceutica. Nell’ultimo decennio entrambi hanno investito molto nello sviluppo di questi settori, diventando molto competitivi sui mercati internazionali. La scelta di cooperare è atta ad uno scambio d’expertise proprio in questi domini.
La cooperazione ha riguardato anche l’ambito militare, e l’intesa siglata tra il novembre 2021 e il marzo 2022 ha avvicinato ulteriormente i due nuovi partner. Il Regno si è impegnato nell’acquisto di sistemi d’arma ad alta tecnologia israeliana. In tal senso, la firma dell’accordo militare del 24 novembre 2021 ha definito il quadro della cooperazione in materia di difesa, con l’acquisto di sistemi d’arma, formazione e sviluppo congiunto delle industrie militari di entrambi i paesi.
Tuttavia, l’approccio realista della politica marocchina non nasconde le ambiguità di questa storica apertura. Il Marocco attraverso i suoi regnanti in questi ultimi decenni è stato un alleato fedele nel sostenere la causa palestinese. Attingendo ad un passato remoto, già dalle crociate o guerre dei Franchi (così chiamate dagli arabi), i popoli del Maghreb sono stati strenui difensori della città sacra e tanto cara anche ai musulmani. Difatti a loro è dedicata una delle entrate a Gerusalemme chiamata appunto bab al-Maghareba (porta dei maghrebini). Il legame stretto tra il Marocco e la Palestina è sempre stato evidente. Lo stesso Re Mohammad VI presiede il Comitato Al-Qods, creato dall’Organizzazione per la cooperazione islamica per l’apertura e la prevenzione del patrimonio religioso, culturale ed urbanistico della città Santa. Il ruolo della casa regnante in questi decenni è stato importante per la difesa dei diritti del popolo palestinese. Questo è stato riconosciuto e sottolineato anche dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, nonostante la notizia sull’apertura del Marocco verso Israele.
Da una prospettiva interna, la normalizzazione diplomatica tra i due paesi ha complicato la posizione dell’allora Primo Ministro marocchino Saad-Eddine Al-Othmani, che in più passaggi non ha nascosto la propria opposizione all’iniziativa. Il governo guidato dalla maggioranza islamista del partito Justice et Développement (PJD), assieme agli altri partiti che formavano il parlamento, hanno appreso la decisione del Re Mohammad VI solo attraverso l’agenzia di stampa officiale MAP. Tale scelta, oltre ad essere inaspettata, ha messo in difficoltà il governo e soprattutto il PJD, che attraverso il suo segretario aveva precedentemente dichiarato la propria opposizione al riconoscimento dello Stato ebraico. Dal 2012 il governo guidato dal PJD in più riprese aveva affermato la propria condanna alle politiche di Tel Aviv nei territori palestinesi. Il 23 agosto 2019 l’allora segretario del partito islamista e capo del governo Saad-Eddine Al-Othmani esprimeva la posizione del proprio partito affermando il rifiuto di “qualsiasi normalizzazione con l’entità sionista perché incoraggerebbe Israele ad andare oltre nella violazione dei diritti del popolo palestinese”.
Nella fase successiva, tuttavia, il Primo Ministro è stato “costretto” ad accettare la direzione intrapresa dal Re, definendo l’apertura verso Israele come parte di una nuova fase della politica estera marocchina, che non mette in discussione l’impegno del sovrano per la causa palestinese. Ad ogni modo, questo dibattito non ha avuto il tempo e il modo per svilupparsi. Il ruolo centrale della monarchia nella presa di tale decisione ha svuotato di senso ogni possibile opposizione interna.
Se il governo si è trovato di fronte ad una scelta presa (la politica estera è materia esclusiva del sovrano), anche la società civile è rimasta sorpresa da questo nuovo orientamento politico del paese. Le più importanti ong ed associazioni per i diritti umani hanno denunciato questa apertura nei confronti dello Stato ebraico come un tradimento della causa palestinese. Associazioni come BDS-Maroc, che negli anni hanno sempre denunciato le politiche israeliane nei territori palestinesi, hanno condannato questo accordo. Nei giorni a seguire si sono tenute anche alcune manifestazioni nelle città più importanti, come a Fez, Marrakech e Casablanca. Queste, tuttavia, non hanno avuto una grande partecipazione e sono state velocemente disperse dalle forze dell’ordine.
I media del paese dalla ratifica degli accordi di Abramo hanno svolto un importate lavoro di approfondimenti sulla storia culturale sugli ebrei marocchini. Nel 1948 con la nascita dello Stato d’Israele una parte maggioritaria della comunità ebraica marocchina si è recata nel nuovo paese. Gli ebrei marocchini ancora residenti nel Regno oggi non arrivano a 10.000, distribuiti nelle città più importanti come Fez, Casablanca ed Agadir. In passato gli ebrei marocchini ricoprivano il 10% dell’intera popolazione del Regno. Viceversa, la comunità ebraica di origine marocchina in Israele, conta oltre un milione di cittadini, circa un ottavo della popolazione dello Stato ebraico. Il lavoro fatto dai media in questi due anni è stato fondamentale per riallacciare quella parte dell’identità del paese con la propria storia. Una nuova narrazione era necessaria per destrutturare decenni di astio verso Tel Aviv in modo da rendere la normalizzazione dei rapporti meno dolorosa possibile, senza tuttavia perdere di vista la causa palestinese.
Il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte del Regno porta la politica estera marocchina in una nuova fase della propria storia. Gli Accordi devono essere letti come la continuazione dell’apertura di Rabat verso la comunità internazionale, con una politica estera che vede la questione del Sahara Occidentale ancora un elemento centrale da cui sviluppare le varie direttrici.
In questi ultimi anni la politica estera marocchina è stata tesa ad incrementare le proprie relazioni internazionali. La riammissione come membro dell’Unione africana nel 2017, la firma di molteplici accordi politici ed economici con i paesi africani, le più strette relazioni con la Cina (per un approfondimento delle relazioni tra Marocco e Cina si rimanda all’ultimo Dossier pubblicato da OSMED), il consolidamento della propria partnership con l’Ue e i suoi paesi membri sono la carta di tornasole delle nuove ambizioni del Regno e del ruolo che intende giocare nella regione. In questo cambio di rotta, le scelte politiche ambigue sono state diverse. Su tutte, la questione palestinese: per il valore politico, simbolico e religioso che ha assunto in questi decenni, l’accordo con Israele non poteva passare in sordina.
Mohamed El-Khaddar
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