Negli ultimi anni, la Cina di Xi Jinping, segretario generale del Partito comunista cinese e presidente della Repubblica popolare cinese, sta lavorando sul palcoscenico internazionale per creare un’alternativa all’attuale ordine di sicurezza globale guidato dagli Stati Uniti. In tale contesto, appare chiaro come Pechino voglia essere considerata un attore in grado di svolgere un ruolo importante per la stabilità e la pace. Di più, l’obiettivo cinese sembra essere quello di risolvere le annose questioni che da anni creano non pochi pensieri a Washington e al mondo occidentale in generale. Evidentemente, tra queste, il conflitto israelo-palestinese assume un ruolo considerevole, sia a livello regionale che a livello globale. In tal senso, gli eventi che stanno interessando la regione dall’attacco di Hamas in territorio israeliano, il 7 ottobre scorso, hanno posto ancora più enfasi sulla posizione cinese sulla disputa in corso nell’area levantina.
Mentre tutto l’Occidente ha condannato gli attacchi dell’organizzazione palestinese come atti terroristici, la Cina è rimasta in silenzio per giorni. Nella prima dichiarazione rilasciata, il Ministero degli Esteri cinese ha invitato “le parti interessate a mantenere la calma, a dare prova di moderazione e a porre immediatamente fine alle ostilità per proteggere i civili ed evitare un ulteriore deterioramento della situazione”, aggiungendo ulteriori elementi in dichiarazione successive: “la Cina è sempre stata dalla parte dell’equità e della giustizia. Come amico sia di Israele che della Palestina, ciò che speriamo di vedere è che i due paesi vivano insieme in pace. La chiave per raggiungere questo obiettivo risiede nella realizzazione della soluzione a due Stati. La cosa più importante in questo momento è fermare i combattimenti il prima possibile, proteggere i civili ed evitare un’ulteriore escalation”.
Pechino supporta, pubblicamente, da decenni la causa palestinese. Il Dragone rosso è stato tra i primi paesi a riconoscere lo Stato di Palestina: il riconoscimento è datato 1988, con l’avvio delle piene relazioni diplomatiche a partire dall’anno successivo. Sebbene l’avvio di normali relazioni diplomatiche con lo Stato d’Israele risalga al 1992, il sostegno cinese nei confronti dei paesi arabi e della popolazione palestinese inizia già negli anni ’50 e ’60. Da allora, la posizione neutrale si è tinta sempre più di sfumature rosse, nere, bianche e verdi (i colori della bandiera palestinese). Per “giustificare” la tendenza verso il mondo arabo, Pechino sta investendo sempre più in Medio Oriente e, al contempo, sta cercando di rafforzare la sua influenza nella regione – sia per ragioni economiche che geostrategiche –, oltre a voler sfruttare lo slancio politico in seguito all’accordo tra Arabia Saudita e Iran di qualche mese fa. I motivi di tale interesse possono trovarsi nella ricerca di una necessaria stabilità regionale, considerata dalla Cina di vitale importanza, a cui si aggiungono importanti legami economici: Pechino ottiene infatti oltre il 40% delle sue importazioni di petrolio greggio dal Golfo e sta intensificando l’impegno economico con gli Stati arabi. Alla decima conferenza d’affari arabo-cinese che si è svolta lo scorso giugno, la Cina ha stipulato oltre 30 accordi di investimento per un valore di circa dieci miliardi di dollari, compreso un accordo da 5,6 miliardi di dollari con i sauditi per un’impresa comune di veicoli elettrici.
In tal senso, i palestinesi sono un pezzo del più ampio puzzle degli interessi cinesi nella regione, avendo l’Autorità nazionale palestinese (Anp) aderito al progetto di connettività firmato dalla Cina, la Belt and Road Initiative. I due partner hanno anche annunciato, durante la visita a Pechino nello scorso giugno di Mahmoud Abbas, presidente dell’Anp, la formazione di un comitato congiunto per “accelerare i negoziati sull’accordo di libero scambio Cina-Palestina”. Sebbene non si tratti di cifre astronomiche, negli ultimi 20 anni, le esportazioni cinesi verso la Palestina sono aumentate da 6,15 milioni di dollari, nel 2000, a 248 milioni di dollari, nel 2021. Gradualmente, la Cina – attraverso piccoli investimenti – cerca quindi di ricavarsi uno spazio nel delicato e ridotto mercato palestinese.
Al contrario, le relazioni economiche con Israele sono più solide. Nel 2013 lo Stato ebraico e la Repubblica popolare cinese hanno firmato un accordo di cooperazione infrastrutturale per permettere alle aziende cinesi in territorio israeliano di operare in un’ampia varietà di settori. Ancora, nel 2017 è stato siglato un nuovo partenariato innovativo globale per rafforzare le relazioni bilaterali. Da una prospettiva commerciale, Israele rappresenta per la Cina uno snodo importante per affacciarsi nel Mediterraneo: la gestione del porto di Haifa da parte della cinese Shanghai International Port Group è un evidente esempio della strategia cinese che mira all’interconnessione regionale. Allo stesso tempo, da un punto di vista politico-diplomatico, Israele assume un ruolo intermediario nelle più ampie relazioni tra Pechino e Washington. Tuttavia, se da un lato esiste un forte legame che unisce i due paesi, dall’altro alcune questioni rendono complicato il radicamento di una profonda amicizia. In primo luogo, i legami con gli Stati Uniti frenano Israele nell’approfondire ulteriormente quelli con la Cina. In secondo luogo, alcune relazioni cinesi con alcuni paesi della regione (vedi il caso iraniano) non sono molto gradite dallo Stato ebraico. Infine, alcune dichiarazioni cinesi sulla questione palestinese, così come la mancata condanna dei recenti attacchi, non sono piaciute all’élite politica israeliana. Detto ciò, i due paesi seguiranno ad avere ottime relazioni, almeno sul fronte economico.
Ciò che appare evidente, come detto inzialmente, è la volontà generale del presidente cinese di accrescere il suo prestigio come attore (e statista) globale e di costruire una visione della Cina quale player in grado di portare pace e stabilità, che – in parte – ricorda la logica alla base del piano di pace proposto per il conflitto tra Russia e Ucraina. Al contempo, altro obiettivo di Pechino è “addolcire” la copertura mediatica riservata alla questione della minoranza uigura musulmana in Cina, denunciata da tutti gli attivisti per i diritti umani e dai principali esponenti occidentali della comunità internazionale. Il Dragone rosso ha sempre difeso le sue politiche nello Xinjiang come un tentativo di contrastare l’estremismo interno. In tale contesto, mostrare solidarietà e sostegno alla causa palestinese – una questione di immensa importanza per l’intera comunità musulmana nel mondo – appare come un tentativo volto a distrarre l’opinione pubblica internazionale dalla sua politica interna.
In definitiva, man mano che la Cina acquista sempre più peso sul palcoscenico mondiale, il suo ruolo diventa sempre più importante anche in Medio Oriente. Questa importanza è vista attraverso la lente della competizione strategica in corso tra Cina e Stati Uniti. Washington è stato tradizionalmente il principale intermediario politico ed economico in Medio Oriente e ha avuto una profonda influenza sulle dinamiche della regione. La crescente presenza della Cina sfida questa egemonia e introduce una nuova dimensione nella già forte rivalità globale tra i due attori. A ciò si aggiunge la condivisa visione con la Russia di Vladimir Putin su alcune questioni chiave, tra cui la crisi a Gaza. Pechino e Mosca sembrano condividere la stessa posizione e starebbero lavorando congiuntamente al fine di raffreddare la situazione e mettere d’accordo le parti attraverso la soluzione dei due Stati. Il comune punto di vista è stato espresso pubblicamente dopo l’incontro in Qatar tra Zhai Jun, inviato speciale della Cina in Medio Oriente, e Mikhail Bogdanov, rappresentante speciale del presidente russo per il Medio Oriente e l’Africa. Zhai Jun ha confermato la volontà cinese di “fare tutto ciò che è favorevole per promuovere il dialogo, garantire un cessate il fuoco e ripristinare la pace” anche al summit per la pace organizzato dall’Egitto lo scorso 21 ottobre. Tuttavia, appare evidente come il sostegno alla soluzione a “due Stati” – sebbene in linea con le richieste della maggioranza della comunità internazionale e dei paesi arabi – potrebbe non essere apprezzato da Israele. Inoltre esistono molti dubbi sulla possibilità che la Cina sia disposta ad aumentare i propri sforzi per raggiungere una soluzione nel minor tempo possibile, così come pare non esista, ad oggi, una forte influenza cinese su Israele che possa giocare un ruolo decisivo. In caso contrario, ovvero riuscire nell’intento di portare al tavolo delle trattative israeliani e palestinesi, l’evento politico sarà da considerarsi uno scaccomatto alla partita con gli Stati Uniti e un’ulteriore perdita di influenza per questi ultimi nella regione mediorientale.
Mario Savina