Lo scorso 17 dicembre in Tunisia si sono svolte le elezioni legislative. Secondo l’Instance Supérieure Indépendante pour les Élections, il tasso di affluenza alle urne ha registrato l’11,2%. La vittoria dell’astensionismo ha fatto sprofondare il paese in un’incertezza politica che necessiterà di qualche mese per essere risolta. Immediata la reazione dell’opposizione, raggruppata nel Fronte di salvezza nazionale, che ha chiesto le immediate dimissioni dell’ex professore di diritto costituzionale ed elezioni presidenziali anticipate. Viceversa, secondo i sostenitori del presidente, la scarsa affluenza andrebbe giustificata dalla nuova legge elettorale e dalla lotta avviata da Kaïs Saïed contro la corruzione, in altre parole: meno denaro per corrompere gli elettori, meno elettori.
Gli elettori tunisini sono stati chiamati a votare per eleggere i membri della camera bassa del parlamento, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp). Le ultime elezioni legislative si sono svolte nel 2019, ma i membri non hanno potuto completare il loro mandato quinquennale dopo la scelta del presidente di sciogliere il parlamento. In base alla nuova Costituzione, la Tunisia ha ora un parlamento bicamerale. La camera alta, l’Assemblea nazionale delle regioni e dei distretti (Nard), sarà eletta indirettamente in una data ancora da definire. I membri della Nard saranno designati dai consigli regionali eletti direttamente. L’Arp è composto invece da 161 deputati (rispetto ai 217 del precedente sistema), eletti direttamente per un mandato quinquennale, di cui 10 deputati in rappresentanza dei tunisini residenti all’estero. I risultati ufficiali delle elezioni saranno annunciati il prossimo 19 gennaio. La prima riunione dovrebbe essere convocata dal presidente entro marzo del 2023. Fino ad allora, salvo eventi di considerevole importanza, non dovrebbero esserci forti cambiamenti.
Dopo aver sospeso il parlamento, sciolto il governo ed esautorato qualsiasi forma di contropotere nel luglio dello scorso anno, Saïed ha introdotto una nuova Costituzione, riducendo notevolmente l’importanza dei partiti politici all’interno del sistema, definendoli come “nemici del popolo”. Particolare attenzione è stata dedicata al principale partito presente nel paese, Ennahda. Quest’ultimo ha guidato la Tunisia nella sua fase post-rivoluzione e nel corso del tempo la sua incapacità di dare risposte alle sfide sociale ed economiche è stata additata come una delle cause principali dell’attuale crisi in cui versa il paese. La sfida tra islamisti e laici è stata tra i fattori che hanno dato vita allo stallo politico che è sfociato negli eventi dell’ultimo anno. La risoluzione di questo conflitto ha richiesto difficili compromessi nel recente passato che sono stati successivamente sanciti dalla Costituzione del 2014. Tuttavia, anche se ha conferito ampi poteri a un’Assemblea legislativa eletta, la Carta ha anche riservato responsabilità importanti alla presidenza, che in precedenza era stata l’unica istituzione di governo. Questo sistema ibrido alla fine ha prodotto tensioni quasi costanti tra presidenti e primi ministri. All’inizio, all’enfasi post-rivoluzionaria sul consenso politico e sul compromesso è stato attribuito il merito di mantenere la pace sociale e di facilitare la transizione dall’autoritarismo. Negli ultimi anni, tuttavia, il consenso è diventato una forza paralizzante, rendendo la maggior parte dei partiti politici deboli, altamente personalizzati e incapaci di prendere decisioni politiche coraggiose. Proprio contro i partiti l’attuale presidente ha lanciato la sua sfida. Al posto di questi – colpevoli dell’economia in declino e della forte disoccupazione, secondo i sostenitori dell’attuale presidenza –, Saïed ha incoraggiato gli individui a candidarsi indipendentemente promuovendo programmi in favore delle loro stesse comunità. Il risultato è stato di 1.055 candidati (di cui 173 donne) per 161 seggi e una forte incertezza per coloro che avrebbero dovuto esprimere la propria scelta. La nuova legge elettorale prevede elezioni dirette attraverso un sistema maggioritario a doppio turno. Ciò fa seguito agli emendamenti alla legge elettorale del 2014 emanati lo scorso settembre che hanno cambiato il sistema. Inoltre, con la rivisitata legge elettorale non è stata incoraggiata la rappresentanza delle donne e delle minoranze: è stato eliminato l’obbligo di alternare candidati uomini e donne nella lista e di includere candidati sotto i 35 anni e persone con disabilità.
Ma qualsiasi sia la spiegazione del perché quasi il 90% dei tunisini ha preferito non esprimere la propria preferenza politica, resta il fatto che ad oggi ci sono fasce della popolazione che non credono più nella politica e nel fatto che un nuovo governo possa garantire condizioni di vita migliori di quelle attuali. Un forte astensionismo che era stato già protagonista nel voto del 25 luglio scorso – quello sull’approvazione della riforma costituzionale – quando si era attestato a circa il 70% degli aventi di diritto. Un dato che, oltre a confermare quanto già detto, aggiunge un altro elemento, ossia che la silenziosa opposizione a Kaïs Saïed preferisce delegittimare l’attività politica del governo promuovendo un boicottaggio del voto piuttosto che esprimere il rifiuto attraverso le urne. D’altra parte, come espresso anche da altri osservatori, bisogna altresì sottolineare come il disinteresse e il rifiuto della politica non corrisponde per forza di cosa a una depoliticizzazione della società: sono diverse le associazioni locali, infatti, che promuovono attività e difesa dei diritti nonostante le politiche sempre più stringenti attuate negli ultimi anni.
Il vero decisore politico della Tunisia resterà quindi nel breve periodo Saïed, anche grazie alla nuova Costituzione che lo pone come unico arbitro del paese. Tuttavia, rispetto al passato, l’ex professore non potrà più vantare quella legittimità popolare che gli permetteva di giustificare le sue scelte. Il forte astensionismo, infatti, sembrerebbe indice di un rifiuto del progetto avviato dal presidente oltre un anno fa. Detto ciò, appare difficile per il momento immaginare che Saïed possa modificare il suo programma di marcia, nonostante l’incertezza che regna anche sul piano economico, sempre più in crisi. I suoi critici sostengono come il presidente non abbia un programma economico o sociale preciso per risolvere l’attuale crisi e stia semplicemente guadagnando tempo per rafforzare la sua posizione politica. Nonostante le continue rassicurazioni da parte del capo di Stato ai “paesi amici” preoccupati per l’evolversi degli eventi, le decisioni prese fino ad oggi non garantiscono quell’impegno a favore di una difesa dell’ordine democratico. A ciò si aggiunge il malcontento popolare che potrebbe sfociare in una nuova rivolta come quella del 2010-2011. Lo sconvolgimento dell’equilibrio di poteri locali che il presidente ha avviato in nome della lotta alla corruzione e al fine di permettere l’ascesa di suoi sostenitori e uomini fidati in determinate aree del paese sta inasprendo l’insoddisfazione dei tunisini.
Mario Savina