La persistente instabilità del mercato energetico libico, che dura ormai da un decennio, non è solo una sfida politica ed economica per il paese. Al contrario, genera effetti a lungo termine anche sul mercato internazionale dell’oil&gas, mettendo in particolare a rischio la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Italia, il principale importatore degli idrocarburi libici.
Intanto, per comprendere la rilevanza di questa instabilità per l’economia e la politica libica è importante sottolineare come il settore oil&gas sia il più altamente strategico per la bilancia statale libica, rappresentando il 97% delle entrate del paese. Tale dipendenza rende l’economia libica estremamente vulnerabile a qualsiasi shock che possa compromettere la produzione o l’esportazione di idrocarburi, poiché i ricavi derivanti dal loro commercio rappresentano la principale fonte di finanziamento per la maggior parte delle spese pubbliche.
Settimo produttore dell’Opec (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) e terzo maggiore produttore di petrolio – oltre a essere il quinto per la produzione di gas – in Africa, la Libia vive da tredici anni una profonda instabilità politica che ha avuto ripercussioni su vari settori commerciali, tra cui quello energetico.
Infatti, è dal 2011, anno della caduta del regime di Gheddafi, che il paese è precipitato in un quadro di instabilità politica e conflitti interni, diventando uno dei contesti più complessi e frammentati del panorama regionale. Questa frammentazione ha generato conseguenze drammatiche, non solo per la popolazione civile, ma anche per la gestione del principale pilastro strategico dell’economia nazionale. L’energia, infatti, si è trasformata in uno strumento chiave di pressione politica nelle dispute tra le diverse fazioni in conflitto. Ad esempio, proprio nel 2011[1] , sono state danneggiate due delle strutture nevralgiche più importanti per l’esportazione di gas naturale verso l’Ue: il terminal di Mellitah e di Marsa El Brega. Il primo è il punto di partenza del Greenstream, gasdotto di collegamento tra le coste libiche e quelle italiane; mentre, il secondo è il sito dove si trovava l’unico terminale di liquefazione del paese – atto a commercializzare gas naturale liquefatto (gnl) all’estero, in particolare verso l’Italia e l’Ue, i principali mercati di importazione della risorsa.
Il quadro si è ulteriormente complicato nel 2014, quando si sono formate due coalizioni politico-militari rivali: il Governo di accordo nazionale (Gna), con sede a Tripoli, e la Camera dei rappresentanti (Hor), con sede a Tobruk, che si è alleata con l’Esercito nazionale libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar e che ha il suo centro del potere a Bengasi. Questi gruppi si sono contesi il controllo delle risorse energetiche, trasformandole in un terreno di scontro strategico e alimentando ulteriormente le tensioni interne al paese. Nello specifico, durante la guerra civile, ci sono stati molti attacchi e sabotaggi alle infrastrutture energetiche, soprattutto nella regione della Sirte – situata a circa metà strada tra Tripoli (a ovest) e Bengasi (a est).
Questo trend è continuato a peggiorare anche nel 2020, anno in cui Haftar ha imposto un blocco alle infrastrutture petrolifere del paese, nel tentativo di strappare concessioni politiche ed economiche al governo centrale di Tripoli. Tuttavia, questo ha intensificato la pressione internazionale per trovare una soluzione alla crisi politica. Ragion per cui le fazioni arrivano, nell’ottobre dello stesso anno, a firmare una tregua “relativa”.
“Relativa” tregua perché l’accordo di cessate il fuoco tra il Gna e Lna ha sì portato alla formazione nel marzo 2021 del Governo di unità nazionale (Gun), guidato da Abdul Hamid Dbeibah, incaricato di organizzare elezioni. Tuttavia, le divergenze sulle leggi elettorali e sui candidati hanno determinato un rinvio indefinito delle elezioni, bloccando così il processo di risoluzione del conflitto. Infatti, solo un anno dopo, nel 2022, la situazione politica si complica ulteriormente nel momento in cui la Camera dei Rappresentanti istituisce un governo parallelo, nominando Fathi Bashagha come nuovo primo ministro, mentre Dbeibah si rifiuta di lasciare l’incarico. Per superare lo stallo politico, le fazioni dell’est impongono un nuovo blocco petrolifero per indebolire il Gun e ottenere maggiori concessioni politiche. Tuttavia, il blocco viene sospeso pochi mesi dopo, quando Dbeibah e Haftar trovano un accordo che porta a cambiamenti importanti ai vertici della compagnia petrolifera nazionale libica, la National oil corporation (Noc). La nomina di Farhat Bengdara come nuovo presidente dell’ente petrolifero ha segnato un passo importante nel tentativo di bilanciare le influenze regionali e politiche nel settore. Nonostante ciò, il governo libico è rimasto profondamente diviso, continuando così ad influenzare negativamente l’andamento del settore oil&gas fino ad oggi.
Non sorprende, quindi, che nel 2024 ci sia stata una nuova crisi energetica in Libia e che essa sia riconducibile a una questione prettamente politica che in questo caso è legata a Saddam Haftar, figlio del generale Haftar. Le autorità spagnole avevano emesso un “avviso di sorveglianza” a livello europeo nei suoi confronti, a causa di un suo presunto coinvolgimento nel traffico di armi. Questo meccanismo richiede agli Stati membri di effettuare controlli scrupolosi sui documenti e di monitorare i movimenti, senza però procedere all’arresto. Tuttavia, secondo quanto riportato dal Libya Observer, ad agosto, mentre Saddam tornava da un viaggio in Italia, gli sarebbe stato notificato invece dalle autorità italiane un possibile mandato di cattura nei suoi confronti. In risposta a ciò, il probabile successore di Haftar avrebbe così deciso, come rappresaglia, di sospendere le attività del giacimento petrolifero di El Sharara, il più grande della Libia, e gestito proprio da una compagnia spagnola, Repsol – che infatti ha subito un danno economico significativo.
In aggiunta a ciò, ad agosto, il settore dell’oil&gas libico ha subito un’ulteriore battuta d’arresto a causa della disputa per il controllo della Banca centrale libica (Bcl). La decisione unilaterale da parte del Consiglio presidenziale, supportata anche dal Gun, di rimuovere il governatore di lunga data, Sadiq al-Kabir, accusato di aver tentato di imporre maggiori restrizioni fiscali, ha avuto come conseguenza una dura risposta della fazione orientale. Quest’ultima ha reagito proclamando lo stato di forza maggiore e ordinando la sospensione della produzione in tutti i giacimenti e porti petroliferi nel sud-est del paese, provocando così un crollo drastico della produzione di greggio. Il blocco è stato reso possibile dal fatto che oltre il 90% delle infrastrutture petrolifere si trovano proprio nell’area sotto il controllo del Lna. Dopo oltre un mese di stallo, alla fine di settembre, grazie alla mediazione di Stephanie Khoury – capo ad interim della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) e Vice rappresentante speciale del Segretario Generale per gli affari politici – è stato raggiunto un accordo preliminare tra le due parti. L’intesa ha portato alla nomina, il 2 ottobre, di Naji Issa, un manager della Bcl, e alla revoca, il giorno successivo, della forza maggiore, permettendo così la ripresa delle operazioni nei principali giacimenti, tra cui quello di El Sharara ed El Feel. L’accordo ha permesso non solo il ripristino, ma anche il superamento dei livelli pre-crisi della produzione petrolifera. Infatti, la Noc ha comunicato che il 3 dicembre la produzione di greggio e condensato ha superato i 1,4 milioni di barili al giorno, raggiungendo il valore più alto registrato dagli indicatori di produzione nazionale dal 2013. In realtà, questi aumenti di produzione fanno parte dell’attuazione della strategia della Noc di aumentare la produzione di petrolio a 2 milioni di barili al giorno entro il 2027. In questo senso, il Ministero dell’energia libico ha recentemente dichiarato di essere pronto a rilanciare, per l’inizio del 2025, nuove licenze di esplorazione petrolifera.
Prima a godere della ripresa del mercato petrolifero libico è l’Italia, la destinazione più importante del principale mercato di riferimento dell’export libico, l’Unione europea.
Questo rapporto privilegiato non è dovuto soltanto alla vicinanza geografica, che agevola i flussi commerciali, ma affonda le sue radici in legami storici ed economici profondi, risalenti al periodo coloniale italiano. Infatti, ancora ad oggi, il partenariato strategico tra Italia e Libia continua a rappresentare un elemento cardine delle rispettive politiche estere. Non a caso, l’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha incluso la Libia nel Piano Mattei per l’Africa – progetto strategico volto a promuovere diplomazia, cooperazione allo sviluppo e investimenti per rafforzare i legami con il continente africano. Pur non essendo previsto tra i paesi coinvolti nella fase inaugurale del Piano, il governo italiano sta comunque cercando di integrare la Libia in esso conscio del suo ruolo strategico non solo per la sicurezza energetica, ma anche per la gestione delle migrazioni. È in questo senso che si inseriscono le numerose visite effettuate dal governo italiano in Libia, così come i viaggi dei leader libici, sia del Gun che del Lna, in Italia, che hanno portato alla firma di numerosi accordi. L’ultima occasione di rafforzamento dei rapporti bilaterali è rappresentata dal 30° Forum delle imprese italo-libiche, tenutosi il 29 ottobre a Tripoli. Durante l’evento sono stati stipulati nuovi accordi in settori strategici quali energia, infrastrutture, salute e agricoltura, che non solo approfondiscono l’interscambio commerciale e gli investimenti, ma confermano anche il ruolo centrale di Roma agli occhi di Tripoli. Come riportato precedentemente, il mercato energetico italiano non è una destinazione solo per il petrolio ma anche per il gas naturale libico, la cui distribuzione avviene principalmente tramite il gasdotto Greenstream. Il suo commercio, però, come quello dell’oro nero, ha subito gli effetti negativi dell’instabilità politica interna a tal punto che nel 2023, le esportazioni di gas hanno registrato il livello più basso dal 2011.
Una soluzione per rafforzare la sicurezza energetica interna, oltre a garantire l’esportazione di volumi di gas in Europa e in Italia, è stata trovata con l’accordo firmato il 28 gennaio 2023 da Eni e Noc atto a sviluppare, entro il 2026, i giacimenti “Struttura A” e “Struttura E”.
Un altro passo significativo nel rafforzamento della partnership strategica nel settore gas tra i due paesi è la ripresa, da parte delle compagnie energetiche europee Eni (Italia) e Bp (Regno Unito), delle operazioni di trivellazione nel bacino di Ghadames (sito a ovest del paese). Infatti, dopo aver dichiarato lo stato di forza maggiore nel 2014, come risposta all’instabilità politica interna, la ripresa delle attività di esplorazione rappresenta un segnale incoraggiante per il futuro del settore, dato che la presenza di questi colossi dell’energia non solo potrebbe attrarre nuovi investimenti, ma anche favorire la creazione di posti di lavoro e stimolare il rilancio complessivo dell’economia libica. Non solo, queste due soluzioni risultano fondamentali per due ragioni strettamente interconnesse. La prima che attualmente, oltre il 73% dell’energia elettrica prodotta in Libia è generata attraverso il gas naturale, una dipendenza che rischia di diventare critica alla luce dell’aumento significativo dei consumi energetici previsto per i prossimi anni – derivato da fattori quali la crescita demografica, l’urbanizzazione e lo sviluppo industriale. La seconda è che, alla luce di ciò, diventa sempre più urgente potenziare la produzione di gas, non solo per soddisfare il fabbisogno interno, ma anche per garantire un flusso stabile per l’export, dato che, come si è visto, le esportazioni rappresentano un elemento chiave per sostenere l’economia nazionale.
Dunque, ad oggi, la recente produzione record di petrolio e la ripresa della attività di trivellazione gas rappresentano senza dubbio una vittoria significativa per l’economia libica, essendo un messaggio positivo per gli investitori, per le finanze pubbliche libiche e per il mercato energetico internazionale. Tuttavia, non si può ignorare che il contesto più ampio continua a essere in difficoltà a causa della persistente instabilità politica che caratterizza lo scenario politico libico.
In questo senso, il mancato avvio del processo di transizione energetica in Libia aggrava ulteriormente l’incertezza energetica a livello nazionale, compromettendo anche la capacità di esportazione del paese. La ragione dell’impossibilità di diversificare le fonti energetiche – ad oggi la capacità elettrica installata è pari a 0,1% – è anch’essa ostacolata proprio dalla perenne crisi politica. Infatti, il governo libico aveva previsto un Piano strategico per le energie rinnovabili 2013-2025, che mirava a raggiungere una contribuzione del 10% di energia rinnovabile entro il 2025: tuttavia i progressi sono stati ostacolati proprio dalla frammentazione interna.
Quindi, in questo contesto, la Libia potrebbe cogliere l’opportunità di diversificare il proprio mix energetico per avviare un concreto rilancio del settore delle energie rinnovabili e aumentare quindi i livelli di sicurezza energetica. Investire nelle rinnovabili potrebbe creare infatti nuove opportunità di lavoro, stimolare lo sviluppo tecnologico e attirare capitali esteri, contribuendo a rafforzare la governance e l’economia del paese. Conscio ne è il principale importatore degli idrocarburi libici – l’Italia – che ha mostrato interesse nel sostenere la transizione energetica della Libia. Nello specifico, nella visita di maggio compiuta dal Ministro del Made in Italy, Andrea Urso, è stata firmata una dichiarazione congiunta con la Libia per collaborare in diversi ambiti, tra cui lo sviluppo di tecnologia verde. Anche l’Eni si è impegnata in progetti di sviluppo delle fonti di energia rinnovabile in Libia, in accordo con le autorità locali, per promuovere la generazione elettrica da fonti eoliche e solari. Non solo. Anche l’Unione europea e le Nazioni unite hanno avviato un’azione coordinata in questa direzione: sono stati stanziati infatti ingenti fondi internazionali per potenziare l’infrastruttura energetica del paese, mirando al contempo a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Nello specifico, il programma mira a sfruttare l’abbondanza (circa l’88%) di territorio desertico in Libia per sviluppare progetti solari ed eolici.
In questo contesto di ricerca di stabilità e sviluppo, la terza edizione del Libya energy & economic Summit, in programma a Tripoli il 18 e 19 gennaio 2025, riveste un’importanza strategica di rilievo. Riconosciuto come il principale evento globale dedicato al settore energetico della Libia, l’evento non solo offre una piattaforma privilegiata per valorizzare le aziende nazionali e internazionali e promuovere il settore energetico del paese, ma prova a tracciare le nuove direttrici di sviluppo per affrontare con successo le sfide globali della transizione energetica. È in tale prospettiva che l’Italia, con il ruolo determinante di Eni, è chiamata a contribuire significativamente a questo percorso di trasformazione e crescita.
Laura Ponte