I Balcani sono noti per essere un variegato mosaico etnico, linguistico e religioso. La convivenza tra differenti aspetti culturali e identitari pone tuttavia sfide molto delicate. Il Kosovo – con la sua maggioranza albanese dal punto di vista etnico e musulmana sotto il profilo religioso, e con la sua rilevante minoranza serba e cristiano-ortodossa – rappresenta un microcosmo di questo difficile processo secolare di relazioni interetniche e interreligiose, un processo segnato da momenti di crisi e tentativi di riconciliazione.
L’islam fu introdotto in Kosovo sulla scia dell’espansione dell’Impero ottomano tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo: tale evento favorì conversioni spesso dettate da espedienti di natura pratica che poco avevano a che fare con aspetti meramente spirituali. In particolare, ai convertiti furono concessi importanti vantaggi come incarichi pubblici, politici e benefici di tipo economico. Grazie a questi strumenti la diffusione dell’islam avvenne velocemente e in modo tendenzialmente pacifico. Un altro fattore da tenere in considerazione è l’origine albanese di molti kosovari. La contrapposizione in Kosovo tra serbi e albanesi ha infatti sempre avuto una connotazione di tipo religioso in quanto la conversione alla religione islamica rappresenta, secondo la narrazione albanese, l’epilogo di un processo di “liberazione” dalle ingerenze serbe.
L’espansione dell’islam seguì dunque la penetrazione turca nella regione e le vicissitudini storiche ad essa correlate. Nel corso del XIX secolo i serbi si ribellarono alla dominazione ottomana ottenendo l’indipendenza, mentre altre regioni dei Balcani rimasero fino alla Prima guerra mondiale delle aree di competizione e conquista per gli imperi europei – in particolare per l’Impero ottomano, l’Austria-Ungheria e la Russia.
Dopo la prima Guerra balcanica del 1912 – che portò di fatto all’espulsione degli ottomani dai Balcani – il Kosovo fu annesso alla Serbia ed entrò a far parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nel 1918. Con la fine della Prima guerra mondiale e la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, i territori jugoslavi andarono infatti a formare il nuovo Regno. Nel 1941 il Kosovo passò all’Albania, per poi tornare alla Serbia, come regione autonoma, alla fine della Seconda guerra mondiale a seguito della vittoria di Tito e all’instaurazione di un regime comunista e uno Stato federale in Jugoslavia.
Questo assetto è rimasto invariato fino al 2008, anno in cui il Kosovo ha proclamato la sua indipendenza, come conseguenza di un crescente contrasto tra i due gruppi etnici principali: serbi e albanesi (gli albanesi costituiscono, anche attualmente, la maggioranza della popolazione). I rapporti tra Belgrado e il Kosovo iniziarono a precipitare con l’ascesa al potere di Slobodan Milošević in Jugoslavia e raggiunsero un punto critico alla fine degli anni Novanta, sfociando in una crisi che portò nel 1999 a un intervento militare Nato e alla creazione di un’amministrazione internazionale per il Kosovo. Per circa un decennio, il Kosovo ha formalmente mantenuto lo status di regione autonoma nella rinominata Repubblica federale di Serbia e Montenegro. In questo contesto di continue tensioni, il 17 febbraio 2008 il Parlamento del Kosovo ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza, che è stata nel tempo riconosciuta da 74 stati (con l’esclusione di Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia, Romania tra i paesi dell’Ue e la dichiarata opposizione di paesi quali Russia, Cina, India e Brasile). La Serbia non ha mai accettato tale secessione, nonostante alcuni tentativi di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado che interessano in particolare la sfera economica.
Attualmente la maggioranza della popolazione kosovara – il 90-95% – è musulmana (albanesi, bosgnacchi, gorani e turchi). I serbi, invece, sono per la quasi totalità cristiani ortodossi e rappresentano circa il 3%. Questi dati, però, potrebbero essere poco affidabili. L’ultimo censimento risale infatti al 2011. Al di là dell’attuale necessità di un aggiornamento, i risultati sono stati contestati per una serie di ragioni. Innanzitutto, la maggioranza della popolazione serba sembra essersi auto-esclusa dal conteggio, avendo boicottato il censimento. Un altro motivo risiede nell’incoerenza dei dati rilevati: il numero dei residenti censiti, infatti, è quasi uguale a quello degli elettori, dato probabilmente errato se si considera che un numero rilevante della popolazione è sotto i 18 anni di età e quindi non può ancora votare. Un nuovo censimento era stato previsto per il 2021 ma è stato posticipato al 2022, ufficialmente a causa della pandemia di Covid-19. Il suo svolgimento ha una grande valenza politica visto il timore che il risultato possa alterare un delicato sistema di pesi e contrappesi che tenta di bilanciare i rapporti tra le varie comunità etnico-religiose del paese.
Secondo le ultime statistiche, quindi, la maggioranza della popolazione professa la religione islamica. Si tratta per lo più di musulmani hanefiti, una delle quattro scuole coraniche sunnite. Quest’ultima è meno ancorata alle interpretazioni letterali dei testi sacri rispetto al wahhabismo, anch’esso diffuso nella regione, ma più incline a interpretare il Corano in modo più rigido.
Nonostante la predominanza della religione musulmana, il Kosovo si definisce nella sua costituzione come uno Stato laico. Nella costituzione si dichiara – agli articoli 1 e 2 – che la Repubblica del Kosovo è lo Stato di tutti i suoi cittadini, indistintamente. Nonostante nel testo si parli anche di maggioranze e minoranze, la costituzione rappresenta il tentativo di trattare la popolazione prescindendo dalle diverse appartenenze etniche e religiose. Questa scelta è stata dettata dalla necessità di evitare tensioni – e scontri – soprattutto con i serbi kosovari
La realizzazione di questo impegno resta tuttavia incompleta. Attualmente i serbi vivono infatti per lo più solo nel nord del paese. Anche la situazione dei cittadini kosovari di etnia bosniaca non è semplice, e la guerra del 1999 ha causato una riduzione della loro presenza. Ci sono inoltre delle minoranze rom ed ashkali, una popolazione musulmana che intorno al IV secolo d.C. lasciò la Persia per l’Europa, insediandosi soprattutto nei Balcani. Questi tre gruppi sono considerati ufficialmente come una singola comunità e rappresentati sulla bandiera del paese con un’unica stella. Tale assimilazione non è tuttavia pienamente condivisa dagli appartenenti a queste minoranze, ed è spesso ritenuta forzata a causa di differenze di tipo religioso e linguistico. C’è infine la comunità dei gorani, comunità musulmana presente nella regione della Gora, nel sud del paese.
Per i serbi il Kosovo ha un grande valore simbolico: è questa una delle ragioni che spiegano le attuali tensioni circa lo status internazionale del paese. L’attuale Kosovo fu infatti il teatro della battaglia della Piana dei Merli del 1389, dove i serbi furono sconfitti dai turchi ottomani. Questo episodio ha ancora effetti significativi nell’immaginario collettivo serbo, e investe sia la sfera religiosa che quella identitaria. La decisione di non inserire all’interno della costituzione la religione musulmana come religione di Stato, nonostante la sua antica presenza nel territorio e la sua capillare diffusione, rappresenta un tentativo di compromesso che si scontra con una realtà fragile e precaria.
Chiara Vilardo